2025-09-21
Prima insulta l’Opa, poi aderisce. Nagel punta sul rialzo del titolo Mps
Alberto Nagel (Getty images)
L’ex ad Mediobanca scambia azioni con quelle di Siena convinto che il Monte sia a sconto.Il denaro non ha odore, dicevano i latini. Ma a Piazzetta Cuccia, più che saggezza, è diventata una strategia finanziaria. Dopo mesi passati a recitare la parte dei custodi severi dell’indipendenza della banca contro l’assalto dei barbari, l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, il presidente, Renato Pagliaro, e il direttore generale, Francesco Saverio Vinci, hanno fatto quello che nei salotti della finanza viene definito con pudico eufemismo «un passo indietro». In realtà, hanno fatto cassa. Hanno aderito all’offerta di Mps. La stessa operazione che in consiglio avevano bollato come «contraria agli interessi» della banca, «priva di razionale industriale e finanziario» e persino «distruttiva di valore».Eppure eccoli lì, a firmare il conferimento. Pagliaro ha messo sul piatto un milione di azioni, metà del suo pacchetto. Nagel si è limitato a 364.000, una fettina dei suoi bonus. Vinci 263.000, quasi un quinto del suo stock. Non chiamatela incoerenza, chiamatela gestione oculata del patrimonio. Dopotutto la matematica non è un’opinione: la triade ha già intascato circa 90 milioni di euro lordi vendendo nei giorni scorsi una parte delle azioni Mediobanca in loro possesso. Prima della fine potrebbero aggiungersene altri 50-60, considerando le attuali quotazioni di Borsa.Il punto è che, alla faccia delle dichiarazioni di principio, i signori di Piazzetta Cuccia hanno deciso di scommettere proprio su quello che fino a ieri consideravano un disastro annunciato. Secondo loro, il titolo Mps ha «sottoperformato» a causa delle incertezze sull’esito della scalata e oggi avrebbe spazio per recuperare, forte dei crediti fiscali e di un’integrazione che promette di correre spedita. Valutazioni di puro trading, come direbbero i tecnici. Ma con un retrogusto non certo in continuità con la scuola di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi.Il paragone con Maranghi è addirittura impietoso. Il delfino del fondatore, a Cesare Geronzi incaricato di offrirgli una buonuscita con molti zeri, replicò con il celebre «Non un euro in più della liquidazione». Nagel e Pagliaro hanno scelto un’altra strada: non un euro in meno. Mentre i vertici di Mediobanca fanno di necessità virtù, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si gode il successo: «Abbiamo votato a favore in assemblea e vuol dire che pensavamo fosse una cosa positiva». Non solo: «Ha risposto il mercato» con un’adesione «al di là di ogni aspettativa». Tradotto: se il Monte conquista oltre l’80%, la fusione con Mediobanca diventerà un epilogo naturale. Il Tesoro, che scende dall’11,7% a circa il 5%, commenta: «Non avevamo il controllo prima, tanto meno ce l’abbiamo adesso». E soprattutto, assicura Giorgetti,, «non abbiamo aiutato nessuno».Peccato che a Piazzetta Cuccia la pensino diversamente: il sospetto che il governo abbia spalancato la porta agli scalatori, da Caltagirone a Delfin, non li abbandona. Un sospetto che rende ancora più gustosa la giravolta dei tre manager, passati dall’anatema alla conversione con la disinvoltura di chi cambia il lato del letto.Ora cominciano i preparativi per la nuova Mediobanca. Il consiglio del Monte sta preparando la nuova governance di Piazzetta Cuccia. Un esercizio di potere, di equilibri e di poltrone. Ma il messaggio intanto è arrivato forte e chiaro: nella finanza italiana non esistono dogmi, solo quotazioni. Cuccia ammoniva che «le azioni non si contano, si pesano» Oggi, invece, si vendono.E quando a vendere sono proprio coloro che giuravano di difendere l’onore e l’autonomia della banca, il finale si scrive da solo: il denaro non puzza, ma lascia tracce indelebili.
Papa Leone XIV (Ansa). Nel riquadro don Nicola Bux.