2018-04-12
Lo scrittore cresciuto da due madri ha trasformato il padre in un mostro
Arriva in Italia «Mio assoluto amore», fenomeno editoriale americano che ha stregato Stephen King. Storia di un genitore violento, svela gli effetti della cultura ultra femminista che criminalizza i maschi.I giornali di lingua inglese lo hanno celebrato come l'evento editoriale del 2017. Persino Stephen King (che non nega a nessuno una frase di apprezzamento da stampare in copertina) una volta tanto è apparso sincero quando ha definito Mio assoluto amore, romanzo d'esordio di Gabriel Tallent, un «capolavoro» ai livelli di Comma 22 e Il buio oltre la siepe. Il libro, appena pubblicato in Italia da Rizzoli e in corso di traduzione in 22 Paesi, è effettivamente molto ben scritto. Crudo ma elegante, gioca graziosamente con la narrativa di genere. Talvolta è cattivo come un'opera di Jack Ketchum o Gillian Flynn, in altre occasioni è tenero come un brano di Salinger. Non sveliamo i dettagli della storia, basti sapere che la protagonista è una ragazza quattordicenne di nome Turtle, che vive con il padre in una provincia selvaggia della California. Il genitore è l'altro perno della vicenda. Si chiama Martin, sua moglie - una donna di carattere forte e bellezza splendente - è morta troppo giovane. Da quel giorno, l'uomo è sposato con le proprie ossessioni. È un «survivalista», angosciato dal riscaldamento globale e dalla mancanza di acqua. Una sorta di Unabomber un po' meno isolato dal mondo, un Thoreau paranoico e deviato fanatico delle armi, nemico del governo e del sistema, intenzionato a crescere la figlia come se dovesse prepararla a un mondo post apocalittico. Per molti versi ricalca il padre interpretato da Viggo Mortensen in Captain fantastic. In quel film, Ben Cash, dopo la scomparsa della moglie, si trova a crescere da solo i suoi sei figli, e lo fa tenendoli lontano dalla civiltà. Insegna loro a cacciare e a muoversi nei boschi, a usare coltelli e frecce e a sopravvivere in condizioni estreme. Contemporaneamente, impartisce lezioni di filosofia e li introduce alla pratica dello yoga. La differenza è che, nel libro di Tallent, l'amore di Martin per la figlia sfocia nella patologia. Egli è violento, abusa della piccola, la imprigiona in una passione soffocante e perversa. Quando si fa invadere dalla gelosia, arriva a picchiarla con una spranga o a torturala con un coltello fra le cosce. È, insomma, un padre mostruoso, un uomo deragliato che trasfigura le sue debolezze nella brutalità.Ed è proprio questo l'aspetto più interessante del romanzo, lo spunto di riflessione che permette di superare la narrativa per affrontare alcune questioni fondamentali dei nostri tempi. Il personaggio di Martin concentra tutta la negatività del maschile. Non è mostruoso soltanto come padre, lo è in quanto maschio bianco occidentale. Tutto ciò che vi è di selvatico in lui tende al peggio. Il contatto con la natura lo rende bestiale, la sua indipendenza ne fa un disadattato, la sua forza è violenza, la sua dolcezza è imprigionata dagli aculei di un eterno bambino capriccioso e pericolosissimo. È, insomma, il maschio malvagio e ferino, perfettamente corrispondente all'immagine dell'uomo che viene dipinta oggi dalle attiviste anti molestie e dalle intellettuali battagliere. Ed eccoci al punto. Da dove scaturisce questo mostro? Quale immaginario lo ha allevato? Quale cultura lo ha nutrito? Per capirlo, dobbiamo dare uno sguardo alla biografia del suo creatore, un Frankenstein trentenne chiamato Gabriel Tallent. Anche lo scrittore americano è cresciuto in California, a Mendocino. Un luogo che, tra gli anni Sessanta e Settanta, si è trasformato in un paradiso degli hippy la cui vegetazione nascondeva più d'una coltivazione di marijuana. In quella zona sono stati realizzati, nel tempo, numerosi esperimenti di vita nelle comuni. Tallent ha nuotato in questo microclima. Quando aveva cinque anni, sua madre, la scrittrice femminista Elizabeth Tallent, ha lasciato suo padre (un carpentiere che si è stabilito in Illinois) per fidanzarsi e poi sposarsi con Gloria Rogers. Gabriel, insomma, è cresciuto con due madri decisamente radical. Per quattro anni, ha spiegato lo scrittore al Guardian, ha abitato nella comune di Albion Ridge, dove «c'era un forte movimento lesbico di ritorno alla terra. È stato un po' prima del periodo che ho passato lì, ma quelle idee erano ancora nell'aria». E quell'aria, a quanto pare, Tallent l'ha respirata a pieni polmoni. Frequentava una scuola progressista che apriva ogni giornata di lezioni con una sessione di meditazione, uno dei suoi primi compiti scolastici è stato quello di intervistare una attivista ecologista che aveva vissuto 700 giorni su una sequoia. Le sue due madri hanno esercitato una fortissima influenza su di lui. «Hanno dato forma alla mia precocità intellettuale», ha spiegato. «Elizabeth è iper eloquente sulle questioni del femminismo; Gloria è un interlocutore meraviglioso, con un grande senso di giustizia». Le due madri lo hanno cullato in un ambiente «saturo di letteratura, idee, discussioni», tutte ideologicamente orientate. Perfino i gatti erano chiamati come «icone femministe». Non a caso, i personaggi di Mio assoluto amore a volte si esprimono con un linguaggio intriso di cultura un po' burocratica, da aula di Berkeley. Considerando tutto ciò, non sorprende affatto che Gabriel Tallent abbia potuto creare un padre così mostruoso, frutto inevitabile di un ambiente misandrico. Il suo Martin è un «cacciatore». Quello che, secondo Bruno Bettelheim, dovrebbe essere «il simbolo della protezione» che difende il bambino dalle minacce di animali feroci, nel romanzo diventa a sua volta una belva. Tallent mette sulla pagina il suo padre assente, presentandolo come un «uomo della foresta». La psicoterapeuta Suzanne Blundell (nel libro Il lato mancante. L'assenza del padre nel mondo interno, Mimesis) ha notato che tale immagine è ricorrente nelle fantasie dei bimbi che hanno perso il padre e ne immaginano uno «forte e imbattibile, capace di sopravvivere persino nella situazione più difficile di vita nella giungla». Solo che Tallent, non più bambino e intriso di pensiero femminista, tramuta l'uomo forte e capace di proteggere in un despota. Del resto, come si può pensare che un giovane cresciuto in una comune di lesbiche femministe (sembra un luogo comune un po' becero, ma è l'esatta realtà) abbia un'immagine positiva del padre e dei maschi più in generale? Il suo romanzo è molto bello, davvero, ma allo stesso tempo svela le conseguenze nefaste della mancanza di una figura paterna. Le idee in cui è stato immerso Tallent sono più o meno le stesse che qualcuno vorrebbe imporre oggi, conducendo una scriteriata guerra al maschio oppressore. L'orrore contenuto in questo libro mostra dove possono condurre.
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