2021-03-16
Il tonfo della Merkel avvicina la Lega al Ppe
Angela Merkel (Getty Images)
La Cdu, il partito della cancelliera, ha subito una batosta alle elezioni nei due Länder del Baden Württemberg e della Renania. Se il voto federale di settembre confermasse il trend, il blocco tedesco si indebolirebbe e Matteo Salvini guadagnerebbe peso negoziale.Quando cadono, le statue fanno rumore. È un frastuono quello che arriva dalla Germania, dove Angela Merkel ha perso le regionali in due länder strategici come Baden Württemberg e Renania, il peggior risultato della storia per la Cdu a sei mesi dalle elezioni federali del 26 settembre, che a questo punto potrebbero diventare un terremoto. La Kanzlerin ha da tempo annunciato il ritiro, ma il partito cristiano-democratico ha ancora Frau Angela come punto di riferimento; ne rimane la rockstar politica, il nume tutelare e da oggi il parafulmine.Più che la sconfitta in Renania (era già della Spd), a bruciare è la caduta della foresta nera e di Stoccarda a favore dei Verdi che raggiungono la vetta storica del 32% e lasciano la Cdu al 23,5% rispetto al 27% del 2016. Non è un crollo nei numeri ma lo diventa nell'impatto mediatico e psicologico. Nei 16 anni di reggenza, Merkel ha potato la grande quercia di centro in modo che andasse a cercare luce nel globalismo senza freni e si appiattisse sulle fragilità di Bruxelles. Un errore diventato letale nell'anno della pandemia: i tedeschi non le hanno perdonato lo scandalo sulle mascherine (con alcuni parlamentari coinvolti), la gestione dei vaccini e la scelta di Ursula von der Leyen per la guida tremolante dell'Unione europea. Ed eccoci al cuore del problema perché quando cadono, le statue sollevano anche un gran polverone. La progressiva crisi della Cdu è destinata a riverberarsi inevitabilmente sul Ppe, il maggior partito al Parlamento europeo, che determina politiche d'area e alleanze a Bruxelles. Il blocco tedesco è sempre meno dominante, anzi esce da queste elezioni balcanizzato e le scosse telluriche di settembre potrebbero aumentarne l'instabilità. In questo scenario diventa interessante seguire la marcia di avvicinamento della Lega di Matteo Salvini a un centro cristiano-democratico (un perimetro, non un manifesto) nel quale i «popolari» propriamente detti si stanno indebolendo. In Germania ma anche nel resto d'Europa i moderati ancien régime sono in difficoltà (all'esempio di Forza Italia si aggiungono quello del Partido popular spagnolo e dei Repubblicani in Francia), perché quando il messaggio è troppo morbido, in una stagione di di crisi parte dell'elettorato guarda alle estreme. La situazione potrebbe essere interessante per la Lega impegnata in una traversata del deserto. Il Carroccio si sta allontanando progressivamente da Identità e democrazia (Id) nonostante il rapporto personale fra Salvini e Marine Le Pen sia solido. Nel gruppo c'è un convitato di pietra, Alternative für Deutschland, i sovranisti tedeschi visti con grande diffidenza in tutto il mondo occidentale e soprattutto negli Stati Uniti. «L'agibilità politica è sempre un buon motivo per prendere le distanze, i matrimoni non sono indissolubili», spiega un colonnello della Lega vicino all'ala meno euroscettica, quella di Giancarlo Giorgetti.L'approdo in un Ppe a trazione (e prosopopea) merkeliana sarebbe difficile, se non presentandosi con il cappello in mano, opzione da escludere. Il mese scorso il presidente Manfred Weber aveva detto: «Il nostro partito in Italia è Forza Italia e al momento non c'è niente di nuovo da discutere. Giudicheremo dai fatti, passo dopo passo, il nuovo atteggiamento di Salvini». Un dialogo costruttivo con un centro popolare bisognoso di nuova linfa e vigore potrebbe invece risultare positivo per tutti. È vero che il Ppe ha come punto di riferimento italiano Silvio Berlusconi (uno dei pilastri), ma nulla è da escludere a priori. Anche perché un Ppe con la Lega potrebbe sopperire all'erosione di consenso e la Lega in un Ppe senza Merkel potrebbe avere un certo peso numerico. Non è forse vero che la politica è l'arte del possibile? Tempo fa lo stesso Giorgetti tracciò l'orizzonte a Bruxelles più favorevole alla Lega: «Non si tratta di entrare nel Ppe, non ci dobbiamo sposare, ma dobbiamo prendere atto che l'Europa esiste, che ci piaccia o no. Ritengo che il partito che governa in 15 regioni italiane ed è il primo in tutti i sondaggi debba confrontarsi con chi comanda in Europa. Ovvero con il Ppe. E chi è determinante nel Ppe? La Cdu tedesca. Non vuol dire che bisogna smettere di essere sovranisti, ma dobbiamo vivere questa accezione nel senso più autentico: la sovranità appartiene al popolo».La seconda strada percorribile è quella di realizzare un nuovo gruppo a destra del Ppe con gli 11 parlamentari ungheresi di Viktor Orban (Fidesz) in uscita proprio dalla casa dei popolari. E con i polacchi di Legge e giustizia (Pis), il partito di Jaroslav Kaczinsky, storico alleato dell'ungherese per affinità socio-culturali (valori comuni, primato della famiglia, gestione dei flussi migratori) e visione politica nella delicata area danubiana. Salvini spinge per questa seconda ipotesi: «Serve qualcosa di nuovo, un certo tipo di Europa non è in grado di rispondere alle emergenze, dopo quanto visto anche per il caos dei vaccini». La soluzione pone un problema non secondario: oggi i polacchi del Pis sono nel partito europeo Conservatori e riformisti (Ecr) guidato da Giorgia Meloni, favorevole a sua volta a far entrare Orban ma non la Lega, che diventerebbe la delegazione più numerosa, candidata a deleghe di responsabilità. A Roma dicono che la leader di Fratelli d'Italia, alla domanda sull'ipotesi Salvini nell'Ecr, risponda: «Je piacerebbe!». Che non significa no, di più.