Urso ha annunciato che c’è l’accordo con Bruxelles per snellire il sistema di incentivi, troppo complicato a causa dell’eccesso di burocrazia. In bilico oltre 6 miliardi per le aziende. Fra le novità, fondi alle piccole imprese per l’autoconsumo di energia.
Urso ha annunciato che c’è l’accordo con Bruxelles per snellire il sistema di incentivi, troppo complicato a causa dell’eccesso di burocrazia. In bilico oltre 6 miliardi per le aziende. Fra le novità, fondi alle piccole imprese per l’autoconsumo di energia.Ieri è arrivato un primo timido raggio di luce per gli incentivi destinati alle imprese utilizzando lo strumento Transizione 5.0. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo all’evento Italian Innovation Summit organizzato a Milano dal Sole 24 Ore, ha ufficialmente comunicato quanto era già nell’aria da circa 20 giorni, e cioè la formale autorizzazione da parte della Commissione a favore di alcune essenziali modifiche a uno strumento che, fin qui, era praticamente fermo ai nastri di partenza.Zavorrato da un insostenibile carico di burocrazia e da cervellotici analisi e calcoli, al solo fine di offrire un tributo sacrificale all’ideologia green, in questo caso avente la forma di un fantomatico risparmio energetico.Come ha ammesso lo stesso ministro, non ci sono ancora norme che accolgono le modifiche concordate con Bruxelles - potrebbero essere degli emendamenti alla legge di bilancio, oppure un decreto di fine anno - e questo dovrebbe consigliare cautela nello sperare che le imprese finalmente accelerino nella prenotazione delle risorse, ferme a poche centinaia di milioni su 6,3 miliardi disponibili. Non deve infatti sfuggire che le imprese non pianificano investimenti sulla base di annunci nel corso di convegni, ma solo, nel migliore dei casi, dopo aver letto una norma in Gazzetta Ufficiale che tutti attendono a breve.Per ora, ci limitiamo a rilevare che gli ostacoli che avevano frenato il decollo di Transizione 5.0 erano stati puntualmente elencati su questo giornale lo scorso 15 aprile, quando fummo facili profeti nel prevedere che l’accoglienza da parte delle imprese sarebbe stata molto fredda.A metà ottobre in Confindustria hanno cominciato a segnalare i difetti dello strumento e la gravità del problema è stata tale da far intervenire i vertici dell’associazione. Prima il presidente Emanuele Orsini (La Verità del 13 ottobre) e poi il presidente di Assolombarda Alessandro Spada (La Verità del 22 ottobre) hanno usato toni molto duri per criticare quanto il nostro governo era stato acriticamente costretto ad accettare da Bruxelles nell’ambito della revisione del Pnrr, il cui capitolo aggiuntivo Repowereu prevede proprio le risorse per Transizione 5.0. L’approccio «a caval donato non si guarda in bocca», con cui spesso si continua a guardare alle risorse del Pnrr, in questo specifico caso ha mostrato tutti i suoi limiti. Perché non si tratta di «doni» e perché, in ogni caso, spesso sono inservibili. Il pressing dei vertici di Confindustria ha portato Urso a un serrato confronto con Bruxelles che dovrebbe (useremo il condizionale fino a quando non leggeremo l’articolato) portare i cambiamenti significativi autorizzati dalla Commissione. Il primo è l’estensione del periodo di effettuazione degli investimenti al 30 aprile 2026, quindi altri quattro mesi a disposizione che si riveleranno probabilmente decisivi per la consegna di beni ad alto contenuto digitale, i cui ordini richiedono tempi lunghi. Poi c’è il tema della semplificazione del calcolo del risparmio energetico che era stato il nostro principale rilievo sin dall’inizio. Infatti obiettammo subito che la complessità e l’incertezza dei calcoli richiesti avrebbe disincentivato l’accesso all’incentivo, come poi è regolarmente avvenuto. Invece, con le modifiche concordate, le imprese che hanno investito in impianti e macchinari a elevata digitalizzazione (gli stessi ammessi all’agevolazione Industria 4.0) per sostituire beni con almeno 24 mesi di utilizzo, non dovrebbero più fare complicati calcoli per dimostrare il risparmio energetico. Sarà dato per conseguito, senza calcoli e analisi di sorta. Fatto peraltro abbastanza intuitivo e ragionevole, se si pensa che la velocità dell’efficientamento energetico di alcuni modelli di impianti e macchinari si misura in pochi mesi.Novità in arrivo anche sul fronte delle aliquote del credito d’imposta, attualmente variabili dal 35% al 45% per investimenti fino a 2,5 milioni e verosimilmente avviate a toccare il 50%. Per aumentare la platea delle imprese potenzialmente interessate si va verso la possibilità di cumulo di Transizione 5.0 con gli incentivi previsti a favore degli investimenti nelle regioni del Sud, eseguiti con lo strumento della Zes unica. Un incentivo aggiuntivo che porterebbe l’agevolazione complessiva a superare l’80% dell’investimento.L’assoluta novità è la presenza di uno specifico capitolo dedicato alle Pmi, con 320 milioni a favore di investimenti in fotovoltaico o eolico destinati all’autoconsumo industriale. Un tipo di investimenti già presente nella norma preesistente (come investimenti «trainati»), accanto alla formazione del personale per operare con le nuove tecnologie.Ora che è stato prodotto il massimo sforzo all’interno del perimetro consentito da Bruxelles, resta da capire se e quanto basterà per superare le legittime perplessità sulle prospettive della domanda, che sono e resteranno sempre la motivazione principale che guida le decisioni di investimento delle imprese. Lo capiremo presto.
(Ansa)
Il ministro degli Esteri: «Stiamo lavorando per riportare a casa lui e gli altri detenuti politici. L’altro giorno il nostro ambasciatore ha avuto la possibilità di incontrare Alberto Trentini e un altro italiano detenuto in Venezuela, e ha parlato con loro. Trentini è sì detenuto, ma è stato trovato in condizioni migliori rispetto all’ultima volta in cui era stato visto». Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parlando dell’attivista trattenuto in Venezuela, a margine dell’assemblea di Noi Moderati in corso a Roma. «La famiglia è stata informata – ha aggiunto – e questo dimostra che stiamo seguendo la vicenda con la massima attenzione. Il ministero degli Esteri, come tutto il governo, se ne occupa con grande scrupolo. Stiamo lavorando per riportarlo a casa. Non è un’impresa facile: basta guardare la situazione internazionale».
Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti (Ansa)
La maggioranza degli italiani sta con i Trevallion, i cui figli sono stati strappati al bosco e al padre, ma i media cattolici o sono tiepidi o difendono i giudici. «Avvenire», il quotidiano dei vescovi, preferisce promuovere l’educazione affettiva nelle scuole.
Secondo il sondaggio realizzato da Alessandra Ghisleri per La Stampa, la metà degli italiani solidarizza con la famiglia del bosco. Il 44% degli interpellati nella rilevazione sostiene che i giudici del Tribunale dei minori dell’Aquila siano intervenuti andando oltre i limiti, il 49,8% ritiene che sia stato un errore allontanare i figli dal padre e il 49,7% pensa che i genitori debbano essere parzialmente liberi di scegliere uno stile di vita alternativo per i figli. In buona sostanza, sembra di capire che anche chi non condivide del tutto le scelte radicali dei genitori Trevallion sia comunque convinto che l’allontanamento dei bambini sia stato un atto violento che si poteva e doveva evitare.
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La denuncia di Fdi, che raccoglie le proteste dei genitori: «Nessuno ci ha coinvolti».
«Ai nostri bambini all’asilo hanno dato delle Scosse: sono gli attivisti di un’associazione che così si chiama che illustrano a bambini quasi neonati libretti che parlano di genitori omosessuali, di utero in affitto. L’educatrice è entrata ha fatto una lezione su questi temi incomprensibili per i nostri figli che frequentano il nido. Abbiamo chiesto spiegazioni, ma niente: un muro di gomma». Accade a Roma, ma purtroppo in tutta Italia. E poi ci si chiede perché la famiglia nel bosco è finita sotto la lente della giustizia e le «cure» (si fa molto per dire) delle assistenti sociali.
Francesca Albanese (Ansa). Nel riquadro il murales che la ritrae con Greta Thunberg, abbracciate da un miliziano di Hamas, e lo stesso graffito vandalizzato
I graffiti piacciono solo se rossi: oscurato quello che la ritrae con un membro di Hamas.
Se penso alla perfetta radical chic penso proprio a Francesca Albanese. Look da radical chic. Puzza sotto il naso da radical chic. Arroganza da radical chic. La Albanese possiede anche il tocco sublime della perfetta radical chic, possiede cioè quella capacità di cantare le «cretinate in diesis», cioè con quel pezzetto di nota aggiuntivo che gli stessi compagni non sanno se è una stonatura o una raffinatezza. Perché lei è parecchio divisiva anche a sinistra: adorata da quel pezzo che crede di aver capito tutto della vita; stucchevole per chi invece ne ha le scatole piene di questa sinistra qui (è un pezzo che non conta granché).






