2023-03-29
Parigi salva i brigatisti e ci sfotte: «Da voi non potrebbero difendersi»
La Cassazione francese nega l’estradizione di 10 terroristi rossi italiani: «Sarebbe una violazione della loro privacy, qui si sono integrati bene». E su Facebook un assassino ex Prima Linea commenta: «Quanto godo».La Francia continuerà a proteggere i terroristi italiani degli anni di piombo. Lo ha deciso ieri la Corte di Cassazione transalpina. I giudici hanno respinto i ricorsi presentati dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Parigi, Rémy Heitz, contro le decisioni prese nel giugno 2022 della Corte d’Appello stessa. Apprendendo la notizia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato: «Prendiamo atto della decisione della Corte di Cassazione francese, che in piena autonomia ha deciso di negare l’estradizione in Italia di 10 ex terroristi». «L’Italia», ha concluso, «ha fatto tutto quanto in suo potere, perché fosse rimosso l’ostacolo politico che per decenni ha impedito alla magistratura francese di valutare le nostre richieste».La decisione della Cassazione francese suona come uno schiaffo alla giustizia italiana perché, nel comunicato con il quale la suprema corte ha annunciato la propria decisione, si trovano ancora i dubbi sul giudizio in contumacia dei quali si sono riempiti la bocca gli avvocati dei terroristi in questi anni. Un pretesto usato per descrivere la giustizia italiana come se fosse quella di una dittatura del terzo mondo. La Cassazione francese ricorda infatti che «la Corte d’appello, nel 2022, ha dato parere sfavorevole» alle domande di estrazione perché «molti dei richiedenti erano stati giudicati in loro assenza, senza avere avuto la possibilità di difendersi in occasione di un nuovo processo» perché «la legge italiana non offre questa garanzia». Come sappiamo, nessuno ha impedito agli ex terroristi di difendersi. E ieri lo ha ricordato anche Cristian Iosa - figlio di Antonio Iosa, ex esponente della Dc gambizzato dalle Brigate Rosse nel 1980 - che parlando con l’AdnKronos ha definito gli ex terroristi rossi dei «vigliacchi che hanno deciso semplicemente di scappare per non affrontare il giudizio in Italia».Il comunicato della Cassazione parigina ha anche ricordato che i giudici d’appello avevano riconosciuto il fatto che quasi tutti gli ex terroristi rossi vivono da anni in Francia, «Paese dove hanno una situazione familiare stabile» e dove «si sono inseriti professionalmente e socialmente, avendo interrotto qualsiasi legame con l’Italia». Cosicché l’estradizione rappresenterebbe «una violazione sproporzionata al loro diritto al rispetto della vita privata e familiare». Parole beffarde che sono state commentate via Twitter dal giornalista Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato dai terroristi nel 1972. «Pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e dei padri di famiglia, da parte di nessuno di loro c’è mai stata una parola di ravvedimento, solidarietà o riparazione» ha scritto il giornalista.La decisione della Cassazione francese ha però rallegrato Enrico Galmozzi, fondatore delle Brigate combattenti di Prima Linea, già condannato per gli omicidi dell’avvocato Enrico Pedenovi e del poliziotto Giuseppe Ciotta. Sul suo profilo Facebook, Galmozzi ha scritto «Quanto mi fa godere la Cassazione francese...».Così con quattro frasi, che riassumono un giudizio più articolato, la Francia ha scritto la parola fine a una tragedia italiana. Una fine che dimostra, una volta di più, quanto l’Italia debba dubitare delle parole dei presidenti d’Oltralpe. Questo è particolarmente vero da quando Emmanuel Macron è all’Eliseo. Nel 2017, poco dopo la sua prima elezione, l’attuale presidente francese aveva fatto saltare l’accordo sui cantieri navali di Saint-Nazaire, accettato dal suo predecessore François Hollande. Esso prevedeva che Fincantieri acquisisse il controllo degli impianti. Nella primavera del 2021, Macron aveva dato il via all’operazione «ombre rosse» conclusasi con il fermo di 10 ex terroristi italiani e il riavvio della procedura di estradizione. L’anno scorso, durante un vertice Nato a Madrid, l’inquilino dell’Eliseo aveva ribadito di aver «sostenuto la domanda del governo italiano per questi brigatisti» e di voler continuare ad applicare «la dottrina che ha sempre avuto la Francia», ovvero di respingere solo le domande di estradizione «di gente che non era implicata in reati di sangue». Macron aveva riconosciuto che i dieci ex terroristi non facevano parte di questa categoria e che la Francia doveva «rispetto» alle «famiglie delle vittime e alla nazione italiana». Ora verrebbe da chiedersi se il leader transalpino fosse naïf oppure se stesse mentendo. Nel frattempo Roma e Parigi hanno firmato il Trattato del Quirinale, dove, all’articolo 4 si prevede espressamente che Italia e Francia rafforzino «la loro cooperazione [...], nella prevenzione e nella lotta contro le minacce criminali transnazionali gravi ed emergenti, in particolare la lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo» e che si impegnino «ad approfondire la cooperazione tra le rispettive amministrazioni giudiziarie». A quanto pare da ieri, almeno in materia di giustizia, questo trattato è poco più che carta straccia. E cosi Roberta Capelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Narciso Manenti, Giovanni Alimonti, Enzo Calvitti, Giorgio Pietrostefani, Maurizio Di Marzio, Luigi Bergamin e Raffaele Ventura potranno continuare a fare la bella vita nella Ville Lumière.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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