
Berlino annuncia a Donald Trump che non parteciperà alla missione navale nello stretto di Hormuz contro la minaccia dell'Iran. Gli Stati Uniti rispondono con le sanzioni contro il gasdotto Nord Stream 2, che vede i tedeschi tra i maggiori beneficiari.Le tensioni tra Stati Uniti e Germania tornano a farsi sentire. Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha reso noto mercoledì che Berlino non parteciperà alla missione navale a guida statunitense, in programma nello Stretto di Hormuz per pattugliare l'area e contrastare la minaccia iraniana: una missione cui, oltre alla Gran Bretagna, potrebbero prendere parte anche Italia e Francia«La Germania non prenderà parte alla missione marittima presentata e pianificata dagli Stati Uniti», ha dichiarato Maas, aggiungendo che la situazione nella regione risulti molto grave e che - proprio per questo - bisognerebbe evitare un'escalation con Teheran. «Non esiste una soluzione militare», ha concluso. Washington - neanche a dirlo - non ha preso bene la cosa, con l'ambasciatore statunitense in Germania, Richard Grenell, che ha chiesto ai tedeschi di riconsiderare la loro decisione. Sembrerebbe che i principali oppositori a Berlino del progetto americano siano i socialdemocratici: un elemento che avrebbe spinto Angela Merkel a un rifiuto, anche per tenere in piedi la sua traballante coalizione di governo. Tuttavia, al di là delle beghe di politica interna, la scelta tedesca viene ad inserirsi in un quadro geopolitico ed economico molto più complesso, che chiama direttamente in causa una serie di dossier differenti e correlati. In primo luogo, non è un mistero che Berlino non abbia mai accettato il ritiro statunitense dall'accordo sul nucleare con l'Iran nel maggio del 2018. Secondo la Merkel, quell'intesa dovrebbe essere salvaguardata e - in quest'ottica - la cancelliera ha sempre mostrato un profondo scetticismo verso la linea dura, adottata da Donald Trump nei confronti di Teheran. Non soltanto Berlino teme che le sanzioni americane portino a una eccessiva destabilizzazione dello scacchiere mediorientale ma - in particolare - non vede di buon occhio la rinegoziazione dell'accordo cui lo stesso Trump sta puntando. Una rinegoziazione, rispetto a cui probabilmente la Germania paventa di venire marginalizzata. Inoltre, al di là della questione iraniana, non bisogna dimenticare gli innumerevoli attriti che dividono attualmente Washington da Berlino soprattutto sul piano commerciale: forti tensioni si registrano a causa del dossier Airbus, mentre Trump sta da tempo considerando la possibilità di imporre dazi sulle automobili di importazione europea. Non è d'altronde un mistero che la Casa bianca consideri la Germania un pericoloso concorrente sleale: una linea che l'attuale presidente americano ha in gran parte mutuato dal proprio consigliere al Commercio, Peter Navarro. Infine, bisogna sottolineare un dato di natura storica. Berlino si è sempre mostrata riluttante a farsi coinvolgere in missioni militari all'estero, soprattutto se a guida statunitense. Basti ricordare i dissidi tra l'ex presidente americano, George W. Bush, e l'allora cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, nel 2003 ai tempi della guerra in Iraq. Ciononostante la questione della missione nello Stretto di Hormuz non risulta l'unico fattore di attrito tra Washington e Berlino in queste ore. Giovedì scorso, la Commissione Esteri del Senato americano ha infatti approvato a larga maggioranza un provvedimento, sponsorizzato dal repubblicano Ted Cruz e dalla democratica Jeanne Shaheen, per imporre sanzioni contro società e persone coinvolte nella realizzazione del gasdotto Nord Stream 2. In attesa del voto in plenaria, Cruz ha intanto difeso la sua proposta come una mossa per colpire Mosca, sostenendo che «la Russia abbia una brutta storia di utilizzo dell'energia come un'arma». Parte consistente del mondo politico americano teme infatti che Nord Stream 2 costituisca uno strumento con cui il Cremlino starebbe cercando di espandere la propria influenza geopolitica sull'Europa Occidentale. E, in quest'ottica, dure critiche vengono rivolte anche alla Germania, che del gasdotto risulterebbe tra i principali beneficiari. Lo stesso Trump ha ostentato non poco fastidio verso Berlino in tal senso. Si pensi solo che - durante una visita del presidente polacco, Andrzej Duda, alla Casa Bianca lo scorso giugno - aveva dichiarato: «Stiamo proteggendo la Germania dalla Russia e la Russia sta ottenendo miliardi e miliardi di dollari in denaro dalla Germania». E proprio in quell'occasione, Trump aveva annunciato di considerare la possibilità di comminare sanzioni per contrastare la realizzazione dell'opera. Si può dunque dire che, sotto un certo aspetto, da esigenze differenti si sia arrivati a una soluzione comune. Se con queste sanzioni il Senato americano punta principalmente a colpire Mosca, Trump - che col Cremlino sta ancora cercando una distensione - appare maggiormente interessato a evitare una convergenza strategica tra Russia e Germania. Parte significativa della strategia europea del presidente statunitense è infatti quella di rendere Berlino il più isolata possibile, per indebolirla tanto sul fronte economico che geopolitico. È evidente che non sia solo Trump - come spesso si dice - a condurre politiche almeno potenzialmente ostili verso i tedeschi. Ma che, pur magari partendo da presupposti diversi, siano gli Stati Uniti a livello sistemico ad avere interessi divergenti a quelli della Germania. D'altronde, al di là dei suddetti attriti politico-militari dei tempi di Bush, anche con Barack Obama non è che le relazioni tra Washington e Berlino risultassero esattamente idilliache. Basti ricordare lo scandalo Dieselgate nel 2015 o il caso Snowden nel 2013.
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