I sette membri dell’equipaggio della nave Mare Jonio cari al cardinale Matteo Maria Zuppi e al defunto papa Francesco, tra cui Luca Casarini, ex no global che, dismessa la tuta bianca, si è riciclato come commodoro salva migranti, sono stati rinviati a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato aggravato dall’averne tratto un profitto. L’indagine si era concentrata su un’operazione dell’11 settembre 2020, ovvero quando la Mare Jonio trasferì a bordo 27 migranti che la nave mercantile Maersk Etienne (il 5 agosto) recuperò al largo di Malta. Otto mesi dopo Maersk saldò con questa voce: «Servizi di assistenza forniti in acque internazionali-Settembre 2020». Un soccorso a pagamento, praticamente, secondo l’accusa. Alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero ha aderito l’Avvocatura dello Stato, che si è costituita parte civile per il ministero dell’Interno. E, così, i sette della Mare Jonio dovranno affrontare il processo. A partire da Pietro Marrone, comandante della nave della Ong Mediterranea saving humans, e da Alessandro Metz, legale rappresentante della Idra social shipping, la società armatrice della nave. E, con loro, Giuseppe Caccia, vicepresidente del consiglio d’amministrazione della Idra e capo spedizione. Ma la figura centrale del procedimento è Casarini, indicato dagli inquirenti come «amministratore di fatto» dell’intera operazione. A chiudere il cerchio ci sono tre membri dell’equipaggio: il medico Agnese Colpani, il soccorritore Fabrizio Gatti e il tecnico di bordo Geogios Apostolopoulos. Per il pubblico ministero ognuno di loro avrebbe avuto un ruolo nel trasporto e nello sbarco di migranti sulle coste italiane in violazione delle norme. E lo avrebbe fatto non solo consapevolmente, ma anche con un ritorno economico diretto o indiretto. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa, Eleonora Schininà, ha fissato la prima udienza del processo al 21 ottobre, davanti ai giudici del collegio penale. Una data che segna il passaggio dall’inchiesta al dibattimento. I difensori rivendicano la «natura umanitaria» delle missioni e confidano che la Corte di Giustizia Europea offra una sponda decisiva. La Procura, infatti, aveva chiesto la sospensione della decisione in attesa delle valutazioni della Corte di giustizia europea sul perimetro della norma sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (caso Kinshasa) che potrebbe avere delle ripercussioni proprio sul capo di imputazione principale e che si presuppone possa determinarsi entro l’estate. Ma le narrazioni difensive sono entrate in collisione diretta con la ricostruzione della Procura: tra buone intenzioni e illegalità il confine sarebbe stato oltrepassato. Con finalità di profitto. Perché, stando alle ipotesi della Procura, con la Maersk si sarebbe trattato di un accordo commerciale. Le intercettazioni, anticipate dalla Verità, ricostruivano anche la rete di relazioni del raggruppamento di Casarini, sostenuto in passato da vescovi e cardinali promotori dell’accoglienza a go go. E proprio Casarini, con la bussola morale sempre puntata contro il governo, ora tenta di buttarla in politica: «Questo processo diventerà l’occasione per chiedere conto a ministri, governi e autorità, sul perché queste persone sono state lasciate in mezzo al mare. Diventerà un processo all’omissione di soccorso». In realtà, stando all’accusa, il soccorso c’è stato. Ma con il tassametro della Mare Jonio acceso.
Con un cartellone ricco di 15 mostre, workshop, letture portfolio e un' interessante sezione dedicata all'Editoria indipendente italiana, sino al 30 settembre 2024 la meravigliosa città siciliana ospita la 12esima edizione del Ragusa Foto Festival. Da Ferdinando Scianna a Claire Power, esposti grandi nomi della fotografia italiana ed internazionale, con un invito per tutti: prendersi una pausa…
«Ogni pausa è cielo in cui mi perdo». Scriveva così il grande Salvatore Quasimodo in Fresca Marina - una delle sue poesie più celebri- ed è da qui, da questi brevi e intensi versi, che prende il via il festival della fotografia di Ragusa, che quest’anno, proprio tramite i diversi linguaggi fotografici, vuole offrire spunti di riflessione e nuovi orizzonti in cui potersi perdere, con la mente e con il corpo. Una leggerezza che non significa superficialità, ma, al contrario, un viaggio introspettivo in cui è possibile «ritrovarsi», rallentare i ritmi , riprenderci i nostri tempi in un mondo oramai perennemente connesso e interconnesso, dove la velocità è diventata elemento fondamentale del contemporaneo e del quotidiano.
I luoghi e le mostre
Curato da Stefania Paxhia (ideatrice e fondatrice), con la direzione artistica affidata al noto fotografo Massimo Siragusa, anche quest’anno il Festival ha il suo clou nel cuore barocco della città, tra Palazzo Cosentini, Palazzo La Rocca, la Chiesa sconsacrata di San Vincenzo Ferreri e all’interno del Giardino Ibleo, location prestigiose e di grande fascino, che vedono alternarsi autori affermati e giovani talenti «con il desiderio di offrire all’osservatore - come ha dichiarato Massimo Siragusa - diversi punti di vista sul tema conduttore della manifestazione».
Tra le esposizioni più attese, sicuramente quella di Ferdinando Scianna (siciliano di Bagheria , classe 1943), Maestro indiscusso della fotografia del XX secolo e primo fotografo italiano a far parte della prestigiosa agenzia Magnum, presente a Ragusa con la mostra Dormire, forse sognare, straordinaria selezione di immagini che raccontano l’uomo colto nel suo momento più intimo e indifeso. Di grande interesse anche il progetto «a quattro mani», dedicato alla tombola napoletana, che porta la firma di Antonio Biasiucci e Mimmo Paladino, un lavoro originale, quasi un gioco fra gli straordinari scatti di Biasucci e lo stile inconfondibile di Paladino, fra i maggiori esponenti della Transavanguardia artistica moderna. E poi le immagini inedite di Luca Campigotto, che ci spingono a riflettere sull’equilibrio precario che si instaura nella relazione tra l’uomo e la natura e la sequenza distopica delle foto di Marco Zanta, specchio di un mondo proiettato verso un futuro inquietante, ma apparentemente in perfetto equilibrio. Ad esporre a Ragusa anche Angelo Raffaele Turetta , uno dei più amati e apprezzati fotografi di scena italiani, a cui va il merito di aver osservato (e immortalato) con sguardo magico e surreale la storia degli ultimi trent’anni del cinema italiano, con una predilezione particolare per i momenti di pausa dietro le quinte.
A spiccare per originalità, i «dittici uomo/ albero» di Loredana Nemes (artista nata in Romania ma berlinese d'adozione ), che con il suo progetto «Sicilia» (titolo perfettamente in linea co il festival…) celebra l’importanza che le piante rivestono per la nostra vita e il legame che ogni persona ritratta (famiglie, coppie, uomini e donne, giovani e anziani) ha instaurato con il proprio albero feticcio. E a parlare di Trinacria anche il lungo e meticoloso lavoro di Umberto Coa, che ha documentato la realtà sociale e culturale dell’Isola attraverso la mappatura dei piccoli e piccolissimi campi di calcio, visti e vissuti come momento identitario del Paese.
Un festival importante, di grande spessore culturale e di altrettanto grande importanza aggregativa, dove, come ha giustamente sottolineato Stefania Paxhia, «anche la Sicilia è protagonista delle opere in mostra, continuando a manifestare la vitalità e l'innovazione della produzione fotografica contemporanea libera e aperta al dialogo, oltre i confini artistici e geografici».
Appuntamento imperdibile della rovente estate siciliana, è in corso ad Ibla (sino al 27 agosto) l’undicesima edizione del Ragusa Foto Festival, importante manifestazione culturale diffusa sul territorio che propone, oltre a 10 monografiche, un fitto programma di eventi – letture portfolio, talk e workshop – con tanti ospiti di spicco, italiani e internazionali.
Antico centro storico della città di Ragusa, testimonianza della più alta espressione del barocco siciliano, è ancora una volta Ibla ad ospitare il Ragusa Foto Festival, che quest’anno ha scelto come filo conduttore l’attualissimo tema delle «Relazioni », trovando nelle mille sfumature che tale termine può assumere l’opportunità di raccontare non solo l’uomo e la donna contemporanei, ma anche la fotografia più attuale, oggi determinate - grazie soprattutto alla sua larga diffusione nel mondo digitale - nel creare e alimentare le relazioni: « Il tema di questa XI edizione - ha spiegato Stefania Paxhia, fondatrice e ideatrice del festival, che vede la direzione artistica di Claudio Composti - è anche celebrativo della rete di persone e di realtà nazionali e internazionali che in questi anni, considerando la funzione comunicativa potente della fotografia e la sua responsabilità sociale, ci ha consentito di allargare la nostra piccola comunità in itinere per offrire qualcosa sia dal punto di vista della riflessione sia per stimolare nuovi focolai di creatività».
Le mostre, le sedi espositive e il Progetto Caritas
Dislocate tra Palazzo Cosentini, la chiesa sconsacrata di San Vincenzo Ferreri e l’Antico Convento dei Cappuccini – posto all’interno del Giardino Ibleo, patrimonio UNESCO – sono le mostre il focus del festival, 10 interessati monografiche di autori importanti, giovani emergenti, fotografi italiani e internazionali, con un occhio di riguardo per la fotografia siciliana.
Fra i nomi più noti della fotografia italiana contemporanea, a spiccare è sicuramente quello di Davide Monteleone, che nel su lavoro - Simonocene - affronta la relazione tra uomo e natura, indagando le diverse forme di colonialismo, la globalizzazione e il rapporto tra potere e individui nella Cina di oggi.
Molto interessante e di grande impatto visivo How Far Is Too Close to the Heart? (Quanto è troppo vicino al cuore?), progetto della fotografa ligure Federica Belli che mette totalmente a nudo - letteralmente e metaforicamente – le relazioni che si creano tra persone sconosciute e che, per caso, si incontrano in uno spazio: esattamente come i protagonisti dei suoi scatti, figure umane nitide e ben delineate, nude o vestite, che si abbracciano, si toccano, si sovrappongono e interagiscono nei luoghi più diversi e disparati, nelle case accoglienti come sulle scogliere selvagge.
Strettamente legata alla «sicilianità» la mostra di Carlotta Vigo – trasferitasi a Pantelleria qualche tempo fa, appena dopo la pandemia - che con il reportage Mare Dentro, dedicato al mercato e alla lavorazione del pesce in Sicilia, testimonia la profonda relazione del territorio siciliano con il proprio passato e futuro, e allo stesso tempo con le proprie tradizioni e la sostenibilità.
Sara Grimaldi invece, attraverso un delicato e commovente racconto autobiografico dal significativo titolo Ho visto Nina volare, si interroga – e interroga – sul delicato e purtroppo attualissimo tema del rapporto tra malessere psicologico e alimentazione: i colori delle sue immagini, dai blu intensi delle profondità marine ai rossi infuocati dei tramonti, non possono non arrivare al cuore…
Nella chiesa sconsacrata di San Vincenzo Ferreri, esposte poi le foto scattate da sei giovani migranti ospiti nel Presidio Caritas di Foggia, che, sotto la sapiente guida di due fotografi professionisti come Arianna Arcara e Alessandro Zuek Simonetti, hanno affidato ai loro scatti le loro storie, le loro speranze e la loro forte voglia di riscatto: trattasi, questo, di un progetto molto importante, nato tre anni fa in collaborazione con la Caritas, ideato e fortemente voluto da Stefania Paxhia. Un bell’esempio di Relazione , perfettamente in linea con tema centrale del Festival edizione 2023. E non solo…
Siamo alla grande Sicilia. Sentirete come i sapori mediterranei allieteranno il vostro desinare. Per questa ricetta dobbiamo dire grazie a Ciccio Sultano, cuoco di altissimo valore che ha due stelle Michelin nel suo Al Duomo di Ragusa Ibla ma che delizia anche con piatti di tradizione anche all'annesso bistrot I Banchi con in faccia uno dei più celebrati monumenti del barocco, appunto il duomo di Ragusa. Ebbene in questo piatto c'è la vocazione a costruire un'opera d'arte del gusto. È molto facile da eseguire, l'importante è che la materia prima sia di alto livello.
Ingredienti per 4 persone - Per il baccalà: 4 filetti di merluzzo da 120 grammi ciascuno dissalati, 4 spicchi d'aglio vestiti, timo, olio extravergine di oliva.
Per la salsa di zafferano: un aglio, un cipollotto, 100 grammi di polpa di baccalà dissalata, 300 grammi di patate sbucciate, un litro di acqua dove sono stati diluiti 3 grammi di zafferano.
Per la polvere di frutti rossi: 30 grammi di misto di frutti rossi disidratati e polverizzati (facoltativa).
Per l'insalatina di arance e finocchi: 2 arance, un finocchio, olio, sale, prezzemolo, cipollotto fresco.
Procedimento - Fate qualche ora prima di servirla un'insalatina con le arance e il finocchio condita generosamente con olio, sale, prezzemolo e cipollotto. Preparate la salsa di zafferano facendo soffriggere uno spicchio d'aglio e un cipollotto; dopo qualche minuto aggiungete la polpa di baccalà, fate rosolare e unite 300 grammi di patate tagliate a dadini sfumando con dell'acqua allo zafferano fino a coprire a filo utilizzando il quantitativo indicato.
Proseguite la cottura per circa 15 minuti, lasciate raffreddare e frullare in modo da ottenere una salsa liscia e vellutata. Nel frattempo scottate il merluzzo dalla parte della pelle in una padella con olio, aglio e timo, proseguite la cottura in forno per 6 minuti.
Scegliete quindi un piatto con il fondo ampio: adagiatevi la salsa di zafferano e ponete sopra il filetto di merluzzo. Completate posizionando con garbo l'insalatina di arancia. Decorate con la polvere di frutti rossi, delineando il perimetro interno del piatto.
Come far divertire i bambini - Saranno loro a decorare e comporre il piato. Affidatevi al loro estro creativo vedrete che successo.
Abbinamento - Scegliamo un bianco siciliano molto profumato: un Grilo, o un Inzolia. Se volete fare una scelta più armonica allora optate per uno Moscato di Pantelleria vinificato fresco (non passito).
Sì certo, Antonio Logli quando si presentò a denunciare la scomparsa della moglie aveva il volto graffiato. Con il senno di poi gli inquirenti avrebbero dovuto subito tamponare quei segni. Per capire se erano state le unghie della moglie Roberta Ragusa a lasciarli o gli arbusti del giardino di casa, come il titolare della scuola guida di Gello, in provincia di Pisa, giura da quando Roberta sparì la notte del 12 gennaio 2012. Di errori ne sono stati compiuti tanti in questa inchiesta, tanto che l'esito del processo d'appello contro Logli è imprevedibile.
Sì, l'uomo dal ghigno beffardo, dal silenzio ostentato e granitico, il maschio italico che tradiva la moglie con la tata dei figli per portare l'amante a casa quando Roberta sparì, ebbene proprio lui potrebbe essere anche assolto. Ribaltando la condanna a 20 anni inflitta in primo grado. E non tanto perché i figli, a iniziare da Daniele, il primogenito, tra confidenze e lettere alla corte assicurano che papà non c'entra niente con la scomparsa di mamma, quanto perché è un processo minato in molte sue parti, un tavolo che poggia su piedi sghembi che scricchiolano e traballano. In Italia nessuno difende Logli. Ancora, esprime il profilo del perfetto assassino che si libera della moglie stanco delle lavate di testa dell'amante, stretto in una vita insostenibile, bulimico di libertà anche dopo le fughe fuori casa, a cercare prostitute sulle provinciali toscane. Un assassino beffardo che appunto porta a casa l'amante, la tata dei figli, dopo la sparizione della moglie. Ma non bastano i giudizi e i pregiudizi morali, né la viscerale antipatia per sbattere qualcuno un carcere. Servono le prove.
Roberta non è mai stata trovata. La si è cercata persino nelle cisterne che si sviluppano sotterranee in paese, nei boschi, all'isola d'Elba, guadando torrenti e trivellando campi, ma niente. E un processo per omicidio senza cadavere può anche concludersi con la condanna dell'imputato, come nel caso di Guerrina Piscaglia (ammazzata dal padre Graziano, stando ai 27 anni di carcere inflitti in primo grado) ma è tutto in salita. Per padre Graziano c'erano prove pesanti, a iniziare dai messaggi partiti dal telefonino dell'amante Guerrina dopo la scomparsa della povera donna. Qui invece non ci sono né la pistola fumante, ovvero l'arma del delitto, né il fumo. Si potrebbe ribattere che ci sono i testimoni, a iniziare da quel Loris Gozi, un giostraio con qualche precedente, che giura di aver visto Logli litigare con una donna per strada fuori casa della coppia, proprio la notte della scomparsa. Ma la testimonianza di Gozi è tardiva e non è certo - al pari di altri testi - dal profilo impeccabile per credere ciecamente a ogni sua parola. I trascorsi personali, di instabilità psicologica per alcuni e di droga per altri, facilitano la difesa di Logli a porre dubbi sull'attendibilità degli stessi. C'è poi un elemento sul quale la difesa di Logli ha speso più riflessioni nei motivi d'appello, ovvero l'atteggiamento del loro assistito. Dopo alcune interviste Logli non ha più e mai parlato. È stato in silenzio davanti ai magistrati e alle telecamere. Un atteggiamento che per i giudici di primo grado potrebbe essere indice di colpevolezza, ma che la difesa sottolinea come essere invece un diritto fondamentale dell'indagato. E come dare loro torto?
Gli avvocati fanno il loro mestiere, e ritengono legittima ogni azione dell'imputato meno amato dagli italiani. Anche quando chiede all'amante Sara di distruggere il telefono segreto che utilizzavano per le loro conversazioni appassionate. Per il pubblico ministero è un evidente elemento indiziario, volendo così nascondere i rapporti con l'amante. I difensori di Logli invece avvallano la spiegazione che diede proprio Logli in un primissimo tempo. Logli temeva che la moglie sarebbe tornata, e quel cellulare poteva essere la prova del tradimento, mettendo anche in difficoltà Sara nella comunità religiosa dei testimoni di Geova che frequentava. Da qui l'invito a sbarazzarsi del telefonino. Non era più semplice cancellare le conversazioni compromettenti? Sì, ma il rischio di dimenticare qualche dato o sbagliare era troppo insidioso.
Anche sul movente dell'amante, la difesa cerca di giocare bene le sue carte. Giustifica la scelta di Antonio di portarsi l'amante in casa, - fatto che ha fatto strabuzzare gli occhi a mezza Italia - collocando l'unione sotto lo stesso tetto un anno dopo la scomparsa di Roberta, quando ormai Logli non contava più sul rientro della moglie. Una scelta che si sarebbe resa obbligata, visto che Sara era stata sbattuta fuori dall'abitazione dove conviveva con i genitori e allontanata dalle testimoni di Geova. Le serviva un tetto. Ma poi davvero un assassino è così fesso da accasarsi con l'amante dopo aver ammazzato la moglie, richiamando su di sé i sospetti di tutti? Oppure - ci chiediamo noi - è l'astuto gesto proprio di chi, così facendo, sa che nessuno potrebbe ritenere capace anche l'omicida più superficiale di una simile leggerezza? La parola ora passa ai giudici, che dovranno decidere se ribadire la condanna per Logli o dichiararlo innocente.






























