2021-04-01
Trasferito il procuratore caro al Pd, il «feudo» di Delrio inizia a tremare
Verso il processo l'inchiesta (frenata da Marco Mescolini) sugli appalti pilotati in Emilia.Ci sono voluti cinque anni dalle prime iscrizioni nel registro degli indagati, due anni dalle perquisizioni e otto mesi dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari per chiedere il rinvio a giudizio. L'inchiesta è quella sugli appalti del Comune di Reggio Emilia, feudo di Graziano Delrio, che l'ex capo della Procura Marco Mescolini aveva tenuto tappata, rinviando le perquisizioni perché erano in corso le elezioni. E, coincidenza, appena il Csm ha trasferito il magistrato etichettato come amico del Partito democratico perché le contestazioni «hanno di per sé arrecato un vulnus all'immagine della Procura di Reggio Emilia e hanno inevitabilmente generato un serio appannamento» della figura del procuratore, «la cui credibilità, in un ambiente piccolo come quello reggiano, è stata fortemente deteriorata», in tre settimane è stato depositato l'atto d'accusa con il quale viene chiesto il processo. La pm Isabella Chiesi, che firma il documento notificato ieri ai 24 indagati, è la stessa che insieme ad altre due colleghe aveva inviato al Csm l'esposto contro Mescolini. Ascoltata dai consiglieri del plenum, poi, aveva ricordato l'inchiesta giornalistica della Verità e la campagna mediatica successiva, che descriveva Mescolini come «un procuratore propenso a favorire e proteggere gli esponenti del Pd». Ricordò anche che «nel corso della riunione di settembre i sostituti avevano ripercorso l'attività svolta da Mescolini sotto una diversa luce, quella della paventata vicinanza ideologica e politica, valutando diversamente, ad esempio, l'intervento del procuratore volto a ritardare le perquisizioni delle indagini sui bandi del Comune».Una ricostruzione che, ritenevano le tre pm, a loro avviso trovava conferma in una circostanza: in occasione della conferenza stampa, successiva alle perquisizioni e alle elezioni comunali, Mescolini aveva detto che era stata una scelta «condivisa» con i titolari dell'indagine, che invece avevano solo aderito alla richiesta del procuratore storcendo il naso. Anche perché l'inchiesta, per corruzione, non era delle più semplici ed era stata portata avanti con un certo impegno anche dalla polizia giudiziaria.Il valore degli appalti, hanno stimato gli investigatori, si aggirerebbe intorno ai 27 milioni di euro. Al centro dell'inchiesta c'è Santo Gnoni ex capo dell'ufficio legale del Comune. Tra gli indagati ci sono otto dirigenti ed ex dirigenti dell'ente. Con loro sono accusati anche i vertici della compagnia assicurativa Union Brokers e i titolari dell'autofficina Corradini. Le ipotesi di reato contestate a vario titolo dalle due pm che hanno condotto le indagini, Valentina Salvi e Giulia Stignani (anche loro firmatarie dell'esposto contro Mescolini), sono di turbata libertà degli incanti, falsità in atto pubblico, rivelazione di segreto d'ufficio e, appunto, corruzione. Stando alla ricostruzione dell'accusa, nell'amministrazione comunale esisteva «una radicata prassi che coinvolgeva alcuni soggetti, apicali e non, volta a confezionare gare su misura per far vincere le persone o le società che sin da principio erano state individuate come aggiudicatarie». Le gare esaminate sono sei e risalgono al 2016. Si va dalla gestione dell'asilo nido Maramotti alla rimozione delle auto incidentate, ai servizi legali esterni e a quelli di brokeraggio assicurativo. La gara economicamente rilevante, però, è quella per la gestione della sosta a pagamento e del trasporto scolastico. In un secondo filone collegato sempre agli appalti di recente era stata notificata una proroga di indagini anche al sindaco Luca Vecchi (che in più occasioni si è smanacciato per propagandare la sua solidarietà a Mescolini). Per lui e per un'altra ventina di indagati, «la posizione», sostiene la pm Chiesi, «è stata separata ed è in corso di definizione». Probabilmente si chiuderà con una richiesta di archiviazione. Per ora, però, la Procura ritiene di avere accertato «gravi irregolarità» che avrebbero avuto un'unica finalità: indicare nei bandi requisiti che possedeva soltanto di chi si voleva favorire. Con buona pace dell'ex procuratore.