2023-03-01
«Traditi dal lasciapassare della deputata dem Moretti. Rischiamo la vita a Kabul»
Alessandra Moretti (Ansa)
Una famiglia braccata dai talebani in Afghanistan non riesce a partire per l’Italia. «Siamo stati illusi, il documento firmato dall’europarlamentare non serve a nulla».Ma perché le cose non le diciamo fino alla fine? Perché non le diciamo tutte? Perché non diciamo che quelli che hanno sempre giocato e lucrato con le vite dei migranti e dei profughi, sono quelli che continuano a predicare l’accoglienza a tutti i costi? Accoglienza che poi si rivela finta. Hai poco da prendertela con il ministro Matteo Piantedosi se dice che la disperazione della gente non giustifica le partenze: ha ragione. Gli stessi morti della strage di Curto, nel Crotonese, di tre giorni fa, erano afghani, siriani, pachistani, e scappavano dalla guerra. Afghani abbandonati al loro triste destino dalla comunità internazionale. Passata l’onda mediatica, non ci siamo più preoccupati di loro. Funziona così coi professionisti dell’accoglienza. Si solleva l’attenzione per un po’, poi passato il clamore, ci si focalizza su qualcos’altro.La prova? La Verità è in contatto con due famiglie afghane che da agosto 2021, dal giorno del ritiro delle truppe americane in Afghanistan, tentano di venire in Italia e non ci riescono. Sono due famiglie di Kabul. Una è composta da 4 persone. E una da cinque. Hanno anche bambini piccoli.«Sofia (nome di fantasia, ndr) e il suo marito appartengono a una piccola comunità cristiana», ci racconta il fratello che ora vive in Italia e che ha avuto la fortuna di scappare anni fa al regime talebano. «Con l’arrivo degli americani si respirava un po’ di libertà sia religiosa che politica. Loro si sentivano abbastanza liberi nella società afghana prima dei talebani e facevano parte di un piccolo gruppo di cristiani, alcuni convertiti, altri cristiani dalla nascita. Spesso con i loro amici facevano la messa a casa, anche perché in Afghanistan non potevano avere la chiesa».Quando le truppe Nato si ritirano, la sorella, con la sua famiglia, tenta di scappare. Ma la via di fuga sembra impossibile. Vengono perseguitati. Si nascondono in mezzo alla folla. Cambiano casa in continuazione. Ogni giorno. Ogni notte. Cambiano numeri di telefono. Sanno che se i talebani li trovano li ammazzano. Poi arriva la svolta. Sei mesi fa, la famiglia riesce ad andare in Pakistan ma ora la situazione si sta facendo preoccupante e, ci spiega il parente, «tra poco torneranno in Afghanistan, perché se la polizia pakistana viene a sapere che sono lì, li arresta perché sono clandestini e li restituisce ai talebani».Anche l’altra famiglia non se la passa meglio. Quella del fratello, ancora a Kabul. «La figlia di mio fratello», ci racconta sempre il nostro interlocutore, «frequentava l’università americana a Kabul prima del disastro. Era una attivista per la libertà delle donne afghane assieme a sua madre. Insegnava alle donne a lavorare e a essere autonome. I talebani li avevano presi di mira già da tempo, ma non avevano paura perché tanto c’erano gli americani e l’esercito a occuparsi di loro. Quando i talebani hanno ripreso il potere, loro sono scappati da casa e si nascondevano nella folla davanti all’aeroporto». Già. Davanti all’aeroporto. Il parente ci spiega che la famiglia del fratello, ad agosto 2021, aveva ricevuto un «documento» su Whatsapp e che poi era stata abbandonata senza alcuna istruzione. Ci mettiamo in contatto con la figlia del fratello in Afghanistan. «Noi abbiamo il permesso», continuava a dirci disperata nel settembre di due anni fa «ma cosa dovremmo fare? Non c’è un modo per andare via di qui?». Ci facciamo mandare la carta e scopriamo che il «permesso» è un documento del 25 agosto 2021, bollato Pd e S&D Socialisti e Democratici, e firmato dall’eurodeputata Alessandra Moretti. «Le persone sotto elencate», si legge, «sono state inserite nella lista per la partenza dall’aeroporto di Kabul con destinazione Italia».La ragazza afghana ci racconta che quel «permesso», da quello che lei aveva capito o almeno così le avevano raccontato, doveva valere come carta da esibire all’aeroporto di Kabul per potersene andare. «I primi giorni», spiega, «quelli che avevano ricevuto questo documento e un codice sono partiti. Ma noi non siamo riusciti. Se non posso uscire con questo foglio, come posso fare? Questo pezzo di carta è tutta la mia speranza». Anche chi scrive, varie volte ha provato a mettersi in contatto con la Farnesina, l’ambasciata, mandando i documenti degli appartenenti alle rispettive famiglie, ma niente. Mail, telefonate, tutte cadute nel nulla.«We are having our worst days», ci scrive la ragazza, «stiamo vivendo i nostri giorni peggiori. Please help us in any way if you can». «Per favore aiutateci in qualsiasi modo se potete». «Mi pare una cosa molto rischiosa mandare la gente in faccia ai talebani con un simile pezzo di carta», ci dice un ex sottufficiale con varie missioni in Afghanistan. Contattata, la Moretti ci aveva detto che altri afghani erano riusciti a partire con quel foglio «preparato nella disperazione». Rimane il fatto che queste famiglie sono ancora preda dei pericoli di una terra che non è più ospitale, lasciate a loro stesse. Non sanno come fare, come sopravvivere e come riuscire a raggiungere il nostro Paese. E una addirittura è stata spedita in faccia ai talebani con un pezzo di carta. Illusi e abbandonati, rischiano di finire preda degli appetiti dei mercanti di uomini.