
A Palazzo dello Spagnuolo, a Napoli, avrebbe dovuto sorgere un percorso interattivo dedicato all'attore. I lavori sono sospesi e non c'è l'ascensore. I 400.000 euro promessi da Luigi De Magistris nel 2014? Mai stanziati.Sorvolando sul mistero della morte e immaginandolo seduto su un'ipotetica nuvoletta bianca, vestito tale e quale come nel personaggio, suo alter ego, messo in scena in oltre 100 film, Antonio De Curtis, in arte Totò, nell'atto di curiosare sulle vicende del rione in cui ebbe i natali, la Sanità, rimarrebbe stupefatto nell'apprendere che a Napoli si sta celebrando il suo quarto funerale. Quando morì, infatti, per infarto, il 15 aprile 1967, a Roma, nella sua casa di Monti Parioli, l'estremo saluto si tenne dapprima nella capitale, nella chiesa di Sant'Eugenio, e quindi il feretro fu accompagnato a quella di Sant'Eligio, in una Napoli bloccata da una folla di 250.000 concittadini riunita per rendergli omaggio. Le esequie furono ripetute, per ricordarlo una terza volta, tre mesi dopo, sempre a Napoli, per iniziativa di un capoguappo del rione Sanità. E adesso, nei vicoli del quartiere dove di nascosto osservava smorfie e spontanee macchiette dei personaggi del luogo, imitandoli, appaiono epigrafi funeree incollate sui muri, che annunciano: «Totò, amato dalla cittadinanza, muore una seconda volta». Dopo le numerose iniziative messe in atto in occasione del 50° anniversario della scomparsa - mostre, convegni, notti bianche, laurea ad memoriam, rassegne delle opere - il museo dedicato all'attore è ancora in costruzione da 23 anni e la sua casa natale è inagibile. «Unici luoghi ove egli, dopo 4 sindaci e 5 presidenti regionali (di varia appartenenza politica, ndr) non è ricordato da Regione, Comune e Soprintendenza», sentenziano gli epitaffi. L'idea di affiggerli è di Francesco Ruotolo, consulente speciale alla Memoria della Municipalità III Stella-San Carlo all'Arena del Comune di Napoli, incarico che ricopre a titolo gratuito da qualche anno, prodigandosi per trovare il bandolo della matassa di una vicenda che si trascina dal 6 febbraio 1996, data di una delibera, la 668 della Giunta regionale della Campania, che stabiliva di costituire una Fondazione istitutiva del museo di Totò - cosa finora mai avvenuta - dando successivamente incarico al Comune di Napoli di ristrutturare due ampi appartamenti situati al terzo e al quarto piano di un palazzo del Settecento, palazzo dello Spagnuolo, in via Vergini, nel cuore del rione Sanità e a due passi dalla casa natale di Totò, di proprietà della Regione Campania e ceduti in comodato al Comune. Nel 1997 i lavori iniziarono, con finanziamenti europei, e giunsero a un avanzato stato di esecuzione, non solo nella ristrutturazione dei locali e nell'allestimento delle sale, nell'installazione di una scala a chiocciola interna di collegamento, ma anche nell'acquisto di computer interni, in previsione di un modello museale interattivo. Dieci anni dopo, tuttavia, essi s'interruppero. Perché? Qualcuno s'accorse che quel progetto manifestava gravi falle. Nel palazzo dello Spagnuolo esiste sì una monumentale scala ad ali di falco progettata dall'architetto Ferdinando Sanfelice, però manca l'ascensore. «Com'è possibile», tuona Ruotolo, «che non si sia pensato a un impianto, condizione indispensabile per l'accesso di anziani e disabili?». I guai non finiscono qui. Essendo il palazzo dello Spagnuolo un condominio di privati, non ha certo favorito il fatto che la Regione Campania, a differenza degli altri comproprietari, sia stata per anni morosa in fatto di versamento delle quote condominiali ordinarie e straordinarie. «Quisquilie, bazzecole, pinzillacchere» direbbe Totò. Un giorno, un timido e pressoché ignaro funzionario della Regione si presentò a un'indetta assemblea di condominio, ma non munito di progettistica, né dei lavori in corso né dei dettagli del museo. Le pendenze dell'ente pubblico, almeno, furono poi saldate. Nel cortiletto a cielo aperto tra il palazzo dello Spagnuolo e il confinante palazzo Moles lo spazio ci sarebbe per un elevatore, ma si richiede il placet della Soprintendenza per i beni architettonici. Inoltre, dopo la sospensione dei lavori, le infiltrazioni d'acqua piovana provenienti da un terrazzo hanno causato il crollo di alcune controsoffittature, con cedimenti nella scala a chiocciola interna. E crepe in alcuni appartamenti nell'attiguo palazzo Moles, il cui amministratore ha fatto causa, sempre alla Regione Campania, con congruo risarcimento danni ottenuto dopo sentenza di secondo grado. Si tratterebbe dunque di riprendere e concludere i lavori, riparando le parti danneggiate della struttura e incaricando un esperto di allestire arredo interno, strumenti multimediali e descrizioni di reperti e cimeli, che già sono disponibili e appartengono alla Fondazione De Curtis di Roma, in mostra itinerante dal titolo Totò Genio in Italia e all'estero. Ma i soldi? Il 16 dicembre 2014, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, in un'intervista dichiarava: «Ieri abbiamo definitivamente chiuso la partita per il museo di Totò, con delibera di approvazione del progetto economico, con i pareri della Soprintendenza. C'è tutto. Adesso inizia la corsa contro il tempo per inaugurare il museo prima dell'estate, sì, 2015». In effetti, nel bilancio di previsione del Comune partenopeo per il 2015, si prevedeva lo stanziamento di 400.000 euro per completare l'opera. Il 16 febbraio 2015, l'architetto Gaetano Mollura, dirigente del Comune di Napoli, posticipava la conclusione del tutto a settembre dello stesso anno. Poi, il nulla. Finanziamenti fantasma per un museo fantasma. Quelle risorse non si sono mai viste, senza peraltro considerare che, per giungere al completamento dei lavori, sarebbero necessari fondi, stima Ruotolo, di 3 milioni di euro. A niente, finora, sono valse le 7 interpellanze che il consigliere ha inviato al Comune di Napoli e alla Regione Campania con richiesta di chiarimenti e appello a procedere, visto che anche l'attuale presidente regionale Vincenzo De Luca, rinnovò la promessa, persino con precisa data di inaugurazione: «15 aprile 2017». Nessuna risposta. Doveva forse essere formalizzata la costituzione dell'ente giuridico «Museo di Totò»? Non è dato saperlo. Fatto sta che le responsabilità si confondono in un grande, kafkiano labirinto. Anche la casa, in via Santa Maria Antesaecula, dove l'attore vide la luce, il 15 febbraio 1898, da una popolana poco più che adolescente, Anna Clemente, e dal figlio di un nobile, Giuseppe De Curtis, che lo riconobbe solo negli anni Venti dopo il matrimonio con la donna, è al centro di un'annosa controversia. Situata in un cortile interno, al primo piano di un complesso popolare forse del Seicento - due camere da letto, una di Totò e l'altra dove dormivano la madre e la nonna, una sala da pranzo, un tinello e un bagno, uno sparuto mobilio sopravvissuto -, l'ambiente inevitabilmente richiama le atmosfere tragicomiche della commedia di Eduardo De Filippo. L'artista vi visse sino all'età di 23 anni, quando decise di trasferirsi a Roma in cerca di quella fortuna che trovò, senza mai dimenticare la dolorosa storia familiare - che, non pago del riconoscimento del padre, cercò di riscattare facendosi adottare da un nobile e acquisendo 54 cognomi - e tornandovi di soppiatto, con il favore delle tenebre, per rivivere lo scotto e le speranze della giovinezza con il conforto della raggiunta notorietà. Dagli anni Venti al 2002 non si hanno notizie dell'immobile. Poi, dopo la morte dell'ultimo proprietario, senza eredi reperiti, fu messo all'asta. Dopo 11 bandi, tutti deserti, l'appartamento fu regolarmente acquistato, per poco più di 18.000 euro, da due privati, Amelia Canoro e il figlio Giuseppe De Chiara, ma essi dovettero attendere la risoluzione di una causa di sfratto - durata circa 4 anni - nei confronti di due anziani che vi abitavano e chiedevano un obolo ai visitatori. La porta d'ingresso fu sostituita e, eseguite le intonacature, i due proprietari proiettarono all'interno della dimora, per 106 giorni consecutivi, gli altrettanti lungometraggi di Totò. Antonio Bassolino, presidente della Regione Campania dal 2000 al 2010, chiese l'intervento della Soprintendenza, la quale rispose imponendo all'abitazione un vincolo «demo-etno-antropologico». Ma a ciò non corrispose la dichiarazione di «dimora storica» e, quantunque i proprietari abbiano costituito l'associazione Il principe dei sogni, nessuna istituzione si è più mossa. Ora Ruotolo ha inviato altri urgentissimi appelli ai suoi interlocutori, chiedendo il coinvolgimento del ministero dei Beni Culturali. Ma museo e casa sono abbandonati. E, intanto Totò, al quale nel suo film sulla disillusione della politica Gli onorevoli del 1963, alias Antonio La Trippa, fu assegnato il numero di candidatura 47, che nella cabbala napoletana significa «morto che parla», sempre immaginandolo seduto su una nuvoletta bianca, inscenerebbe una dubbiosa smorfia, seguita da un sarcastico sghignazzo. «Ma mi faccia il piacere…».
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)
Un tempo la sinistra invocava le dimissioni (Leone) e l’impeachment (Cossiga) dei presidenti. Poi, volendo blindarsi nel «deep State», ne ha fatto dei numi tutelari. La verità è che anche loro agiscono da politici.
Ci voleva La Verità per ricordare che nessun potere è asettico. Nemmeno quello del Quirinale, che, da quando è espressione dell’area politico-culturale della sinistra, pare trasfigurato in vesti candide sul Tabor. Il caso Garofani segnala che un’autorità, compresa quella che si presenta sotto l’aura della sterilità, è invece sempre manifestazione di una volontà, di un interesse, di un’idea. Dietro l’arbitro, c’è l’arbitrio. In certi casi, lo si può e lo si deve esercitare con spirito equanime.
Elly Schlein (Ansa)
Critiche all’incauto boiardo. Eppure, per «Domani» e i deputati, la vittima è Schlein.
Negli ultimi giorni abbiamo interpellato telefonicamente numerosi esponenti del centrosinistra nazionale per sondare quali fossero gli umori veri, al di là delle dichiarazioni di facciata, rispetto alle dichiarazioni pronunciate da Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riportate dalla Verità e alla base della nuova serie di Romanzo Quirinale. Non c’è uno solo dei protagonisti del centrosinistra che non abbia sottolineato come quelle frasi, sintetizzando, «se le poteva risparmiare», con variazioni sul tema del tipo: «Ma dico io, questi ragionamenti falli a casa tua». Non manca chi, sempre a sinistra, ammette che il caso Garofani indebolirà il Quirinale.
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.
Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
Per 20 anni ha avuto ruoli cruciali nello sviluppo del sistema di sicurezza spaziale. Con le imprese francesi protagoniste.
Anziché avventurarsi nello spazio alla ricerca delle competenze in tema di Difesa e sicurezza del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, viene molto più semplice restare con i piedi per terra, tornare indietro di quasi 20 anni, e spulciare quello che l’allora rappresentante dell’Ulivo diceva in commissione.Era il 21 giugno 2007 e la commissione presieduta dal poi ministro Roberta Pinotti, era neanche a dirlo la commissione Difesa. Si discuteva del programma annuale relativo al lancio di un satellite militare denominato SICRAL-1B e Garofani da bravo relatore del programma ritenne opportuno dare qualche specifica.






