Con i dati dei positivi al Covid-19 di nuovo in salita, 66 in più rispetto a ieri e dato complessivo a quota 41.081 contagiati, e con la variante Delta arrivata in Italia alla soglia del 28%, la cricca dei virologi chiusuristi comincia a ipotizzare nuove misure. Stando all'ultimo monitoraggio settimanale dell'Istituto superiore di sanità, reso noto venerdì, Rt e incidenza sono in crescita. Ma è la diffusione della variante Delta il grimaldello usato per mettere a rischio le zone bianche. Alcune regioni nelle prossime settimane potrebbero quindi passare in zona gialla. Si teme che a fine agosto i contagi possano salire tra gli 8 e gli 11.000. Il ministro delle chiusure Roberto Speranza ha già avvertito: «O acceleriamo su tracciamenti e vaccini o c'è il rischio chiusure ad agosto (le dosi di vaccino somministrate sono 57,29 milioni. I cittadini che hanno ricevuto la seconda dose sono più di 23,4 milioni, ndr)». A maggio il tasso di diffusione della variante Delta era attorno al 5 per cento, salita fino a quasi il 17 due settimana fa. Venerdì scorso era a ridosso del 28. E si si stima che a fine agosto in Italia possa arrivare al 70. Ora, tenuto in conto che il criterio per la zona bianca è legato a un numero di casi settimanali sotto i 50 ogni 100.000 abitanti, il gioco è fatto: nuove chiusure. Venerdì scorso la media italiana è salita da nove a undici e, proseguendo così, alcune regioni che potrebbero superare presto i 50, finendo così in zona gialla. I dati più alti erano stati riscontrati in Sicilia (18.2), Marche (15.9), Campania (15.7) e Abruzzo (15.5). Stando ai dati di ieri, le regioni con il maggior numero di contagi sono la Lombardia (250), la Sicilia (183) e la Campania (169). Ci sono però dei dati positivi, che la virologia mediatica puntualmente scansa: i pazienti in terapia intensiva sono solo 161: lo stesso numero di sabato. I ricoverati con sintomi nei reparti ordinari sono, invece, 1.134, in calo di 13 unità in 24 ore. Inoltre ieri si è toccato il numero più basso di decessi dallo scorso 12 settembre: sette (sabato erano 12). E ora un documento dell'Avvocatura dello Stato tira in ballo Speranza: in una nota depositata al Tribunale civile di Roma in una causa intentata dalle vittime della Pandemia, che vede coinvolto anche il ministero della Salute e Palazzo Chigi, si legge che i dati registrano tra le vittime «tutti coloro i quali avevano il virus al momento del decesso». Mentre negli altri Paesi, scrive l'Avvocatura (come riportato dal Giornale.it, nel conto sono inseriti soltanto «coloro i quali sono deceduti a causa del virus». La macabra conta dei morti, insomma, sarebbe falsata. Non solo, sempre secondo l'Avvocatura, che sembra aver sposato la linea Speranza, «L'analisi dei modelli mostra che, a meno che gli interventi non farmaceutici (Npi) non continuino o vengano rafforzati nei prossimi mesi, dovrebbe essere previsto un aumento significativo dei casi e dei decessi correlati a Covid nell'Ue/See. Sebbene la vaccinazione mitigherà l'effetto della sostituzione con varianti più trasmissibili e la stagionalità potrebbe potenzialmente ridurre la trasmissione durante i mesi estivi, l'allentamento prematuro delle misure potrebbe portare a un rapido aumento dei tassi di incidenza, casi gravi e mortalità».
- Oggi c'è la cabina di regia, serve una svolta: via le mascherine all'aperto e il coprifuoco. L'Rt è un indicatore fallace, va mollato.
- Per il sociologo Luca Ricolfi se avessimo gestito diversamente le serrate «avremmo risparmiato settimane di chiusura e 80.000 vite. Con l'estate ci aiuterà molto stare all'aperto».
Lo speciale contiene due articoli.
Oggi è il giorno dell'attesissima cabina di regia che potrebbe decidere qualche ulteriore passo verso il ritorno alla normalità. Con il conforto del buonsenso, e con il supporto di dati che da molti giorni indicano un sensibile miglioramento (meno contagi, meno decessi, meno ricoveri), c'è da augurarsi che non scatti la solita mediazione al ribasso: piccole concessioni aperturiste bilanciate da altrettanti paletti chiusuristi, tanto per evitare che Roberto Speranza, Enrico Letta e la sinistra perdano la faccia. Per incoraggiare soluzioni limpide, ragionevoli e coraggiose, La Verità indica quattro obiettivi.
1 Far saltare l'obbligo di mascherina all'aperto. Già da molto tempo, negli stessi paesi europei, vigono regole differenziate, e l'Italia si è collocata sulla posizione più restrittiva e dogmatica. È il momento di voltare pagina. Un conto è chiedere di indossare la mascherina al chiuso o nelle situazioni in cui non sia possibile rispettare una distanza adeguata. Ma all'aperto, nel rispetto delle distanze e con la bella stagione ormai arrivata, che senso ha mantenere ancora l'obbligo di rimanere imbavagliati? Con i risultati che inevitabilmente vediamo: mascherine a penzoloni, continuamente toccate con le mani, abbassate e rialzate.
2 L'eliminazione del coprifuoco, e non solo il suo posticipo di un'ora o due. Di per sé, si tratta di una misura prova di qualunque base scientifica. Accettandola, siamo entrati in una dimensione di pensiero quasi «magico» (ciascuno valuti che genere di magia), o comunque afflittivo e punitivo verso i cittadini e le loro libertà. In più, la misura è senza senso anche dal punto di vista pratico. Come ci si può appellare al turismo, mantenendo l'obbligo di mettersi a letto alle 22 (o anche alle 23)? E anche in ottica di cautela anti assembramento, è possibile che non si comprenda che comprimendo gli orari c'è inevitabilmente più ressa, mentre proprio una dilatazione degli orari consente una circolazione meno caotica?
3 La riapertura dei ristoranti anche al chiuso. L'obiezione dei virologi del panico è nota: al ristorante bisogna togliere la mascherina (certo, mangiare imbavagliati è francamente complicato). Anche qui, tuttavia, il buonsenso può essere una buona guida: si tratta di procedere con il metodo delle prenotazioni, delle capienze limitate, e di protocolli adeguati. Con questi paletti, non si vede perché una cena in sala al ristorante (oggi vietata) debba essere più pericolosa di una partita di calcetto (oggi consentita).
Né è accettabile l'idea che gli esercizi sprovvisti di spazi all'aperto debbano essere portati al fallimento. Il mix tra abolizione del coprifuoco e adozione di protocolli ragionevoli può consentire a un ristorante al chiuso di fare ogni sera un paio di turni, e di incassare almeno la metà dei ricavi dei tempi ordinari. Perché impedirlo? Ovviamente analogo semaforo verde dovrebbe scattare anche per le piscine al chiuso e per le palestre.
4 Il quarto obiettivo, più tecnico, riguarda una riforma dei criteri dei «colori» e una radicale revisione del sistema dell'Rt. Oggi, a numeri bassi, è sufficiente un incremento anche contenuto dei contagi per penalizzare un territorio in modo eccessivo. Si adotti come riferimento, invece, un indice legato alla pressione ospedaliera, con particolare riguardo alle terapie intensive.
Come si vede, si tratta di proposte di assoluta ragionevolezza. Speriamo di non dover ancora sentire le solite frasi fatte, tipo «siamo all'ultimo miglio», che avrebbero il sapore di un'ennesima presa in giro per attività che hanno sopportato ogni genere di sacrificio.
Ieri, per una volta, anche dai tecnici si sono sentite solo dichiarazioni incoraggianti, dal sottosegretario Pierpaolo Sileri («Le terapie intensive si stanno svuotando») al coordinatore del Cts Franco Locatelli («Le aperture decise secondo il criterio del “rischio ragionato" non si sono associate a una ripresa della curva epidemica»), passando per il professor Francesco Vaia dello Spallanzani («Il virus lo stiamo massacrando»).
Solo Speranza, come al solito, è rimasto in mezzo al guado: «Possiamo proseguire con ragionata fiducia verso le graduali riaperture delle altre attività, mantenendo la necessaria prudenza. Con dati in miglioramento possiamo allentare e poi superare il coprifuoco». Il che fa pensare che il ministro, anche oggi, spingerà solo per un mini slittamento alle 23 o alla mezzanotte.
Intanto, anche ieri, dati molto rassicuranti: 5.753 positivi (contro i 6.659 del giorno prima), e 93 morti (dato più basso da sette mesi, e comunque cifra molto inferiore ai 136 del giorno precedente). In diminuzione anche i ricoveri: meno 26 in intensiva, meno 359 nei reparti ordinari.
Luca Ricolfi: «Con lockdown più duri e brevi avremmo avuto meno morti»

Luca Ricolfi (Ansa)
Il professor Luca Ricolfi, sociologo, ordinario di analisi dei dati all'università di Torino, è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume (Fondazionehume.it). In libreria (ed. La Nave di Teseo) il suo ultimo libro, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un'epidemia.
Cominciamo con uno sguardo al passato. Lei ha coerentemente contestato al vecchio e pure al nuovo governo la scelta di tenerci «a bagnomaria» per un tempo troppo lungo. In che senso?
«Nel senso che sia il primo lockdown (marzo-aprile), sia il secondo (ottobre-aprile) potevano essere molto più brevi, con enormi benefici per l'economia (e per le nostre esistenze). Nel mio libro dimostro che, dato un obiettivo di abbattimento dei contagi e dei decessi, lo si può raggiungere molto più rapidamente anticipando il lockdown, e invertendo l'ordine dei fattori (swap): prima il lockdown duro, poi quello soft. Se avessimo seguito questa strategia (anticipo+swap) avremmo risparmiato almeno 3 settimane in occasione del primo lockdown, e almeno 3 mesi (forse 4) in occasione del secondo. Per non parlare dei morti, che - secondo una stima di larga massima - sarebbero stati al massimo un terzo di quelli che abbiamo avuto, con un risparmio di almeno 80.000 vite umane».
La sua idea è che sia stato un azzardo avviare la campagna vaccinale senza prima aver drasticamente ridotto la circolazione del virus.
«Più che una mia idea, è una tesi di Andrea Crisanti e degli studiosi che hanno studiato il problema della pressione selettiva sulle varianti del virus, a partire dai lavori di Paul Ewald negli anni Novanta. Fondamentalmente è un problema statistico, di grandi numeri: se vaccini a manetta mentre l'epidemia dilaga, il virus ha molte più probabilità di dar luogo a una variante pericolosa, che si trasmette velocemente ed elude i vaccini. Se avessimo prima abbattuto la curva epidemica (tra ottobre e novembre), e poi iniziato a vaccinare, oggi correremmo meno rischi».
Comunque, adesso la campagna di vaccinazione sembra aver finalmente preso un ritmo migliore. A che punto siamo secondo lei?
«Gli italiani dotati di qualche protezione (guarigione o vaccino) sono 1 su 3, quelli dotati di una buona protezione (2 dosi di vaccino) sono 1 su 7. Non è malaccio, ma l'obiettivo di vaccinare pienamente il 70% degli italiani (il massimo realisticamente raggiungibile) è ancora lontano. Secondo gli ultimi calcoli della Fondazione Hume, che ogni settimana fa il bilancio della campagna vaccinale, inizieremo le vacanze estive senza averlo ancora raggiunto».
È realistico immaginare che raggiungeremo un livello collettivo accettabile di protezione? E, se sì, quando?
«Risposta difficile, perché ci sono tre aspetti distinti, che spesso vengono confusi. Un conto è chiedersi quando avremo vaccinato il 70% degli italiani, e la risposta è: abbastanza presto, quasi sicuramente entro la fine di agosto. Un altro conto è chiederci se, una volta raggiunto questo obiettivo (che potrà essere superato solo con vaccini per gli under-16), saremo protetti, e la risposta è: probabilmente non del tutto, perché l'efficacia media dei 4 vaccini usati in Italia è ampiamente sotto il 100%. Un altro conto ancora è chiedersi se, quest'autunno, avremo raggiunto l'immunità di gregge. Qui la mia risposta è: probabilmente no, perché l'immunità di gregge richiede non solo un'elevata percentuale di vaccinati, ma anche che tutti o la maggior parte dei vaccinati non trasmettano l'infezione, il che al momento pare ancora dubbio, specie per Astrazeneca».
In passato, lei ha fatto spesso previsioni assai cupe (non di rado, va detto, confermate dalla realtà). C'è però qualcosa su cui le pare di aver avuto preoccupazioni eccessive? Correggerebbe qualcosa delle sue affermazioni passate?
«Sì, ci sono cose che correggerei. La più importante è la mia preoccupazione dell'estate scorsa per movida, assembramenti, spiagge. Resto convinto che le discoteche dovevano restare chiuse, e i voli turistici limitati e controllati, ma per la maggior parte delle attività all'aperto penso di aver sopravvalutato i rischi: oggi abbiamo evidenze empiriche che suggeriscono che, almeno in estate, la trasmissione all'aperto sia molto meno probabile di quanto si supponesse. Per altri aspetti, invece, sono autocritico nella direzione opposta: abbiamo sottovalutato, e continuiamo a sottovalutare, il pericolo della trasmissione negli ambienti chiusi. Il grave è che questo pericolo, almeno nelle scuole e negli uffici, avremmo potuto evitarlo con dispositivi di purificazione o di ricambio dell'aria. Ho fatto un calcolo, e mi risulta che purificare l'aria in tutte le aule scolastiche sarebbe costato meno che acquistare i banchi a rotelle. Se si voleva salvare l'economia, era meglio mettere in sicurezza scuole, uffici e trasposti pubblici, anziché massacrare quella che chiamo “la società del rischio", ossia il mondo del lavoro autonomo».
In questi giorni, anche differenziandosi significativamente dalle analisi dei professori Galli e Crisanti, lei ha preso le distanze da previsioni di evoluzioni drammatiche sul piano della mortalità.
«Sì, in questo momento (e per la prima volta) le mie previsioni non sono in sintonia con quelle di Galli e Crisanti. Non credo che, a fine maggio, avremo 500 o 600 morti, e sono felicemente sorpreso del fatto che gli Rt regionali, per ora, siano quasi tutti sotto la soglia di 1».
A pesare in positivo sarà il fatto che ora staremo di più all'aperto, e che la campagna vaccinale sta accelerando…
«Esattamente. Ma aggiungo un altro fattore: la temperatura, e forse pure l'esposizione ai raggi ultravioletti, che - attraverso la vitamina D - irrobustiscono il sistema immunitario».
Fin qui gli aspetti positivi. Ragioniamo invece sui rischi futuri. Mi pare che ben poco si stia facendo per la messa in sicurezza di aule e trasporti. È vero che il prossimo autunno saremo tutti vaccinati, ma non varrebbe la pena di darsi da fare da subito?
«Sì, il governo sta calcolando male i rischi per l'autunno. Uno degli scenari possibili è che diventi più difficile che un contagiato si ammali, ma diventi anche molto più facile contagiarsi, perché la gente non fa attenzione e una parte dei vaccinati continua a trasmettere il virus. Se la letalità (probabilità di morire una volta contagiati) è bassa, ma siamo quasi tutti contagiati, la mortalità (decessi per abitante) può anche aumentare, in barba alle vaccinazioni: non è una previsione, ma uno scenario possibile».
Se dovesse fare una critica alla sinistra, cosa direbbe?
«Al governo giallorosso rimprovero di non aver fatto, almeno, le cose ovvie e quindi doverose: comprare dispositivi di protezione del personale sanitario a gennaio-febbraio, aumentare il numero di tamponi in primavera ed estate, controllare la qualità dei miliardi di mascherine comprate, organizzare per tempo un piano vaccinale sensato. Alla sinistra rimprovero l'iper-tutela della sua base elettorale, ossia dei garantiti, e il cinico abbandono dei non garantiti, come se questa non fosse la diseguaglianza fondamentale dell'Italia di oggi».
E se dovesse farla alla destra?
«Non aver capito che, se voleva tutelare il mondo del lavoro autonomo, doveva essere ancora più rigorista della sinistra, e pretendere lockdown precoci, duri, ma in compenso molto, molto più brevi di quelli che ci hanno inflitto i giallorossi».
Vuole dare un suggerimento finale al premier Draghi?
«No, la politica va dove vuole. Una delle caratteristiche più sorprendenti della gestione della pandemia è che la politica abbia completamente ignorato le proposte (costruttive) degli scienziati indipendenti».
Cambiamo tema. Sul ddl Zan lei ha parlato di due vizi della sinistra: da un lato il tradizionale «complesso dei migliori» e dall'altro la tendenza a legiferare compilando elenchi di soggetti più o meno opportunamente ritenuti «fragili».
«In realtà il ddl Zan è una estensione della legge Mancino, di cui condivide la debolezza fondamentale: l'incapacità di distinguere fra parole che concretamente minacciano le persone o lo Stato, e parole che si limitano a ledere la sensibilità di individui e gruppi. Un tema magistralmente sviluppato da Guia Soncini in L'era della suscettibilità. Con in più tre regalini niente male: la rieducazione dei reprobi, in perfetto stile maoista (art. 5); l'indottrinamento degli scolari (art. 7); il finanziamento permanente, con 4 milioni annui, delle associazioni Lgbt presso cui i reprobi potrebbero essere rieducati (l'unica porzione della legge Zan già in vigore, grazie al suo inserimento nel “decreto agosto")».
Perché c'è così poca sensibilità al tema della libertà d'espressione?
«Forse perché finora la legge Mancino è stata applicata molto raramente. E perché la gente si accontenta di potersi sfogare su internet, dove quasi mai si paga per quel che si scrive».
Non le pare che a volte i contrari al ddl Zan, anziché imbracciare, come dovrebbero, il tema del free speech messo a rischio dall'art. 4, si facciano trascinare su altri terreni, cadendo in trappole, facendosi mettere la scomoda e sgradevolissima maglietta dell'omofobia?
«Concordo pienamente, la libertà di espressione è stato sempre un tema di sinistra, e la censura una tentazione della destra conservatrice e bacchettona. Oggi è il contrario, ma è logico: perché ci sia censura, occorre un establishment, e oggi l'establishment è la sinistra».
- L'Iss insiste: «Deve rimanere sotto l'1». L'indice però è discusso e può penalizzare il turismo. Regioni alla carica: «Va cambiato».
- Il diciottenne di Fano ha una buona condotta e buoni voti. Tuttavia, secondo i prof, sarebbe stato plagiato da un amico cinquantenne, che lui chiama «il costituzionalista».
Lo speciale contiene due articoli.
Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese.
Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».
Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale.
La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi».
Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia».
Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato».
Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.
Dubbi sul Tso al liceale «no mask»
Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso.
Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo.
«Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce.
Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo».
Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
- Martedì Veneto, Marche e Trento passano in fascia intermedia grazie al dato dell'incidenza. Italia blindata da oggi fino a lunedì.
- Tasso di positività stabile al 6,6%. Silvio Brusaferro: «Meno contagi tra sanitari e over 80».
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È un vademecum sempre più complicato, quello con cui gli italiani avranno a che fare per i giorni a cavallo della Pasqua, riguardo a spostamenti e chiusure. Un dedalo di norme governative e ordinanze regionali che si intrecciano e si sovrappongono, delineando un quadro complicato che è estremamente difficile padroneggiare. Per di più, con un «giallo» che ha coinvolto Veneto, Marche e Trento. Per quanto possibile, proviamo a fare chiarezza, a partire da ciò che sarà consentito e cosa no da oggi e fino lunedì 5 aprile compreso. In questi tre giorni tutta l'Italia è da considerarsi zona rossa, con tutte le limitazioni che ne derivano, in primis il divieto di spostamento dalla propria abitazione, se non per motivi di comprovata necessità e previa autocertificazione. L'unica «concessione» pasquale riguarda la possibilità di visitare parenti o amici, per una sola volta al giorno tra le 5 e le 22, in numero non maggiore di due adulti accompagnati eventualmente da minori di 14 anni o adulti non autosufficienti. Restano chiusi, dunque, bar e ristoranti (che potranno però fare asporto e consegna a domicilio) e centri commerciali, oltre naturalmente a parrucchieri, centri estetici, cinema, teatri, palestre, piscine e centri sportivi. Per i pranzi delle feste di Pasqua il governo raccomanda vivamente di non «aprire» alle persone non conviventi, ricordando che feste e assembramenti sono vietati, mentre è possibile recarsi alle funzioni religiose. Un capitolo molto contrastato è quello delle seconde case, poiché alcune ordinanze regionali si sono aggiunte a quanto stabilito dall'esecutivo, creando una situazione eterogenea. Il decreto del governo consente infatti di raggiungere le seconde case anche fuori dalla propria regione di residenza solo al nucleo convivente, purché dimostri di aver maturato il titolo alla proprietà o all'affitto prima del 14 gennaio di quest'anno. Le decisioni di alcuni governatori, però, hanno reso lettera morta questa possibilità: in Toscana, Valle D'Aosta, Alto Adige, Marche, Calabria e Piemonte delle ordinanze hanno vietato ai non residenti di recarsi nelle seconde case, mentre in Liguria Giovanni Toti è andato oltre, vietandolo anche ai residenti. In Sicilia e Sardegna sarà possibile per tutti raggiungere le seconde case, previo tampone con esito negativo. Decisioni che non hanno mancato di sollevare polemiche, se confrontate con la beffarda possibilità, per chi ha prenotato un viaggio all'Estero, di raggiungere l'aeroporto anche se questo è ubicato fuori dai propri confini regionali e andare a trascorrere le vacanze altrove, mentre in Italia restano chiuse tutte le strutture ricettive. A poco è valsa, in questo senso, la «pezza» messa dal governo all'ultimo minuto, introducendo l'obbligo di una mini-quarantena di cinque giorni per chi rientra dai viaggi. Anche sulle chiusure, alcune regioni hanno legiferato in senso più restrittivo, come il Piemonte, che chiude i supermercati alle 13 domani e lunedì o la Toscana, che ha deciso di chiudere, sempre a Pasqua e Pasquetta, tutte le attività commerciali. Da martedì 6, poi, varrà l'ultimo dl approvato dal governo, che di fatto impedisce il ritorno a zona gialla per tutte le Regioni fino al 30 aprile, salvo verificare, in base all'andamento del contagio, la possibilità di alcune aperture. Da quel giorno, sappiamo già che Veneto, Marche e provincia autonoma di Trento raggiungeranno Basilicata, Lazio, Liguria, Molise, Sicilia, Sardegna, Umbria, Veneto e Bolzano in zona arancione, mentre resteranno in zona rossa Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana e Valle D'Aosta. Per queste ultime regioni, dunque, la situazione non cambierà di molto rispetto ai prossimi tre giorni, salvo la fine della possibilità di visitare amici e parenti, mentre chi passerà in arancione potrà circolare liberamente all'interno della propria regione e recarsi nei negozi a fare shopping. Resta però il mistero sulla scelta relativa a Veneto, Marche e Trento, che è arrivata in modo sorprendente, e per certi versi «misterioso»: i consueti parametri, infatti, avrebbero suggerito la permanenza in rosso, ma fonti del ministero, interpellate da La Verità, sostengono che se il dato dell'incidenza scende sotto quota 250 anche per una sola volta nell'arco di una sola settimana, è lecito il passaggio in arancione, a differenza che nel caso dell'Rt, che deve rimanere sotto la soglia di rischio per 14 giorni consecutivi. Ad ogni modo, ciò comporterà, per gli esercenti che dovranno riaprire, non pochi problemi dato il brevissimo preavviso, a dispetto della promessa fatta da Mario Draghi di non ripetere i «blitz» del venerdì sera del suo predecessore. Per il resto, l'incidenza generale di casi ogni 100mila abitanti, ha fatto registrare una diminuzione, attestandosi a 232, contro i 240 della scorsa settimana, mentre l'indice Rt nazionale è tornato sotto l'1, a 0,98 (la scorsa settimana era a da 1,08).
Casi in discesa e Rt sotto l'1. L'Iss: «La curva è in lento calo»
Trend in calo dei contagi ma peggiora la situazione nelle terapie intensive. Sono stati 21.932 i positivi al test del coronavirus in Italia nelle 24 ore scorse (23.649 giovedì) secondo i dati del ministero della Salute. Sale così ad almeno 3.629.000 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall'inizio dell'epidemia Le vittime 481, giovedì erano 501, per un totale di 110.328 morti da febbraio 2020. Le persone guarite o dimesse sono in tutto 2.953.377 e 19.620 quelle uscite ieri dall'incubo Covid (20.712 il giorno prima). Gli attuali positivi risultano essere in tutto 565.295 (di questi, sono in isolamento domiciliare 532.887 pazienti).
La Regione con più casi giornalieri ieri è stata la Lombardia (+3.941), seguita da Campania (+2.057), Puglia (+2.044), Piemonte (+1.942), Lazio (+1.918) e Emilia Romagna (+1.830). Sono stati eseguiti 331.154 test tra molecolari e antigenici. Il tasso di positività resta stabile al 6,6%. Rispetto al picco di venerdì 12 marzo con 26.824 casi, il trend della curva appare in decrescita. «Una decrescita molto lenta» ha detto il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, nel suo intervento alla conferenza stampa sull'analisi dei dati del monitoraggio settimanale della cabina di regia Iss-ministero della Salute. Scende a 0,98 sotto la soglia d'allarme di 1 il valore dell'Rt nazionale che la scorsa settimana era a da 1,08. L'incidenza si attesta a 232 casi ogni 100.000 abitanti contro i 240 della scorsa settimana.
Per il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha ribadito che «La situazione è in leggero miglioramento, ma persiste un elevato carico sul sistema sanitario, ora al 41%, contro il 39% della scorsa settimana che rischia di continuare ancora a lungo. Quindi ci sono dei segnali che ci dicono che da una parte l'infezione sta leggermente diminuendo ma dall'altro il carico sui servizi assistenziali resta pesante». Secondo l'esperto per quanto riguarda la variante inglese e brasiliana «abbiamo visto focolai anche tra i bambini più piccoli e gli adolescenti, e ci sono dati umbri che mostrano incidenze molto elevate». Inoltre, la circolazione di varianti a maggior trasmissibilità è «largamente dominante nel Paese il che indica la necessità di non ridurre le attuali misure di restrizione e mantenere la drastica riduzione delle interazioni fisiche». Inoltre, ha precisato Rezza il ritorno alla normalità può avvenire in tempi relativamente brevi se «aumentiamo il numero delle vaccinazioni». Anche Brusaferro si è detto preoccupato per la situazione ospedaliera: «I ricoveri sono ancora in crescita (ieri i nuovi ingressi in rianimazione sono stati 232), con un'età media intorno ai 40-50 anni e destano preoccupazione anche se l'andamento delle vaccinazioni sta rapidamente crescendo». Il presidente Iss ha fatto notare che i casi vanno abbassandosi in modo più marcato tra il personale sanitario e gli over 80 proprio «a conferma della validità delle vaccinazioni». E proprio in base alla curva pandemica e all'Rt, dopo le festività pasquali in rosso, ieri pomeriggio il ministro della salute Roberto Speranza ha firmato il provvedimento sui colori delle regioni dal 7 aprile: Veneto, Marche e Provincia autonoma di Trento passano da rosso ad arancione come Sicilia, Sardegna, Liguria, Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e la Provincia di Bolzano. Restano rosse Calabria, Campania, Puglia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia e Friuli Venezia Giulia.
Dall’algoritmo all’Rt. Ciò che serve sapere per capire qualcosa del semaforo di Conte
Nelle ultime ore il caso della Lombardia, «promossa» dal rosso all'arancione, ha riacceso i dubbi sul sistema «a semaforo» che il governo ha introdotto a novembre per arginare il Covid. Ogni variazione di colore finisce per avere importanti ricadute sulla vita di ciascuno di noi. Scuola, lavoro, spostamenti: la nostra quotidianità dipende ormai dalla fascia in cui viene collocato il proprio territorio. Tuttavia, comprendere i passaggi alla base di tale cambiamento è affare assai complicato. Vediamo in sintesi come funziona questo meccanismo.
Ogni settimana l'Istituto superiore di sanità pubblica il report di monitoraggio sulla base dei dati comunicati dalle Regioni, e il ministero della Salute emette di conseguenza le relative ordinanze. Nota importante: il rapporto si riferisce alla settimana precedente, dunque quello diffuso venerdì si basa sui dati rilevati dall'11 al 17 gennaio. Le colonne su cui poggia l'assegnazione delle zone sono quattro: l'indice di trasmissione nazionale (meglio noto come Rt), l'incidenza settimanale dei casi ogni 100.000 abitanti, il livello di rischio (basato sull'algoritmo) e lo scenario di trasmissione. Combinati tra loro, questi quattro fattori restituiscono il rispettivo colore stabilito in base ai parametri presenti nel dpcm 14 gennaio 2021.
1 Indice Rt. Rappresenta il numero medio di persone che un malato può contagiare, e viene utilizzato dagli epidemiologi per valutare la diffusione di un'epidemia. Mentre «R con zero» indica il potenziale di trasmissione di una malattia infettiva non controllata - quando cioè non vengono messi in atto specifici interventi, farmacologici e non - Rt viene calcolato nel tempo. In altri termini, mentre «R con zero» serve a valutare la forza di un patogeno all'inizio del contagio, Rt serve invece a valutare l'efficacia degli interventi nel corso di una pandemia. L'Rt viene calcolato tramite una formula statistica molto complessa, e tiene conto solo dei casi sintomatici. La rilevazione dei casi asintomatici, infatti, dipende dalla capacità di screening: più test si fanno, più persone positive si trovano. Al contrario, per restituire un valore affidabile l'Rt ha bisogno di poggiare su dati robusti e definiti da criteri comuni (cioè la sintomatologia). L'equivoco della Lombardia è legato alla forte sovrastima dell'indice, causata dal calcolo di un doppio Rt (per casi sintomatici e per ospedalizzati) e all'introduzione del nuovo status di guarito.
2Incidenza settimanale dei casi. Rappresenta il numero di casi alla settimana ogni 100.000 abitanti. Attualmente la soglia «critica» è rappresentata da 50 casi ogni 100.000 abitanti (per la Lombardia circa 5.000 casi alla settimana). Sopra tale soglia, e al verificarsi di determinate condizioni, scatta la zona arancione o, peggio, quella rossa.
3Algoritmo. Stabilito dal dm Salute del 30 aprile 2020, consta di tre domande concatenate per la valutazione di probabilità di diffusione (Sono stati segnalati nuovi casi negli ultimi cinque giorni nella Regione/Provincia autonoma? Vi è evidenza di un aumento di trasmissione con Rt>1 e/o aumento nel numero o dimensione dei focolai? Vi è evidenza di trasmissione diffusa non gestibile in modo efficace con misure locali) e impatto (Sono stati segnalati nuovi casi negli ultimi cinque giorni in soggetti di età maggiore di 50 anni? Vi sono segnali di sovraccarico dei servizi sanitari? Vi è evidenza di nuovi focolai negli ultimi sette giorni in Rsa/case di riposo/ospedali o altri luoghi che ospitino popolazioni vulnerabili?). Per rispondere ci si basa sui 21 indicatori di rischio e vengono determinati quattro livelli: molto basso, basso, moderato e alto.
4Livello di rischio. La valutazione del rischio è uno dei punti cardine del sistema a fasce, e forse anche il più contorto e controverso. Per determinarla, si incrociano in una matrice la valutazione di probabilità e di impatto, unite al giudizio di resilienza territoriale. Il risultato è la classificazione complessiva del rischio: bassa, moderata, moderata ad alto rischio di progressione a rischio alto, alta.
5Scenari di trasmissione. Sono stati delineati nel documento «Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale», pubblicato lo scorso ottobre, e sono di quattro tipi. Tipo 1: situazione di trasmissione localizzata (focolai) sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020 e caratterizzata da Rt regionali inferiori a 1; tipo 2: trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile nel breve-medio periodo, con Rt compreso tra 1 e 1,25; tipo 3: trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo, Rt tra 1,25 e 1,50; tipo 4: trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo e Rt sistematicamente superiore a 1,5.
Secondo la normativa attuale, si entra in zona arancione se l'incidenza settimanale supera i 50 casi ogni 100.000 abitanti, si rientra in uno scenario di tipo 2 e la Regione presenta un livello di rischio almeno moderato, oppure con scenario di tipo 1 e rischio alto. La zona rossa, invece, riguarda i territori con più di 50 casi ogni 100.000 abitanti, uno scenario almeno di tipo 3 e livello di rischio almeno moderato. Solo rimanendo al di sotto di 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane di seguito si può aspirare alla «zona bianca», dove vige solo l'obbligo della mascherina e del distanziamento.





