La vettura a batteria è l’arma per limitare la mobilità privata dei cinesi, che saranno obbligati a non spostarsi per più di 15 minuti dalle loro case per andare a lavorare o divertirsi. Un «modello» cui aspira anche Gualtieri.
La vettura a batteria è l’arma per limitare la mobilità privata dei cinesi, che saranno obbligati a non spostarsi per più di 15 minuti dalle loro case per andare a lavorare o divertirsi. Un «modello» cui aspira anche Gualtieri.È bastato l’annuncio (dato dal Financial Times) che nel 2025 la Cina centrerà l’obiettivo di sorpasso delle auto elettriche su quelle tradizionali per scatenare nuovamente gli aedi del green europeo (da poco rimesso in discussione dalla nuova Commissione Ue di Ursula von der Leyen, che pur nella scorsa legislatura l’aveva promosso). I dati cinesi, ripresi già ieri dalla Verità, sono effettivamente impressionanti: Pechino, che resta il Paese più inquinante al mondo, ha bruciato i tempi e ha raggiunto il traguardo verde con 10 anni di anticipo rispetto al 2035, inizialmente indicato dal governo cinese come endpoint della transizione verso l’elettrico. Ma il regime cinese è anche la culla dell’urbanizzazione controllata, dove spingere i cittadini ad abbandonare i veicoli a motore è facile: basta imporlo.I calcoli del Financial Times sulla base delle previsioni di quattro banche di investimento e gruppi di ricerca - vendite di veicoli elettrici in aumento del 20 per cento, oltre 12 milioni di vetture, contro gli 11 milioni di veicoli tradizionali, in calo del 30 per cento - sono stati accolti con toni trionfalistici dai politici e media da sempre schierati a favore del Green deal europeo. Poco importa che i dati in controtendenza sulla transizione dai motori a combustione a quelli a batteria, imposti agli Stati membri dalla prima Commissione della von der Leyen, siano la conseguenza della crisi epocale dell’automotive alle prese con l’elettrico: «Dobbiamo seguire la strada indicata dalla Cina, il Green deal si può fare», insistono i cantori verdi. In pochi ricordano però che a Pechino la transizione è possibile anche perché è proprio la Cina ad aver inventato il concetto di «urbanizzazione controllata» (controlled urbanization o Cu), poi ripresa da alcune città progressiste europee e ribattezzata con il suggestivo slogan della «città di 15 minuti». Una città dove si possono soddisfare a breve distanza le sei funzioni sociali urbane essenziali: vivere, lavorare, rifornirsi di beni, prendersi cura, imparare e divertirsi. Gran parte delle necessità e dei servizi quotidiani si trovano a soli 15 minuti a piedi o in bicicletta da qualsiasi casa: è facile che in queste città l’auto non serva e la macchina elettrica, sebbene non performante come quella a motore (se non altro per la durata della batteria, che non consente lunghi spostamenti), possa bastare.L’urbanizzazione controllata è un metodo socialista di pianificazione urbana molto simile alla «città di 15 minuti» e la vettura a batteria è, di fatto, lo strumento per realizzarla. L’idea consiste nel costruire città in modo tale che, con il mito della «sostenibilità» e dell’ambiente, la mobilità privata delle persone sia scoraggiata il più possibile. È esattamente il modello che ha perseguito la Cina negli ultimi decenni, edificando città dove le persone si recano dalla propria casa al negozio di alimentari, al lavoro, a scuola, dal medico, in palestra, al ristorante o al parco in 15 minuti utilizzando i mezzi pubblici, la bicicletta o le proprie gambe: la vettura privata, specialmente a motore, non serve, perché i cittadini non devono (né possono) fare grandi spostamenti, trovando tutto a portata di mano. La teoria urbanistica non è guidata soltanto dal mercato ma anche dall’ideologia: l’ambiente. I grandi studi di architetti, come Chapman Taylor, ci hanno fatto la loro fortuna, progettando in Cina aree urbane molto estese come la Xiong’an New Area, la Wenzhou Eastern New Town, la stazione di Xiaoli e Xiong’an, il Qilong Innovation Park di Chengdu e l’Eco-City di Xiangyang: spazi enormi presentati all’opinione pubblica come «futuristici», dove l’auto a motore è quasi una blasfemia.Il concetto è stato sviluppato anche in Occidente dall’urbanista Carlos Moreno e adottato da Anne Hidalgo, sindaco di Parigi. La cittadina di Oxford, nel Regno Unito, rappresenta l’esperimento più evoluto: il City council ha attuato un sistema di «filtraggio del traffico» limitando l’accesso alla città attraverso tornelli e telecamere. L’obiettivo dichiarato è di «limitare le emissioni» e «proteggere i residenti dall’inquinamento atmosferico dannoso»; nei fatti si consente ai cittadini di transitare da un punto all’altro della città solo un numero limitato di volte, pena il pagamento di multe di 70 sterline. Dopo le vivaci proteste della popolazione locale, il consiglio comunale di Oxford ha rimosso la menzione «città di 15 minuti» dal piano urbanistico, ma le restrizioni sono restate: la «città di 15 minuti» è, insieme con l’auto elettrica, il feticcio delle élite liberal e progressiste ed è stata celebrata anche sul sito del Comune di Roma dal sindaco Roberto Gualtieri: le policy ambientaliste progressiste sono uguali ovunque e ricalcano quelle cinesi.Non deve stupire, dunque, che in un’autocrazia come quella cinese la vendita di vetture elettriche sia in aumento. Male ha fatto l’Europa, piuttosto, a inseguire quel mito propagandistico e autoritario e che oggi si trova a pagare un conto molto salato: la distruzione del mercato dell’auto e l’impoverimento dei lavoratori.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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