2022-06-21
Taxi del mare in attesa con 850 clandestini
Davanti alle nostre coste tre navi delle Ong aspettano di poter sbarcare: Sea Eye 4 ne ha 474, Aita Mari 112 e Sea Watch 261. Sono tutte imbarcazioni straniere, ma vengono qui in automatico. Per non parlare degli scafisti che approdano a getto continuo.I numeri degli arrivi si impennano ma le redistribuzioni promesse restano sulla carta.Lo speciale contiene due articoli.Tre taxi del mare bussano alle porte dell’Italia con 850 passeggeri da scaricare, mentre il flusso sulle coste calabresi e siciliane, prese di punta dagli scafisti, non si arresta. Con gli hotspot che scoppiano il Viminale sembra non sapere che pesci prendere. E temporeggia. A poco meno di 20 miglia da Pozzallo è ferma da tre giorni la tedesca Sea Eye 4 con 474 persone a bordo: «Alcuni hanno già trascorso sette notti in mare», avverte l’equipaggio, «un tempo troppo lungo per persone esauste, molte delle quali necessitano di cure a terra». E anche se in 18 sono stati evacuati perché le condizioni di salute si erano fatte gravi, la vicenda ricorda da vicino quella della Open Arms (agosto 2019), che ha prodotto un processo contro Matteo Salvini. In coda, subito dietro la Sea Eye 4, c’è la spagnola Aita Mari con 112 passeggeri a bordo da sei giorni. «Meritano un’attenzione dignitosa e una risposta rapida», affermano dalla Ong. Ce ne sono 261 sulla Sea Watch 4, che ha scelto Lampedusa: «Dopo quasi 24 ore di mancata assistenza da parte di Italia e Malta, la nave ha preso a bordo anche le 96 persone soccorse da un mercantile», accusa la Ong tedesca. E con le rotte totalmente incontrollate e i porti aperti c’è anche una barca dispersa tra Tunisia e Italia. Domenica sera Alarm Phone era stata allertata per un’imbarcazione partita dal porto tunisino di Sfax per raggiungere Lampedusa. Da allora è irrintracciabile. Nel frattempo le Procure stanno cercando di contrastare le frenetiche attività degli scafisti. Ieri, a Siracusa, gli investigatori della Squadra mobile ne hanno fermati due, entrambi turchi, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché avrebbero portato a riva 83 tra egiziani e siriani il 18 giugno. Uno dei due fermati è stato trovato in possesso di armi e munizioni (21 cartucce di vario calibro e due coltelli a serramanico). Anche in Calabria ci sono due presunti scafisti fermati: hanno tentato di avvicinarsi alla costa della Locride con una barca a vela con a bordo ben 135 afghani. Sono un turco e un siriano. I sospetti sono emersi subito dopo lo sbarco dell’altro giorno a Roccella. Al momento c’è un’attività di polizia giudiziaria condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato di Siderno, ma non sono ancora stati emessi provvedimenti dall’autorità giudiziaria. E ieri, sempre a Roccella, ne sono arrivati altri 137, anche questi afghani. Viaggiavano su un veliero che è stato intercettato a largo della costa. Ora sono tutti nella tensostruttura fatta costruire lo scorso anno dal Viminale sul molo, che comincia a riempirsi. Come a Lampedusa, dove la Prefettura per cercare di alleggerire l’hotspot sta spedendo con degli autobus per l’Italia i richiedenti asilo.«Il dato delle registrazioni in hotspot è tornato simile a quello del 2017, ma con una prevalenza di presenze a Lampedusa pari a quattro volte quella raggiunta in quell’anno», tuona il Garante dei diritti dei detenuti Mauro Palma, certificando l’agghiacciante ritorno al passato targato Draghi-Lamorgese. «Anche la composizione», spiega il Garante, «è stata simile al passato: la prevalenza è di persone tunisine, circa un terzo del totale, seguite da quelle egiziane».Ma c’è un altro dato che fa franare miseramente la propaganda messa in campo dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese: «Nel 2021 meno della metà delle persone transitate nei Centri per il rimpatrio è stata effettivamente rimpatriata. L’inefficienza del sistema permane». E smentisce Lamorgese, che qualche giorno fa ha affermato che «l’accoglienza è un problema strutturale»: «Il tema», denuncia il Garante, «continua a essere affrontato in termini emergenziali e non strutturali, quasi fosse ancora un problema nuovo». «In Italia dopo due anni di pandemia gli immigrati clandestini non possono più sbarcare dalla mattina alla sera senza più controllo e con 5 milioni di italiani in povertà. Non possiamo vedere sbarchi senza limiti», ha detto ieri Salvini. «Con oltre 800 migranti su navi di Ong che sventolano bandiere non italiane a largo delle nostre coste, vorremmo sapere dove è finita la promessa di aiuto tanto sbandierata dall’Ue e salutata con toni trionfalistici da Lamorgese solo venerdì scorso», ha commentato il deputato di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha aggiunto: «Le promesse non mantenute sono la causa della continua pressione a cui è sottoposta l’Italia. Abbiamo chiesto in ogni modo il dettaglio del nuovo accordo annunciato ma evidentemente dopo la “sòla” degli accordi di Malta siamo di fronte all’ennesima beffa». E ha cercato di stanare il ministro: «Lamorgese ci dica a cosa è vincolata l’Italia e come intende rispondere alle richieste delle Ong. Di sicuro non può permettersi nuovi sbarchi, quei migranti dovrebbero essere dirottati altrove e magari proprio in quei Paesi che hanno la medesima bandiera delle navi che li trasportano». E anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è sulla stessa linea: «Basta scaricabarile, l’Italia non può permettersi un’estate di sbarchi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/taxi-mare-attesa-850-clandestini-2657538746.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lue-fischietta-il-viminale-dorme-qualcuno-svegli-la-lamorgese" data-post-id="2657538746" data-published-at="1655819164" data-use-pagination="False"> L’Ue fischietta, il Viminale dorme. Qualcuno svegli la Lamorgese Ha chiesto un «porto sicuro» per tre volte ma nessuno le ha risposto; la grande truffa dell’Europa si fonda sul silenzio. Quando la Sea Eye 4 ha lanciato l’emergenza la prima volta era ancora in acque libiche e aveva a bordo 370 migranti; nessun problema, si punta come al solito sull’Italia. La rotta porta a Lampedusa ed eventualmente ai porti siciliani di Marina di Ragusa e Pozzallo, il computer di bordo ce l’ha in memoria. Il giorno successivo altra richiesta in acque internazionali dalla nave baltica dell’Ong tedesca, e altro silenzio; nel frattempo i disperati erano diventati 488. Alla terza richiesta, ieri, non c’era neppure bisogno di rispondere: la prua solcava già acque italiane, ormai si va a Pozzallo in automatico. Formalismi e consuetudine rispettati; a questo punto basta sapere il numero della banchina d’ormeggio. Il business dell’accoglienza comincia così e l’arrivo di oltre 850 clandestini in un giorno (ai 488 vanno aggiunti i 112 della spagnola Aita Mari e i 261 della Sea Watch 4) fa riesplodere il dramma di un’emergenza infinita, che nasce e si sviluppa senza una parola del Viminale. Il silenzio avalla la consuetudine e impedisce la redistribuzione. Tutto avviene come se si trattasse di shuttle o di traghetti, e allora sarebbe il caso di ufficializzare il tableau degli orari. Per Bruxelles è una manna, sembra che il problema neppure esista. Eppure il viaggio dei nuovi schiavi può essere monitorato ogni minuto grazie alle informazioni che le stesse Ong postano sui social in modo limpido e compulsivo. Nessuna imbarcazione che chiede asilo all’Italia viene dirottata a Malta, in Spagna, in Francia o in Grecia. Non esiste coordinamento e la solidarietà internazionale è un concetto privo di significato. Il sistema è questo, la vergogna di un Paese senza sovranità territoriale è nei fatti. E Lampedusa è nuovamente al collasso: l’hotspot che può farsi carico di 350 persone ne ha più di 1.500. In questi casi la nave Diciotti ne imbarca una parte e li scarica ad Augusta, dove vengono stipati nei pullman. Destinazione (anche qui silenziosa), le altre regioni italiane per la felicità di associazioni e cooperative che hanno ricominciato a fatturare alla grande. E poi le periferie degradate, l’alta percentuale di miseria, l’impossibilità di assorbimento, la radicalizzazione, il rigetto talvolta violento nei confronti della società che crea emarginati. Infine casi come quello di Peschiera. Precisi a Saint-Denis a Parigi o al quartiere Ariane a Nizza 20 anni fa. Uno scenario desolante che ha come responsabile principale il ministro Luciana Lamorgese, teorica dell’accoglienza diffusa (è la dottrina del Pd e di Sergio Mattarella). In tre anni e due governi non è riuscita a compiere neppure il primo passo verso il coinvolgimento politico dell’Europa al rispetto degli accordi di Malta. Fu lei a firmarli, fu ancora lei a sottolineare la svolta dopo la stagione dei porti chiusi del suo predecessore Matteo Salvini. I termini erano contenuti in due parole: redistribuzione (dei flussi in Europa) e rotazione (dei porti). Ora siamo alla beffa. Nessuna redistribuzione, tranne qualche pietoso e sporadico segnale di Portogallo, Francia e Germania. E nessuna rotazione, se non quella provocatoria fra Lampedusa, Siracusa, Pozzallo, Marina di Ragusa e Catania. Due mesi fa a Venezia, nel summit fra i Paesi europei del Mediterraneo, Lamorgese ha ribadito: «Auspichiamo un adeguato meccanismo di redistribuzione che dovrà coinvolgere un numero ampio di Stati membri». Parole, le solite, mentre il silenzio delle istituzioni continua a coprire rotte percorse secondo automatismi collaudati. I numeri raddoppiano, triplicano e la ministra abbozza, alimentando una passività che non ha nulla di operativo. A questo punto è più comprensibile la posizione di Laura Boldrini, che con il suo «accogliamo tutti» ottiene almeno un dividendo elettorale. Il corto circuito è completo, ma adesso siamo «buoni» e facciamo finta che non esista il lungo tragitto degli schiavi. La nostra è una coscienza a forma di salvagente. Con il buco.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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