2021-05-17
Stop alla lotta di classe sul Covid
Oggi c'è la cabina di regia, serve una svolta: via le mascherine all'aperto e il coprifuoco. L'Rt è un indicatore fallace, va mollato.Per il sociologo Luca Ricolfi se avessimo gestito diversamente le serrate «avremmo risparmiato settimane di chiusura e 80.000 vite. Con l'estate ci aiuterà molto stare all'aperto».Lo speciale contiene due articoli. Oggi è il giorno dell'attesissima cabina di regia che potrebbe decidere qualche ulteriore passo verso il ritorno alla normalità. Con il conforto del buonsenso, e con il supporto di dati che da molti giorni indicano un sensibile miglioramento (meno contagi, meno decessi, meno ricoveri), c'è da augurarsi che non scatti la solita mediazione al ribasso: piccole concessioni aperturiste bilanciate da altrettanti paletti chiusuristi, tanto per evitare che Roberto Speranza, Enrico Letta e la sinistra perdano la faccia. Per incoraggiare soluzioni limpide, ragionevoli e coraggiose, La Verità indica quattro obiettivi.1 Far saltare l'obbligo di mascherina all'aperto. Già da molto tempo, negli stessi paesi europei, vigono regole differenziate, e l'Italia si è collocata sulla posizione più restrittiva e dogmatica. È il momento di voltare pagina. Un conto è chiedere di indossare la mascherina al chiuso o nelle situazioni in cui non sia possibile rispettare una distanza adeguata. Ma all'aperto, nel rispetto delle distanze e con la bella stagione ormai arrivata, che senso ha mantenere ancora l'obbligo di rimanere imbavagliati? Con i risultati che inevitabilmente vediamo: mascherine a penzoloni, continuamente toccate con le mani, abbassate e rialzate. 2 L'eliminazione del coprifuoco, e non solo il suo posticipo di un'ora o due. Di per sé, si tratta di una misura prova di qualunque base scientifica. Accettandola, siamo entrati in una dimensione di pensiero quasi «magico» (ciascuno valuti che genere di magia), o comunque afflittivo e punitivo verso i cittadini e le loro libertà. In più, la misura è senza senso anche dal punto di vista pratico. Come ci si può appellare al turismo, mantenendo l'obbligo di mettersi a letto alle 22 (o anche alle 23)? E anche in ottica di cautela anti assembramento, è possibile che non si comprenda che comprimendo gli orari c'è inevitabilmente più ressa, mentre proprio una dilatazione degli orari consente una circolazione meno caotica? 3 La riapertura dei ristoranti anche al chiuso. L'obiezione dei virologi del panico è nota: al ristorante bisogna togliere la mascherina (certo, mangiare imbavagliati è francamente complicato). Anche qui, tuttavia, il buonsenso può essere una buona guida: si tratta di procedere con il metodo delle prenotazioni, delle capienze limitate, e di protocolli adeguati. Con questi paletti, non si vede perché una cena in sala al ristorante (oggi vietata) debba essere più pericolosa di una partita di calcetto (oggi consentita). Né è accettabile l'idea che gli esercizi sprovvisti di spazi all'aperto debbano essere portati al fallimento. Il mix tra abolizione del coprifuoco e adozione di protocolli ragionevoli può consentire a un ristorante al chiuso di fare ogni sera un paio di turni, e di incassare almeno la metà dei ricavi dei tempi ordinari. Perché impedirlo? Ovviamente analogo semaforo verde dovrebbe scattare anche per le piscine al chiuso e per le palestre.4 Il quarto obiettivo, più tecnico, riguarda una riforma dei criteri dei «colori» e una radicale revisione del sistema dell'Rt. Oggi, a numeri bassi, è sufficiente un incremento anche contenuto dei contagi per penalizzare un territorio in modo eccessivo. Si adotti come riferimento, invece, un indice legato alla pressione ospedaliera, con particolare riguardo alle terapie intensive. Come si vede, si tratta di proposte di assoluta ragionevolezza. Speriamo di non dover ancora sentire le solite frasi fatte, tipo «siamo all'ultimo miglio», che avrebbero il sapore di un'ennesima presa in giro per attività che hanno sopportato ogni genere di sacrificio.Ieri, per una volta, anche dai tecnici si sono sentite solo dichiarazioni incoraggianti, dal sottosegretario Pierpaolo Sileri («Le terapie intensive si stanno svuotando») al coordinatore del Cts Franco Locatelli («Le aperture decise secondo il criterio del “rischio ragionato" non si sono associate a una ripresa della curva epidemica»), passando per il professor Francesco Vaia dello Spallanzani («Il virus lo stiamo massacrando»). Solo Speranza, come al solito, è rimasto in mezzo al guado: «Possiamo proseguire con ragionata fiducia verso le graduali riaperture delle altre attività, mantenendo la necessaria prudenza. Con dati in miglioramento possiamo allentare e poi superare il coprifuoco». Il che fa pensare che il ministro, anche oggi, spingerà solo per un mini slittamento alle 23 o alla mezzanotte. Intanto, anche ieri, dati molto rassicuranti: 5.753 positivi (contro i 6.659 del giorno prima), e 93 morti (dato più basso da sette mesi, e comunque cifra molto inferiore ai 136 del giorno precedente). In diminuzione anche i ricoveri: meno 26 in intensiva, meno 359 nei reparti ordinari. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/quattro-idee-sensate-su-orari-e-ristoranti-per-ripartire-davvero-2653005680.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="luca-ricolfi-con-lockdown-piu-duri-e-brevi-avremmo-avuto-meno-morti" data-post-id="2653005680" data-published-at="1621188619" data-use-pagination="False"> Luca Ricolfi: «Con lockdown più duri e brevi avremmo avuto meno morti» Luca Ricolfi (Ansa) Il professor Luca Ricolfi, sociologo, ordinario di analisi dei dati all'università di Torino, è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume (Fondazionehume.it). In libreria (ed. La Nave di Teseo) il suo ultimo libro, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un'epidemia. Cominciamo con uno sguardo al passato. Lei ha coerentemente contestato al vecchio e pure al nuovo governo la scelta di tenerci «a bagnomaria» per un tempo troppo lungo. In che senso? «Nel senso che sia il primo lockdown (marzo-aprile), sia il secondo (ottobre-aprile) potevano essere molto più brevi, con enormi benefici per l'economia (e per le nostre esistenze). Nel mio libro dimostro che, dato un obiettivo di abbattimento dei contagi e dei decessi, lo si può raggiungere molto più rapidamente anticipando il lockdown, e invertendo l'ordine dei fattori (swap): prima il lockdown duro, poi quello soft. Se avessimo seguito questa strategia (anticipo+swap) avremmo risparmiato almeno 3 settimane in occasione del primo lockdown, e almeno 3 mesi (forse 4) in occasione del secondo. Per non parlare dei morti, che - secondo una stima di larga massima - sarebbero stati al massimo un terzo di quelli che abbiamo avuto, con un risparmio di almeno 80.000 vite umane». La sua idea è che sia stato un azzardo avviare la campagna vaccinale senza prima aver drasticamente ridotto la circolazione del virus. «Più che una mia idea, è una tesi di Andrea Crisanti e degli studiosi che hanno studiato il problema della pressione selettiva sulle varianti del virus, a partire dai lavori di Paul Ewald negli anni Novanta. Fondamentalmente è un problema statistico, di grandi numeri: se vaccini a manetta mentre l'epidemia dilaga, il virus ha molte più probabilità di dar luogo a una variante pericolosa, che si trasmette velocemente ed elude i vaccini. Se avessimo prima abbattuto la curva epidemica (tra ottobre e novembre), e poi iniziato a vaccinare, oggi correremmo meno rischi». Comunque, adesso la campagna di vaccinazione sembra aver finalmente preso un ritmo migliore. A che punto siamo secondo lei? «Gli italiani dotati di qualche protezione (guarigione o vaccino) sono 1 su 3, quelli dotati di una buona protezione (2 dosi di vaccino) sono 1 su 7. Non è malaccio, ma l'obiettivo di vaccinare pienamente il 70% degli italiani (il massimo realisticamente raggiungibile) è ancora lontano. Secondo gli ultimi calcoli della Fondazione Hume, che ogni settimana fa il bilancio della campagna vaccinale, inizieremo le vacanze estive senza averlo ancora raggiunto». È realistico immaginare che raggiungeremo un livello collettivo accettabile di protezione? E, se sì, quando? «Risposta difficile, perché ci sono tre aspetti distinti, che spesso vengono confusi. Un conto è chiedersi quando avremo vaccinato il 70% degli italiani, e la risposta è: abbastanza presto, quasi sicuramente entro la fine di agosto. Un altro conto è chiederci se, una volta raggiunto questo obiettivo (che potrà essere superato solo con vaccini per gli under-16), saremo protetti, e la risposta è: probabilmente non del tutto, perché l'efficacia media dei 4 vaccini usati in Italia è ampiamente sotto il 100%. Un altro conto ancora è chiedersi se, quest'autunno, avremo raggiunto l'immunità di gregge. Qui la mia risposta è: probabilmente no, perché l'immunità di gregge richiede non solo un'elevata percentuale di vaccinati, ma anche che tutti o la maggior parte dei vaccinati non trasmettano l'infezione, il che al momento pare ancora dubbio, specie per Astrazeneca». In passato, lei ha fatto spesso previsioni assai cupe (non di rado, va detto, confermate dalla realtà). C'è però qualcosa su cui le pare di aver avuto preoccupazioni eccessive? Correggerebbe qualcosa delle sue affermazioni passate? «Sì, ci sono cose che correggerei. La più importante è la mia preoccupazione dell'estate scorsa per movida, assembramenti, spiagge. Resto convinto che le discoteche dovevano restare chiuse, e i voli turistici limitati e controllati, ma per la maggior parte delle attività all'aperto penso di aver sopravvalutato i rischi: oggi abbiamo evidenze empiriche che suggeriscono che, almeno in estate, la trasmissione all'aperto sia molto meno probabile di quanto si supponesse. Per altri aspetti, invece, sono autocritico nella direzione opposta: abbiamo sottovalutato, e continuiamo a sottovalutare, il pericolo della trasmissione negli ambienti chiusi. Il grave è che questo pericolo, almeno nelle scuole e negli uffici, avremmo potuto evitarlo con dispositivi di purificazione o di ricambio dell'aria. Ho fatto un calcolo, e mi risulta che purificare l'aria in tutte le aule scolastiche sarebbe costato meno che acquistare i banchi a rotelle. Se si voleva salvare l'economia, era meglio mettere in sicurezza scuole, uffici e trasposti pubblici, anziché massacrare quella che chiamo “la società del rischio", ossia il mondo del lavoro autonomo». In questi giorni, anche differenziandosi significativamente dalle analisi dei professori Galli e Crisanti, lei ha preso le distanze da previsioni di evoluzioni drammatiche sul piano della mortalità. «Sì, in questo momento (e per la prima volta) le mie previsioni non sono in sintonia con quelle di Galli e Crisanti. Non credo che, a fine maggio, avremo 500 o 600 morti, e sono felicemente sorpreso del fatto che gli Rt regionali, per ora, siano quasi tutti sotto la soglia di 1». A pesare in positivo sarà il fatto che ora staremo di più all'aperto, e che la campagna vaccinale sta accelerando… «Esattamente. Ma aggiungo un altro fattore: la temperatura, e forse pure l'esposizione ai raggi ultravioletti, che - attraverso la vitamina D - irrobustiscono il sistema immunitario». Fin qui gli aspetti positivi. Ragioniamo invece sui rischi futuri. Mi pare che ben poco si stia facendo per la messa in sicurezza di aule e trasporti. È vero che il prossimo autunno saremo tutti vaccinati, ma non varrebbe la pena di darsi da fare da subito? «Sì, il governo sta calcolando male i rischi per l'autunno. Uno degli scenari possibili è che diventi più difficile che un contagiato si ammali, ma diventi anche molto più facile contagiarsi, perché la gente non fa attenzione e una parte dei vaccinati continua a trasmettere il virus. Se la letalità (probabilità di morire una volta contagiati) è bassa, ma siamo quasi tutti contagiati, la mortalità (decessi per abitante) può anche aumentare, in barba alle vaccinazioni: non è una previsione, ma uno scenario possibile». Se dovesse fare una critica alla sinistra, cosa direbbe? «Al governo giallorosso rimprovero di non aver fatto, almeno, le cose ovvie e quindi doverose: comprare dispositivi di protezione del personale sanitario a gennaio-febbraio, aumentare il numero di tamponi in primavera ed estate, controllare la qualità dei miliardi di mascherine comprate, organizzare per tempo un piano vaccinale sensato. Alla sinistra rimprovero l'iper-tutela della sua base elettorale, ossia dei garantiti, e il cinico abbandono dei non garantiti, come se questa non fosse la diseguaglianza fondamentale dell'Italia di oggi». E se dovesse farla alla destra? «Non aver capito che, se voleva tutelare il mondo del lavoro autonomo, doveva essere ancora più rigorista della sinistra, e pretendere lockdown precoci, duri, ma in compenso molto, molto più brevi di quelli che ci hanno inflitto i giallorossi». Vuole dare un suggerimento finale al premier Draghi? «No, la politica va dove vuole. Una delle caratteristiche più sorprendenti della gestione della pandemia è che la politica abbia completamente ignorato le proposte (costruttive) degli scienziati indipendenti». Cambiamo tema. Sul ddl Zan lei ha parlato di due vizi della sinistra: da un lato il tradizionale «complesso dei migliori» e dall'altro la tendenza a legiferare compilando elenchi di soggetti più o meno opportunamente ritenuti «fragili». «In realtà il ddl Zan è una estensione della legge Mancino, di cui condivide la debolezza fondamentale: l'incapacità di distinguere fra parole che concretamente minacciano le persone o lo Stato, e parole che si limitano a ledere la sensibilità di individui e gruppi. Un tema magistralmente sviluppato da Guia Soncini in L'era della suscettibilità. Con in più tre regalini niente male: la rieducazione dei reprobi, in perfetto stile maoista (art. 5); l'indottrinamento degli scolari (art. 7); il finanziamento permanente, con 4 milioni annui, delle associazioni Lgbt presso cui i reprobi potrebbero essere rieducati (l'unica porzione della legge Zan già in vigore, grazie al suo inserimento nel “decreto agosto")». Perché c'è così poca sensibilità al tema della libertà d'espressione? «Forse perché finora la legge Mancino è stata applicata molto raramente. E perché la gente si accontenta di potersi sfogare su internet, dove quasi mai si paga per quel che si scrive». Non le pare che a volte i contrari al ddl Zan, anziché imbracciare, come dovrebbero, il tema del free speech messo a rischio dall'art. 4, si facciano trascinare su altri terreni, cadendo in trappole, facendosi mettere la scomoda e sgradevolissima maglietta dell'omofobia? «Concordo pienamente, la libertà di espressione è stato sempre un tema di sinistra, e la censura una tentazione della destra conservatrice e bacchettona. Oggi è il contrario, ma è logico: perché ci sia censura, occorre un establishment, e oggi l'establishment è la sinistra».