2019-07-12
Tifoso di Moggi e ultrà dello zar Putin. Il cosacco verde che non parla russo
Gianluca Savoini, indagato a Milano, bazzica la Russia dai tempi di Boris Eltsin. Prima come mediatore per le pmi, ora pontiere con la politica. Nel Carroccio dal 1991, maroniano. Ieri il leader leghista ha detto: «Parla per sé».«Ai tempi di Boris Eltsin c'ero anch'io nel Parlamento a Mosca, quando fuori sparavano i colpi di cannone». Una vita in prima linea, a suo dire, ma con discrezione. Solitamente avvolto da un trench beige e protetto da uno sguardo diffidente, Gianluca Savoini sarebbe perfetto per la parte da caratterista in una spy story in bianco e nero, epoca Humphrey Bogart. Per esempio quella che sta vivendo, mentre il polverone si solleva altissimo e l'inchiesta avrà il suo corso come Garibaldi. Il primo a voler definire il perimetro del presunto scandalo è Giancarlo Giorgetti. «In giro c'è gente che millanta, qualche fanfarone le spara grosse e qualcuno in modo opportunistico approfitta del fanfarone per gettare discredito su Salvini». La seconda pennellata è proprio di Matteo Salvini: «Che ruolo ha Savoini per la Lega? Non lo so, chiedetelo a lui, parla a nome suo. È ridicolo tutto ciò che leggo». Il terzo ad avere dubbi sull'autenticità del Russiagate all'amatriciana è il premier Giuseppe Conte: «I pm indaghino ma mi fido di Salvini». In attesa di capire i retroscena della faccenda, il profilo di Savoini, che ieri risulta indagato dai pm di Milano, ci regala tre certezze: è il leghista più tifoso di Vladimir Putin, è uno juventino perso e ha sulla scrivania il busto di Benito Mussolini. Indro Montanelli aveva quello di Stalin («perché ha eliminato più comunisti di tutti»), quindi nell'esposizione dei memorabilia vale tutto. La passione calcistica e quella politica sono invece supportate da fatti concreti: Savoini vorrebbe essere amico di Putin come lo è di Luciano Moggi, da lui difeso a spada tratta negli anni bui di Calciopoli nei talk show delle tv locali con termini come complotto, macchinazione, «frutto avvelenato del 2006».Ex giornalista della Padania, 55 anni, dal 1991 nella Lega, Savoini è ligure della riviera di ponente. Nasce ad Alassio ma cresce a Laigueglia, il paese limitrofo, dove i genitori gestivano gli storici bagni Ondina, meta della buona borghesia ligure e piemontese, più il cantautore protoleghista Gipo Farassino. A detta dei conoscenti, in questi giorni destinatari di un ripasso mediatico, Gianluca era «un fedelissimo di Bobo Maroni». In paese si diffonde la voce che Savoini nel 1994 sia entrato a far parte dello staff dell'allora ministro dell'Interno. Di sicuro, quando il braccio destro di Umberto Bossi diventa governatore della Lombardia, Gianluca viene nominato direttore dell'ufficio stampa della regione. Prova una simpatia particolare per Mario Borghezio, il caterpillar del movimento, che si confronta con lui sulla storia del Terzo Reich. Ed è grazie all'eurodeputato più estremo che viene in contatto con gli uomini di Putin e di Marine Le Pen. Dopo due anni da portavoce di Matteo Salvini, fa parte della consulta per la politica estera della Lega. I suoi viaggi a Mosca diventano numerosi, entra in contatto con quel mondo di intermediari di import export che fanno affari con la nuova Russia ruggente e di frontiera, e che trasformano la hall dell'Hotel Metropol nella loro Piazza Rossa. Savoini viene definito «il cosacco della Lega», sposa Irina, una ragazza di San Pietroburgo dalla quale ha una bimba, e vive con la Russia nel cuore senza sapere una parola di russo. «Le lingue si imparano da giovani. Io da ragazzo ero un anticomunista convinto e mai avrei immaginato di avere a che fare così tanto con questo mondo».Oggi si difende sostenendo di non distinguere la benzina dal diesel (a proposito di affari petroliferi) e di essersi occupato soprattutto di cultura. È lui che nel 2014 vara l'associazione indipendente Lombardia-Russia e getta ponti verso il suo mito Putin. Ma tiene a precisare: «Con la politica estera della Lega non c'entriamo. È Salvini a dettare la linea». Però Savoini lavora, cuce, diventa uno sherpa. Non si limita ad allestire convegni, ma entra in sintonia con Aleksandr Dugin, l'ideologo di Putin, teorizzatore del fronte delle autoproclamate repubbliche caucasiche. Firma un appello per salvare la buona reputazione dello zar (e azzarda «I nostri valori sono i suoi»). Nomina presidente onorario della sua associazione Alexey Komov, ambasciatore russo all'Onu che sarà relatore al Congresso mondiale della Famiglia di Verona. Nel 2017 è promotore di un accordo di collaborazione fra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin. Nell'ottobre 2018 il Gianluca è fra gli organizzatori del viaggio diplomatico del leader leghista a Mosca e in Crimea. Nel recente ricevimento del premier Conte a Villa Madama con il numero uno russo c'è anche lui e posta la foto su Twitter.Il cosacco Savoini compare quando meno te lo aspetti, è un po' tenente Colombo e un po' Zelig. Sembra bravo a far credere che dietro il mistero ci sia il mistero e non il nulla. Agli amici assicura di avere rapporti anche con il re del Marocco e con i servizi segreti nella pericolosa lotta allo jihadismo internazionale. Due anni fa è al fianco di lady Akousa Puni Essien nello sgangherato tentativo di acquistare il Calcio Como, finito con un fallimento. In riva al lago il suo trench se lo ricordano tutti, e anche le sue prime due mosse: ingaggia come allenatore lo juventino Mark Juliano e silura il ds Gianluca Andrissi. Colpa sostanziale: è interista.