2021-06-27
Vince Tempera: «Per poter suonare El negro zumbon ho disobbedito a Laura Boldrini»
Il grande compositore italiano racconta la sua carriera ricca di successi e brani che hanno formato la cultura popolare: «Quando ero sul palco con Guccini il pubblico chiedeva le sigle dei cartoni animati».Vince Tempera è uno dei più grandi compositori di tutto il mondo. Nato a Milano nel 1946, nel corso della sua sterminata carriera ha lavorato con Francesco Guccini, ha scritto alcune delle sigle tv più famose di sempre, ha firmato celebri colonne sonore, ha duettato con alcuni dei più grandi artisti di ogni tempo e ha dimostrato di padroneggiare i generi più disparati. Il primo luglio, ad esempio, si esibirà a Cattolica in un omaggio a Lucio Dalla per i 50 anni del brano 4 marzo 1943. L'intervista che state per leggere è andata in onda su Rpl, e sul sito radiorpl.it potete riascoltarla in versione integrale scaricando il podcast del programma Piccola patria. Maestro, tra i suoi capolavori c'è la colonna sonora di Fantozzi. Come è nata la collaborazione con Paolo Villaggio?«Conobbi Villaggio nel 1967. Lui debuttava nei panni del professor Kranz in un programma della domenica pomeriggio. Lì era fissa la cantante Carmen Villani, io ero il suo pianista. Con Villaggio poi ci siamo rivisti a Napoli, a Senza rete. Quando uscì il primo libro di Fantozzi e si pensò di produrre il primo film per la regia di Luciano Salce, io lavoravo in un trio musicale che faceva film, con Franco Bixio e Fabio Frizzi. Il padre di Frizzi era direttore generale di Cine Lux. Ci diedero l'incarico di scrivere la colonna sonora di Fantozzi. Io volevo un motivo sonoro che ricordasse i cartoni animati, come quelli di Wile Coyote, in cui ci sono tante scene brevissime accompagnate da musiche». (Il maestro accenna alla tastiera note conosciute). Questa è la colonna sonora della Corazzata Kotiomkin? «Esatto. La scrissi un po' come presa in giro... Ho sempre voluto smitizzare questa kultura con la “k" che ci ha rotto i coglioni per 50 anni, per renderla più leggera». Da Villaggio passiamo a un'altra icona: Francesco Guccini. «Con Guccini ci siamo conosciuti sempre nel 1967. Lui è un socialista-liberale-anarchico, schierato in fondo a sinistra. Invece io sono un liberale anarchico, senza il “social". A volte ci infilavamo in certe discussioni io e lui... Sia prima sia dopo i concerti. Infatti ultimamente gli ho sentito dire in una intervista che dei concerti gli mancano i suoi amici musicisti. “Del resto", ha detto, “non me ne frega più niente"».Che cosa facevate prima e dopo il concerto? «Prima del concerto c'era una tavola imbandita molto alla contadina: prosciutto, mortadella, formaggi, vini rossi, bianchi, rosé, birre, Coca-Cola e aranciata. E mangiavamo».Una cena leggera. «No, era una merenda. Perché mangiavamo alle cinque del pomeriggio. Poi nei camerini ricevevamo i nostri amici. Francesco riceveva tutti, non ha mai rifiutato nessuno. Perché il pubblico, il tuo pubblico, è importantissimo. Lui non ha mai vissuto le crisi che hanno i cantanti attuali, tipo quella di Madame. Quando uno bussava, lui apriva la porta. Finito il concerto, si andava in pizzeria. Non ristorante: pizzeria, a patto che lui potesse fumare. E poi si andava avanti a cazzeggiare fino alle 4 o 5 del mattino, bevendo prima vino, poi birra, poi qualche analcolico tipo grappe, eccetera (ride)».Erano tour impegnativi, se non altro per quello che mangiavate. «Sì, infatti, lui ha avuto qualche problema, io la pressione alta, un paio sono morti».Un mestiere pericolosissimo, il musicista. «Nel nostro caso, sì. Però ci siamo divertiti».Dalla profondità di Guccini passiamo a qualcosa di più leggero; i cartoni animati. Quale è stato il primo? «Il mio primo cartone è del 1978, Ufo Robot. In quel periodo, in due anni, abbiamo venduto circa 5 milioni di singoli». Come nasce Ufo Robot? «Eravamo io e Luigi Albertelli, che poveretto è morto due mesi fa, ma non di Covid, di vecchiaia. Eravamo in un corridoio alla Rai, in attesa di un cantante, che era in ritardo di due ore. Fu allora che ci dissero che c'era questo cartone animato giapponese che sarebbe andato in onda da lì a un mese e che avrebbe avuto bisogno di una sigla».E avete accettato di scriverla. «Quella originale giapponese era orrenda. Dissi a Luigi: “Non voglio scrivere una cosa da deficienti, perché i bambini, in realtà, sono più intelligenti di quello che noi pensiamo". Dopo qualche giorno, al cinema, vidi Rocky. Sentii quel brano famoso con le trombe...»Gonna fly now, di Bill Conti.«Sì. Ascoltai quelle trombe e mi dissi: “Ecco, questo è l'inizio di Ufo Robot". E poi in tre minuti scrivemmo la canzone».Dica la verità: a lei piacevano i cartoni?«Guardi, io sono un collezionista di Urania dal 1954. La fantascienza è sempre stata il mio pane. Quindi quando ho visto i robottoni con Luigi ci siamo subito buttati. Goldrake, Capitan Harlock. Vuole una storia su Capitan Harlock?».Magari. «Io e Luigi scriviamo la sigla di corsa perché in Rai ci avevano chiesto di attivarci appena 10 giorni prima. Andiamo a Roma, dalla dirigente responsabile dei cartoni, e quando sente la sigla scuote la testa: c'è qualcosa che non va. “Eh", ci dice, “c'è quella frase che dovete tagliare". E noi: “Quale?". “Teschio nero"». Beh, Capitan Harlock è un pirata, è normale che ci fossero di mezzo dei teschi... «Secondo la dirigente Rai “ricordava il fascismo". Siamo dovuti tornare a Milano, tagliare con le forbici quelle parole, montarne altre, e rimandare la sigla. Che è uscita in versione censurata da questa signora molto ossequiosa».In compenso la sigla di Anna dai capelli rossi ha un retroscena diciamo «politico» molto diverso...«La fortuna di farei cartoni animati, quando cominciai, era che non avevamo alcun controllo da parte delle case discografiche. Dicevano ad Albertelli: “Domani c'è l'incisione, fai quello che vuoi". Quindi noi eravamo liberi di fare quello che volevamo e di creare. È così che abbiamo venduto milioni di dischi! Ad un certo punto i critici mi chiesero a chi mi fossi ispirato per Anna dai capelli rossi, avanzavano ipotesi citando vari artisti. Dissi: “No, vi sbagliate, non avete capito niente, io mi sono ispirato a Bandiera rossa!"». E fu un altro successo.«La cosa ridicola è che durante, i concerti con Guccini, il pubblico gridava: “Ufo Robot! Remi! Anna dai capelli rossi! E lui si girava e diceva: “Oh, voi avete fatto due canzoni ma qui al mio concerto chiamano voi e non me". Io replicavo, scherzando: “Ma Francesco, in una di queste canzoni echeggia il nostro inno!"».Lei è riuscito a conquistare anche Quentin Tarantino. «Nel 1975, sempre con gli amici Bixio e Frizzi, scriviamo la colonna sonora di Sette note in nero per Lucio Fulci. Il quale, per inciso, fu anche il paroliere di 24.000 baci di Celentano. Bene, dopo 35 anni Sofia Coppola, allora fidanzata di Tarantino, stava cercando in un mercatino un regalo per il suo compleanno. Trovò il 45 giri di Sette note in nero. Lui in quei giorni stava finendo di montare Kill Bill. Il giorno dopo aver sentito il disco ha chiamato Roma e ne ha comprato i diritti. Come vedete, nella vita a volte bisogna avere fortuna...».Nei suoi concerti lei non suona soltanto i suoi brani, ma pure colonne sonore firmate da altri. «Sì, perché forse molti non lo sanno, ma l'Italia è, dopo gli Stati Uniti, il Paese più premiato per le sue musiche».Quali ama di più? «Nei miei concerti faccio sempre un omaggio a un grande compositore, Armando Trovajoli. (Il maestro accenna un altro motivo al piano, ndr). Questa è una musica tratta da un film con Silvana Mangano, bellissimo, degli anni '50. Il titolo è El negro Zumbón».Un brano meraviglioso, che in tanti hanno interpretato. «Senta questa. Qualche anno fa ero in Parlamento, per una esibizione. Tra i titoli in scaletta inserisco anche El negro Zumbón. Venne la presidente della Camera dei deputati di allora...». Laura Boldrini?«Bravo! Mi disse: “Maestro, non si può dire... El negro Zumbón! E io: “Mi scusi ma è il titolo registrato alla Siae, cosa vuole che le dica?". Per altro in questo brano non c'è nulla di offensivo, figuriamoci. Però oggi sta diventando tutto problematico...».Lei però alla fine quel brano lo ha eseguito, e ha letto anche il titolo... Le chiedo un ultimo ricordo, sulla colonna sonora di Febbre da cavallo, un film di culto. «Soprattutto a Roma Febbre da Cavallo è molto popolare. Roma è una città di giocatori. Quando abbiamo registrato la colonna sonora del film eravamo a Milano, in uno studio sui Navigli. Quel giorno uno dei coristi, durante la pausa, faceva lo stupido davanti al microfono. Si era messo a fare dei rumori, battendosi sul petto produceva un suono simile a quello degli zoccoli dei cavalli. Lo abbiamo registrato e nel film è rimasta quel suono, che poi ha fatto il successo del brano. Allora c'era ancora l'idea che la musica fosse un veicolo di promozione. Se mandavano in radio la canzone di Febbre da Cavallo era ovvio che poi la gente lo sentisse, e il film ne guadagnasse… Da noi però la musica è quasi scomparsa. Oggi i produttori ti chiedono quasi sempre qualcosa di neutro...».(Ha collaborato Giuliano Guzzo)