Le cavillose e surreali limitazioni imposte durante la pandemia ora sono solo un brutto ricordo, ma le loro conseguenze restano attuali. Anche nei tribunali. Quello di Novara, in particolare, ha appena emesso una sentenza storica, riconoscendo per la prima volta il «diritto al commiato» e condannando una casa di riposo a risarcire con 5.000 euro una donna a cui era stato impedito di vedere, per l’ultima volta, il marito morente a causa delle restrizioni anti Covid. Una sorte toccata a tante famiglie, alcune delle quali non poterono nemmeno celebrare le esequie dei propri cari, messe al bando per quasi due mesi dal ministero della Salute, allora guida da Roberto Speranza.
I fatti di Novara risalgono al 2021: le condizioni del signor Pietro, ospite della Rsa dal luglio 2020 e affetto negli ultimi anni da decadimento cognitivo, il 20 gennaio si aggravarono irrimediabilmente, dopo un peggioramento nei giorni precedenti nei quali alla moglie, Rosa, era stato concesso di accedere alla struttura. Come si legge negli atti, alle ore 10.20 circa, la signora Rosa telefonava in struttura per avere ragguagli circa le condizioni del marito».
Il direttore sanitario della struttura «la informava circa un ulteriore drastico peggioramento delle condizioni di salute del marito e ne preannunciava l’imminente decesso. In tale occasione la signora chiedeva quindi nuovamente la possibilità di poter effettuare un accesso urgente in struttura, con tutte le precauzioni del caso (in particolare l’effettuazione di un tampone) per poter assistere il coniuge negli ultimi momenti della sua esistenza in vita. Tuttavia, l’autorizzazione ad effettuare tale accesso le veniva ancora una volta negata.
Solo alle 14.12 la caposala avvisò Rosa dell’imminente decesso, invitandola a raggiungere la struttura. Arrivata verso le 14.30, «veniva quindi invitata comunque a salire per prestare un ultimo saluto alla salma del coniuge, ma si rifiutava, ritenendolo tragicamente vano».
I coniugi della coppia, infatti, come noto al personale della Rsa, «erano entrambi non credenti, convinti dell’assenza di una vita ultraterrena dopo la morte, e che con quest’ultima cessi ogni rapporto umano e spirituale fra le persone». Tali circostanze, scrive il giudice Giuseppe Siciliano nella sentenza, hanno reso ancor più doloroso per la signora Rosa non poter essere vicina al marito, con il quale aveva condiviso 50 anni di vita familiare e lavorativa, negli ultimi momenti della sua esistenza. Questo ha causato un dolore ancor maggiore di quello determinato dalla scomparsa del compagno di una vita».
In propria difesa, la Residenza per anziani dichiarò di essersi semplicemente attenuta alle norme imposte dal governo Conte bis. Il giudice ha in effetti riconosciuto che «il contesto normativo vigente all’epoca (nella quale - innegabilmente - vi era stato e vi era un continuo proliferare di provvedimenti e atti normativi di vario rango, in particolare Dpcm) porta a ritenere che una Struttura insistente nel territorio della Regione Piemonte avesse effettivamente la possibilità di limitare o anche vietare le visite in determinati reparti o nell’intero plesso».
Tuttavia, la toga non ha basato la sua decisione soltanto valutando «la stretta applicazione delle norme» ma controllando come viene declinato nel caso concreto un «potere discrezionale». Il magistrato ha quindi individuato un «eccesso di potere» da parte dei responsabili della Rsa: «In conclusione e in estrema sintesi, un comportamento, in generale plausibile in forza di un potere conferitole dalle norme allora vigenti, ma esercitato in modo non del tutto corretto (con tutta probabilità, un eccesso di prudenza ma comunque un eccesso; un avviso della imminente morte, con tutta probabilità, dato con troppo ritardo; insomma, un “eccesso di potere” non assoluto-arbitrario e generalmente animato da una volontà di cautelare i ricoverati o anche di cautelarsi ma comunque un eccesso di potere».
Il giudice spiega infatti inoltre che «il divieto o limitazione di ingresso (nella Rsa novarese, ndr) è stato adottato anche quando strutture ospedaliere, nello stesso periodo, consentissero le visite soprattutto in caso di visita a soggetto in condizioni di salute oggettivamente gravi».
La sentenza quindi, oltre ad aprire la strada a nuove istanze giudiziarie presentate da familiari che durante il Covid hanno subito simili divieti, ha una forte portata simbolica, poiché riconosce l’esistenza e la risarcibilità del danno da «mancato commiato» per «avere negato quel momento essenziale per l’elaborazione del lutto che è il passaggio, per certi versi formale, di addio».






