2025-03-24
«Tanti critici mi snobbavano Eppure far ridere è difficile...»
L’attrice Barbara Bouchet: «Non mi sento una diva. Di certi film non vado fiera, ma fanno parte della vita. Molte mie colleghe si preoccupano per il fisico e aspettano troppo prima di fare un figlio».Piglio deciso, occhi di un così intenso acquamarina che parlano una lingua universale. Quella della bellezza. Di essa, con il suo benestare, si è appropriato il cinema e soprattutto in Italia ha svolto la sua carriera. Barbara Bouchet, di origini tedesche, il cui cognome originale è Gutscher, è nata in una cittadina oggi della Repubblica Ceca ai confini della Germania. Quale ricordo conserva della sua famiglia?«Mio padre era un fotografo, e anche mio nonno. Mio nonno aveva un cinematografo in Cecoslovacchia, nella città che oggi si chiama Liberec, dove sono nata. Quando sono arrivati i russi ci hanno chiesto di lasciare casa. La mamma diceva di aver fatto l’attrice, forse fece la comparsa…».Com’era da bambina? «Essendo la primogenita di cinque figlie, ho dovuto fare la mamma. In Germania sono stata anche bene, un paese piccolo, dove non c’è niente, penso che la primogenita sia sempre quella che si deve occupare dei fratelli». Il papà e la mamma l’hanno influenzata per la sua scelta professionale? «Papà mi fotografava sempre e poi mi diceva quali erano le pose migliori, “questa sì, questa con la testa più su…”. Insomma sono cresciuta con il posare e probabilmente anche sul fatto di essere considerata una bella ragazza». Quanti anni aveva e come si è trovata quando, con la famiglia, si è trasferita negli Stati Uniti? «Siamo emigrati in California quando avevo 12 anni. Mia mamma pensava “chissà dove andiamo”, ma siamo finiti sui campi di cotone perché il nostro sponsor aveva una fattoria di cotone. Lei voleva tornare indietro. Erano tutte esperienze nuove. Devi imparare la lingua, come si vive. Io ho vissuto la cosa abbastanza bene. A scuola ho avuto qualche inconveniente perché le ragazze erano soprattutto messicane. Anche i loro genitori lavoravano sui campi, ma non piaceva quest’aliena, alta, capelli lunghi biondi e occhi celesti…». Già allora era corteggiata?«No, i primi due anni là in campagna, no. Poi siamo andati a San Francisco, ma anche lì non ricordo nessuno… Ricordo i ragazzi che cercavano la fama e cercavano un appuntamento per il casting. Mi sono iscritta e piano piano sono riuscita ad avere la mia prima particina, ma con Marlon Brando e David Niven, manco sapevo chi erano. Non conoscevo ancora il cinema. Per me era importante poter lavorare, guadagnare. La mia grande cosa nella vita è sempre stata essere autonoma, non dipendere da nessuno».All’inizio, in America, lavorò in televisione…«Da ragazzina, prima di lasciare San Francisco, c’era questo programma in tv, Dance party, dove i ragazzi si radunavano e ballavano con la musica. Da lì questa premiazione che non mi hanno dato per un concorso che ho vinto e allora dico “vado a Los Angeles”. Sono stata ospite di una modella che mio padre fotografava, mi ha fatto stare con lei. Oggi se ci penso, ma Dio mio, come ho fatto? Los Angeles, città enorme, a cercare fortuna, trovai una scuola, Hollywood professional school…». Ebbe un ruolo anche in un episodio di Star Trek, nella parte dell’aliena Kelinda…«Esatto. Non era un fatto di divertirmi. Andavo per lavorare. Era il mio ruolo. Non sapevo che Star Trek era diventato un cult. Un giorno m’invitano a New York per firmare autografi. Dico “autografi di che?, chi mi conosce?”. Già esisteva il club dei fans, i trekkie, ma chi lo sapeva?». Quanto ha contato la sua grazia fisica? «Roberto, la bellezza mi ha dato la possibilità di entrare dalla porta. Poi toccava a me saper fare il mio mestiere. Di belle ce ne sono a bizzeffe».Poi giunse in Italia e diventò una diva…«Non mi piace la parola diva, non mi sento diva, sono una persona normale, non mi piace nemmeno icona, due cose che non fanno parte del mio carattere».Sì, tuttavia è diventata molto famosa in Italia. «C’erano due italiani che cercavano un’attrice americana. Sono andati nella mia agenzia in America, avevo appena finito Sweet Charity con Shirley MacLaine. Videro la foto e dissero “questa ci va bene”. All’epoca ero a New York. Mi hanno raggiunto offrendomi questo film in Italia. Non sapevo manco di che cosa si trattava. Ma mi piaceva l’idea di viaggiare e vedere l’Italia, ho accettato per questo». Qual era il film?«Colpo rovente (1969, regia di Piero Zuffi e con la partecipazione di Carmelo Bene, ndr)». L’italiano lo conosceva già?«No, neanche un po’. Ero sempre doppiata, fin che non ho imparato la lingua». Tra i moltissimi film cui ha partecipato, commedie sexy all’italiana ma anche polizieschi anni Settanta come Milano calibro 9, dove interpreta una ballerina di go-go dance, quale le piace di più?«È come chiedere a una mamma che ha tanti figli quale ama di più. Non lo so, non li ricordo nemmeno tutti. Alcuni sono stati tirati fuori da stampa e pubblico perché piacevano più degli altri. Però credo un film di Mauro Bolognini, Per le antiche scale, che non ricorda mai nessuno…». Mi ha anticipato. Film del 1975 tratto da un romanzo di Mario Tobino, ambientato in un ospedale psichiatrico. «L’esperienza è stata stupenda, perché avevo Piero Tosi che mi pettinava e mi vestiva, bella preparazione per quel personaggio, anche le altre, ma questa totalmente diversa. Mi piaceva fare qualcosa lontano dal mio genere. Con Marcello Mastroianni… Mi sono sentita non più attrice di B, ma di A».Spesso anche i film che nei dizionari ottengono poche stelline hanno un loro fascino.«Sì, ero incanalata come B-movies, chissà perché, non ero mai considerata dai critici, dai festival… Tante volte le giurie erano pure snob, come fare l’attrice comica fosse una cosa non interessante. Ma, ragazzi, è più difficile far ridere che piangere eh… Con Per le antiche scale mi sono sentita un po’ superiore…». Mastroianni, noto tombeur de femmes, la corteggiò?«In quell’epoca Marcello stava soffrendo d’amore. E quindi era abbastanza distante perché la Deneuve l’aveva lasciato. Quando arrivava al trucco metteva la sua cassetta, Bella senz’anima…». Non le fece la corte, dunque…«No, ha fatto la corte a Marthe Keller, un’altra attrice». Allora non soffriva proprio così tanto…«Beh, certo, sai come sono gli uomini. Chiodo scaccia schiodo». C’è qualcosa di folle anche nelle persone cosiddette normali?«Mah, tante volte incontri qualcuno che fa delle cose e dici “questo è pazzo”. Ognuno di noi, magari, ha una vena di follia per qualche ragione». A cosa tiene di più nella sua vita?«Ai miei figli, è ovvio (sono due, Alessandro e Massimiliano Borghese, ndr). E anche agli amici. Questo è quello che mi fa andare avanti nella vita. Senza figli e senza amici sarebbe triste. Tante attrici dicono “devo lavorare, il mio fisico non sarà più uguale”. Aspettano, aspettano, fin che è troppo tardi». Come attrice, cosa non rifarebbe?«Tante volte ero costretta a dover fare alcuni film e non erano quello che volevo, però la produzione di quello che volevo mi ha detto “se vuoi fare questo, ci devi fare anche questo”. Erano ricatti. Nella mia filmografia ci sono diversi film di cui non sono fiera, che non mi piacciono - non ricordo se per la storia, per attori che non conoscevo troppo o scene che non piacevano - ma fanno parte della mia vita e me li tengo». Nel privato, le è accaduto di desiderare di sentirsi amata solo per il suo aspetto esteriore e non per la sua anima? «Questo, noi attrici, lo dobbiamo tutte subire. Abbiamo tutte lo stesso problema. Lo disse Rita Hayworth. Corteggiavano Rita Haywort pensando di corteggiare Gilda. E questo è vero. Io ho sposato l’unico uomo che ho trovato, che amava Barbara e non il suo personaggio. Nella vita privata non è facile, perché gli uomini tante volte vogliono il trofeo e, quando il trofeo ha stancato, molli, lasci». Ha ricevuto una delusione, in amore? «Avoglia! (ride, ndr). Tante volte mi è capitato!». Da non dimenticare che ha interpretato miss Moneypenny, la segretaria di James Bond, in un film-parodia, Casino Royale, del 1967, sempre tratto da un romanzo di Fleming. Come fu quell’esperienza? «Erano tanti 007. Oltre a David Niven, John Huston, Woody Allen, Jean-Paul Belmondo…».Pure Woody Allen ha conosciuto…«Come no, ci lavoravo». Impressione?«Quando stai sul set, lo vedi per la scena, poi non lo vedi più, non è che puoi entrare nella sfera di tutti gli attori. Non sono entrata in quella di Belmondo, non sono entrata in quella di George Raft… L’unico che ho avuto accanto per tutto il film è stato David Niven. L’ho adorato come persona, come attore, forse quello che mi è piaciuto di più…». Concludiamo questo viaggio e giungiamo al presente. Ha fatto numerose fiction tv, tra cui Fragili, con Corinne Cléry.«Con Fragili abbiamo fatto due stagioni. È stato divertentissimo. Il mio ruolo, di Rosa, una donna anziana, con un po’ di Alzheimer, quindi un po’ fuori di testa, un po’ figlia dei fiori… Mi sono divertita tanto in questo ruolo». Progetti?«Sì, una fiction, credo andrà a luglio, ma non posso dire niente, poi ho fatto un film per il cinema di prossima uscita».Manteniamo giustamente il riserbo. In merito alla fede, qual è la sua posizione? «Io sono credente, ma non sono una praticante. Per me Dio sta lassù, da qualche parte, non so dove, ci credo, ma da ragazzina mi hanno fatto stare troppo in chiesa, perché in Germania, tutte le mattine, con un freddo cane, dovevo andare in chiesa. Presi i geloni a piedi e mani. Io non sento di dover andare in chiesa per essere credente».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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