Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Ma a prescindere dallo scoprire che cosa si dicono banchieri e finanzieri quando pensano di essere al riparo da orecchie indiscrete, e quali definizioni danno dei propri concorrenti, quello che abbiamo letto in questi giorni non è per nulla sconvolgente. Si sapeva, come ha onestamente ammesso Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 ore. E chi non lo sapeva lo poteva immaginare.
La battaglia attorno a Mediobanca è iniziata tanto tempo fa, quando il fondatore di Luxottica si vide rifiutare da Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, la generosa offerta di 500 milioni per gli ospedali Ieo e Monzino. La donazione doveva servire a costruire un polo di eccellenza della salute, trasformando l’istituto oncologico e quello cardiologico nei numeri uno del settore. Ma l’arroganza dell’erede di Enrico Cuccia era tale che neppure si accorse che lo sgarbo avrebbe rappresentato la sua fine al vertice di piazzetta Cuccia. Così Leonardo Del Vecchio cominciò a comprare le azioni della banca d’affari, arrivando quattro anni fa a ridosso del 20%. Se non ci fosse stata la Bce a fermarlo, con la scusa che un industriale non poteva scalare un istituto finanziario, probabilmente il patron di Luxottica si sarebbe comprato la maggioranza di Mediobanca. Sta di fatto che lo stop coincise con gli interessi manifestati da un altro imprenditore, ovvero Francesco Gaetano Caltagirone, non già verso l’ex creatura di Cuccia, ma per il Leone di Trieste, che dalla banca milanese è da sempre in qualche modo controllato. Generali, la più grande compagnia di assicurazione italiana, boccone prelibato della finanza con il suo portafogli di polizze, titoli di Stato e investimenti immobiliari. Anche qui però c’era il problema Nagel, che nonostante sia Caltagirone che Del Vecchio fossero azionisti importanti, non voleva influenze esterne. Ci vuole poco a capire che tra il gruppo romano e quello milanese ci fu sintonia. Entrambi avevano lo stesso obiettivo: contare di più, in banca e, soprattutto, nel grande gruppo assicurativo. E per raggiungere lo scopo Nagel era d’ostacolo. Ma per ottenere il risultato voluto c’era anche il problema delle competenze bancarie richieste dalla Bce. Ed ecco quindi spuntare Mps, banca pubblica da privatizzare dopo un salvataggio complicato dovuto alla pessima gestione dei compagni (il Monte negli anni passati era la cassa continua dei vertici della sinistra). All’inizio si era pensato di offrire in dote l’istituto toscano a Unicredit, ma l’amministratore Andrea Orcel aveva gentilmente declinato. Così, da banca da offrire in dote, Mps si è trasformata in istituto pronto a prendersi una rivincita. Da possibile preda a cacciatore: ma quando mise nel mirino Mediobanca nessuno prestò grande attenzione, convinti che la scalata a quella che era considerata la regina della finanza sarebbe stata impossibile. E invece eccoci a poche settimane fa, quando l’86% degli azionisti dell’istituto di piazzetta Cuccia ha aderito all’offerta di Lovaglio sostenuta da Caltagirone e Milleri.
Ora ci dicono che tra i tre c’è stato un concerto. Beh, buon risveglio nel mondo reale. Era ovvio che il gruppo romano e quello degli occhiali, insieme a Mps, non si erano mossi a caso. Era evidente, anche senza intercettazioni, che l’obiettivo era comune, prova ne sia che De Bortoli di fronte alle indagini della procura ha commentato con un «nulla che non si sapesse». La scalata di Caltagirone e Milleri è stata fatta per interposta banca? Sì. E allora? A questo punto si può riavvolgere il film e ritornare all’inizio come se non fosse successo niente? No. Al massimo qualche azionista contesterà ai protagonisti la mancata Opa obbligatoria, sostenendo di aver subito un danno. Vedremo. Ma ai fini del risultato non cambia nulla.
Si obietta che il governo ha tifato per gli scalatori? E nel caso fosse vero, che cosa cambierebbe? Forse Fassino non tifava per la scalata di Unipol alla Bnl? Forse D’Alema non coltivava interessi in Mps e nella Banca del Salento? Forse Prodi non mise lo zampino nelle privatizzazioni bancarie del passato? Nel caso Mediobanca-Generali almeno non si sono sprecati soldi pubblici, perché il denaro lo hanno messo gli imprenditori che hanno creduto nel progetto. Quanto al resto, c’è ancora da chiedersi perché Nagel rifiutò un regalo da 500 milioni gentilmente offerti da un benefattore che poi li girò all’ospedale del Bambin Gesù di Roma.
Ah, dimenticavo: anche l’ex amministratore di Mediobanca ha venduto un po’ di azioni proprie a Mps, confidando in un affare milionario.






