2020-06-02
Tasse giù grazie al Recovery? Bugia. La Ue parla di 20 miliardi di imposte
Il commissario al Bilancio, Johannes Hahn, spiega come si sosterrà il piano europeo: con una stangata su 70.000 imprese Intanto Praga boccia il fondo e i deputati tedeschi tuonano: «Non finanzieremo noi i tagli fiscali per l'Italia»Abi, Coldiretti, Ance e altre sigle invocano il Salvastati. Fanno politica: i soldi sono per la sanità e non si sommano al deficit Lo speciale contiene due articoliVi raccontiamo da mesi dei rapporti con le istituzioni europee e spesso temiamo di essere troppo arditi nelle nostre esposizioni dei fatti e nella loro valutazione. Tuttavia, la realtà scava ogni giorno un solco ancora più profondo di quello che avevamo provato a tracciare. I peggiori dubbi sul Recovery Fund, che avevamo cautamente introdotto sin da giovedì 28, negli ultimi giorni sono stati ripresi e approfonditi sulla grande stampa europea e, soprattutto, sono stati fatti propri da autorevoli leader politici stranieri.Buoni ultimi, dopo olandesi, svedesi ed ungheresi, sono arrivati il ministro delle Finanze austriaco Gernot Bluemel e il premier ceco Andrej Babis. Il ventaglio degli aggettivi spazia da «inaccettabile» a «inammissibile». Sembra sia stato scoperchiato il vaso di Pandora delle contraddizioni della Ue. L'intervista rilasciata domenica al Financial Times dal Commissario Ue al bilancio, l'austriaco Johannes Hahn, è per diversi aspetti clamorosa e torna sui due aspetti più controversi dell'iniziativa della Commissione: chi paga e per fare cosa. La risposta alla prima domanda è secca: i contribuenti dell'Unione. In particolare, Hahn progetta di far partire entro il 2027 un'imposta per circa 70.000 imprese con più di 750 milioni di fatturato che dovrebbe generare un gettito annuo pari a circa 15/20 miliardi. Si tratterà di una cifra forfettaria, parametrata alle dimensioni dell'impresa: una sorta di corrispettivo per i benefici del mercato unico, necessaria per il servizio del debito emesso dalla Commissione.Ma questo è il meno. Infatti, Hahn manda in frantumi tutta la stantìa retorica dell'unione di bilancio e del debito condiviso. «Solo una operazione limitata nel tempo per investire, indebitandosi sui mercati, nella ripresa e nella resilienza dei Paesi più colpiti dal Covid 19. Non si introduce nulla dalla porta di servizio». Hahn aggiunge che «non è sostenibile che un Paese richieda sempre aiuto perché non è in grado di finanziare per conto proprio la ripresa. È come suonare la sveglia per alcuni Paesi. Gli investimenti e le riforme innescati dal Recovery Fund, consentiranno a certi Paesi di reggere meglio all'urto di crisi future. Nel passato, alcuni Paesi, sempre gli stessi, sono sempre stati più colpiti dalle crisi rispetto ad altri. Questi aiuti gli consentiranno di essere meglio attrezzati in futuro e di essere meno dipendenti dall'aiuto altrui». Altro che solidarietà: ci pagano (forse) le spese di riabilitazione e palestra per combattere meglio nel ring della competizione mondiale a colpi di deflazione, flessibilità del lavoro e dei mercati. D'altronde, il loro modello sociale è «homo homini lupus» di Thomas Hobbes, e per quello ci foraggiano.Purtroppo i conti di questo tanto decantato aiuto continuano a non tornare. E ce lo conferma un dibattito avvenuto tra i parlamentari tedeschi di cui riferisce il quotidiano Handelsblatt. Le perplessità espressi dai tedeschi sono numerose: si dubita dell'effettiva capacità di spesa della Commissione, alle prese con un volume di attività pari a più del doppio del solito; si dubita della capacità dell'Italia di presentare progetti fino a 170 miliardi per ricevere sussidi e prestiti; «Non siamo qui per finanziare i tagli fiscali per l'Italia con i nostri soldi», tuona un deputato; infine, si ipotizza la necessità di una maggioranza qualificata (2/3) del Bundestag per l'approvazione del fondo. I tedeschi affermano, senza peli sulla lingua, che finora le raccomandazioni della Commissione per Roma si sono rivelate una «tigre di carta» e il Recovery Fund offre l'occasione per risvegliare riforme dormienti.Il bilancio finanziario per il nostro Paese continua a fare acqua. Infatti, al fine permettere alla Commissione di emettere fino a 750 miliardi di obbligazioni con rating tripla A in 4 anni, è stato raddoppiato (dall'1% al 2% del Pil) il tetto di risorse proprie che la Commissione può richiedere agli Stati. In sostanza, la Commissione offre in garanzia ai mercati la possibilità di generare entrate per circa 1.100 miliardi, soprattutto richiedendole agli Stati. È vero, si tratta di garanzie, non di esborsi, ma comunque l'Italia si impegna, da subito, per almeno 96 miliardi (12,8% circa di 750 miliardi di maggiori contributi al bilancio Ue, ma formalmente sono ben di più), altrimenti la Commissione non può emettere bond. In ogni caso, dopo il 2028, quei 750 miliardi dovranno essere rimborsati dalla Commissione: 250 miliardi con le rate ricevute dai Paesi beneficiari dei prestiti, e gli altri 500 con maggiori tasse Ue o contributi degli Stati membri. Si tratta di pagare circa 64 miliardi. Ma siamo così sicuri di presentare progetti per investimenti e riforme sfruttando per intero i 68 miliardi del Rrf (o gli 81 del totale delle misure)?Se il bilancio del prossimo settennio ci vedesse contribuenti netti per una somma ancora superiore ai circa 36 miliardi del precedente settennio e il saldo complessivo diventasse negativo, sarebbe proprio una magra consolazione poter dire che l'avevamo detto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tasse-giu-grazie-al-recovery-bugia-la-ue-parla-di-20-miliardi-di-imposte-2646147055.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="confindustria-c-pregano-fate-presto-con-il-mes-ma-a-loro-non-cambia-nulla" data-post-id="2646147055" data-published-at="1591086945" data-use-pagination="False"> Confindustria & C. pregano: «Fate presto con il Mes». Ma a loro non cambia nulla «Fate presto», per carità. L'aria di déja vu è più che giustificata, a meno di nove anni da quello che divenne l'inno dell'insediamento di Mario Monti . Oggi lo spread è sotto quota 200, ma a soffiare una brezza simile a quella del 2011 ci si mette una nutrita serie di sigle datoriali. Ecco la loro nota congiunta: «Esortiamo il governo, il Parlamento e le forze politiche a utilizzare fin da subito tutte le risorse e gli strumenti che l'Europa ha già messo a disposizione, a partire dai fondi per sostenere i costi diretti e indiretti dell'emergenza sanitaria. Non farlo sarebbe una scelta non comprensibile e comporterebbe una grave responsabilità verso il Paese, i suoi cittadini, le sue imprese». Firmato Abi (sic), Alleanza delle cooperative italiane, Ance, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Copagri. Senza citarlo, il Mes è il convitato di pietra. Non solo perché il riferimento a «costi diretti e indiretti dell'emergenza sanitaria» è lampante, ma anche perché è l'unico strumento pronto, visto che il rimpallo tra Eurogruppo, Consiglio europeo e Commissione sul Recovery fund ha finora prodotto l'azzeramento dei «coronabond» e un piano sui cui tempi e sulla cui attuabilità, vista la difficoltà di accordo politico sulla ripartizione, è lecito avere dubbi. Ora, le associazioni fanno benissimo a chiedere che il governo spenda, e domandare che impieghi danaro a loro favore è nella loro natura di corpi intermedi: ci sarebbe da stupirsi del contrario. Ma ci sono due considerazioni di fondo che lasciano molti dubbi sul senso dell'appello diramato nel weekend dalle varie sigle. La prima è quantitativa: il Mes dovrebbe portare risorse fino al 2% del Pil, ma è stato detto e ripetuto in ogni lingua che coprirà solo spese «dirette e indirette» di natura sanitaria legate al Covid 19. Come più volte spiegato su queste colonne, ben difficilmente è possibile annoverare in questa categoria spese per 30 miliardi. Del resto, lo stesso documento del governo ha indicato in 1,7 miliardi la spesa sanitaria extra per il comparto dovuta all'emergenza pandemica. Per quale motivo - ad esempio - Coldiretti dovrebbe premere perché l'Italia acceda a questo strumento, che al 99% non riguarda il proprio compartro? Anche lasciando perdere le condizioni che il Mes trascina con sé (piani di rientro controllati dalla troika, creditore privilegiato che mette a rischio gli altri creditori eccetera), non si capisce l'insistenza delle associazioni nei confronti di capitoli di spesa che non riguarderebbero loro, se non marginalmente. Ma la seconda obiezione è più sostanziale. Alle categorie che hanno firmato l'appello pare sfuggire un dato piuttosto clamoroso: le risorse eventuali del Mes non sono aggiuntive rispetto al deficit fissato dal Parlamento per il 2020, che ammonta a 75 miliardi circa - di cui 55 tardivamente stanziati a lockdown in corso da settimane. Ovvero: anche qualora il Mes desse 50 miliardi, le risorse a disposizione del Paese come differenza tra entrate e uscite non diventerebbero 125. Semplicemente, dei 75 miliardi previsti 50 verrebbero finanziati dal Mes, con tutto ciò che ne consegue. Confindustria & C hanno infinite ragioni per lamentare la scarsità di risorse impiegate dal governo nella pandemia, a maggior ragione dopo che Conte e i suoi hanno chiuso milioni di aziende per legge. Ma come l'esecutivo reperisca tali risorse è, a parità di importi, completamente indifferente per un'azienda che riceva sussidi o per un dipendente cui venga accreditata la cassa integrazione. Come si spiega dunque un appello congiunto in favore di una di queste scelte politico-finanziarie di approvvigionamento? Enrico Letta ha fatto il ministro e il premier: non può non aver perfettamente presente la dinamica con cui un Paese si finanzia. Ieri a Formiche ha rilasciato un'intervista in cui, tra le altre cose, ha detto: «Abbiamo una sanità distrutta, in particolare quella lombarda. Con i fondi del Mes si potrebbe finanziare un piano per mille comuni italiani rurali. Per un piano del genere servono risorse europee, utilizzando esclusivamente soldi italiani non ce la faremmo». È falso, ma a suo modo utile. Aiuta a capire che, forse, la prospettiva dei vertici delle categorie è solo politica, e non di rappresentanza. L'appello al Mes serve a dare l'impressione di un Paese che non chiede altro.