2021-10-09
«Tamponi gratis in azienda o si blocca tutto»
Confindustria, che esaltava il lasciapassare, si pente. Il numero uno dell'associazione in Emilia chiede un rinvio del provvedimento, invitando le imprese a pagare i test ai lavoratori: «Bisogna creare un albo di certificatori ad hoc». Iniziative simili pure in Veneto.Gli imprenditori italiani odiano il green pass. Il motivo? Sono di fatto obbligati a pagare il tampone ai dipendenti. Certo, a rigore di norma di legge, l'obbligo da parte del datore di lavoro non c'è, ma nella realtà in molti preferiscono ingoiare il boccone amaro e pagare di tasca propria i tamponi di chi non è vaccinato. Diversamente, il rischio è la paralisi aziendale. Il ragionamento non fa una piega: meglio pagare per due mesi e mezzo i test e avere forza lavoro, piuttosto che non mettere mano al portafoglio e trovarsi un buco nella catena produttiva.Il conto per dipendente si può calcolare senza troppa fatica: prendendo in considerazione una media di 20 giorni lavorativi al mese serviranno in media circa dieci test ogni 30 giorni. A 15 euro a tampone, sono 150 euro a dipendente. È il prezzo da pagare per far fronte a un momento in cui gli ordinativi fioccano e la forza lavoro scarseggia. L'unica speranza è mettere in piedi alcune convenzioni per cercare di abbassare il prezzo dei test.C'è di più: il pagamento del tampone, dopo la bagarre creata dal caso NaturaSì (società tra le prime ad aver annunciato l'intenzione di pagare i test ai dipendenti, scatenando le ire di molti, che accusano l'azienda di non favorire le vaccinazioni) è diventato un vero e proprio tabù. Una di quelle cose che si fanno, ma non si dicono. Mentre si affievolisce la speranza di un rinvio dell'obbligo, sono infatti sempre più le società disposte a pagare (del tutto o in parte) senza comunicarlo con troppa enfasi. Persino dalla rigorosissima Confindustria, l'associazione degli industriali che aveva invitato gli imprenditori a non spendere una lira in tamponi, c'è chi avanza l'ipotesi che l'esborso sia, purtroppo e controvoglia, l'unica strada praticabile. In Emilia Romagna il numero uno di Confindustria, Valter Caiumi, ha invitato le aziende a pagare o, almeno, a ridurre la spesa attraverso accordi specifici. Del resto, meglio quello che scioperi a gogo e produzioni a rischio. Sul Corriere di Bologna Caiumi auspica un rinvio dell'obbligo, così come Leopoldo Destro di Assindustria Veneto e il numero uno della confederazione, Carlo Bonomi. In alternativa, si potrebbero prendere in considerazione i modelli francese e tedesco. In Francia, ad esempio, i tamponi rapidi hanno validità di 72 ore, spiega Caiumi, e questo ridurrebbe il costo mensile per i test anti Covid. In Germania, si legge sul Corriere di Bologna, «esistono percorsi formativi con cui, tramite webinar, si autorizzano alcuni addetti, medici aziendali o responsabili della sicurezza o altri, ad assistere i lavoratori che si “autotamponano"», dice, «e a certificare su un documento della società di appartenenza l'esito dei test. Tali figure appartengono a un albo ad hoc, l'albo dei certificatori. Questa modalità nei Länder tedeschi funziona e, secondo me, potrebbe funzionare anche sul nostro territorio. Potremmo creare un albo ad hoc, risolvere l'impasse in azienda senza dover poggiarsi sul sistema esterno delle farmacie o delle strutture sanitarie». Così, tra una convenzione con centri diagnostici e l'altra, i casi di aziende che preferiscono pagare aumentano ogni giorno di più. Qui però i no vax non c'entrano. C'è solo la necessità di andare avanti senza interruzioni. Sulle pagine del Corriere del Veneto, ad esempio, si citano le Acciaierie Valbruna. La sindacalista della Confederazione unitaria di base del Veneto, Maria Teresa Turetta, ha fatto sapere che «sulla bacheca in azienda è comparsa una comunicazione firmata dalla Rsu su come la direzione aziendale avesse comunicato l'intenzione di fornire ai lavoratori senza green pass, tamponi dal 13 ottobre al 12 novembre presso strutture convenzionate». Sempre sullo stesso quotidiano locale (quello che fa riferimento a una edizione nazionale dove, al contrario, non si citano i problemi causati dalla certificazione verde) si cita anche il gruppo Calzedonia, in trattativa per mandare una squadra in azienda a effettuare tamponi per i non vaccinati. Ad ogni modo, la preoccupazione degli imprenditori è più che legittima e comprensibile. Sebbene non sia possibile conoscere il numero di dipendenti non vaccinati che lavorano in Italia, basta sapere che ad oggi (secondo il report settimanale della struttura del commissario Francesco Paolo Figliuolo) ci sono ancora 8,39 milioni di italiani over 12 che non hanno ricevuto l'iniezione. È chiaro che non saranno tutti lavoratori, ma se anche solo vi fosse un milione di italiani (e saranno ben di più) non vaccinati in età da lavoro, questo significherebbe che l'obbligo della certificazione graverebbe moltissimo sulle spalle degli imprenditori o dei dipendenti. Una spesa obbligata che non arriva nel momento migliore, dopo mesi di mancato fatturato e, per molti, di mancato stipendio. L'unica speranza è che il governo si metta una mano sulla coscienza e trovi - in meno di una settimana - un compromesso tra la sicurezza dei lavoratori e una riduzione dei disagi per gli imprenditori. Ma ogni giorno che passa, la speranza pare sempre più vana.