Immaginiamo che sui principali quotidiani di oggi, la dose di previsioni catastrofiste sarà aumentata, perché ieri sono stati diffusi i dati della produzione industriale e non si può dire che meritino salti di gioia. Subito dopo l'ufficializzazione dell'andamento delle imprese nell'ultimo trimestre, già ieri sui principali siti Internet sono iniziati a circolare titoli tipo «Frena l'industria in Italia», accompagnati da fosche ipotesi di recessione. Dunque questa mattina prevediamo la pubblicazione delle consuete interviste-geremiadi, per spiegare che cosa non funzioni nella politica economica del governo.
Intendiamoci, che non tutto giri nel verso giusto nelle decisioni prese dalla maggioranza non è cosa che si possa smentire. Noi stessi abbiamo registrato forti perplessità non soltanto per il modo con cui si è intervenuti a regolare il mercato del lavoro, scaricando sulle imprese nuovi costi, ma anche per i provvedimenti contenuti nella Finanziaria, tra i quali il blocco dell'indicizzazione delle pensioni, il taglio delle pensioni più ricche e certi rischi del reddito di cittadinanza. Ciò detto, è altamente improbabile che le misure varate dalla coalizione pentastellata abbiano qualche cosa a che fare con i risultati di cui si parla in questi giorni. Il Pil, la Borsa e l'occupazione non scendono perché Di Maio e Salvini hanno deciso di fare più o meno deficit, spendendo i soldi in interventi che non piacciono a soloni e giornaloni, ma in quanto l'economia europea, anzi mondiale, sta rallentando.
Una prova? Beh, proprio i dati della produzione industriale. Già, perché mentre l'Italia a novembre ha registrato un meno 1,6 per cento rispetto al mese precedente, la Germania ha fatto meno 1,9, la Francia meno 1,3 e la Spagna meno 1,5. Ad andar meglio, paradossalmente, è stata la Gran Bretagna, che è riuscita a fermarsi a meno 0,4 per cento, nonostante la Brexit e le gufate della medesima stampa che ce l'ha con i sovranisti.
È colpa di Di Maio e Salvini se le fabbriche tedesche producono di meno? Oppure è addebitabile alla terribile coppia grilloleghista il fatto che il Pil trimestrale della Germania sia, in negativo, il doppio del nostro, dallo 0,10 in meno dell'Italia a un 0,20 in giù? È forse colpa dei Bibì-Bibò gialloblu se anche la Svizzera nell'ultimo trimestre è andata male, facendo peggio di noi o se la curva del Giappone è piatta come una tavola?
Già, perché per quanto l'informazione si dia da fare per dipingere un quadro a tinte fosche imputandolo al governo, la recessione non è una prerogativa italiana, ma sta toccando tutta Europa e gran parte del mondo Occidentale, Usa esclusi. I quali Stati Uniti, però, hanno fatto il contrario di ciò che si è fatto da noi, cioè hanno adottato una politica economica che non piace a Bruxelles. Infischiandosene di tutti, hanno ridotto le tasse e aumentato gli investimenti, rifacendo partire l'economia. Certo, la decisione è stata presa da quel puzzone di Donald Trump e dunque ha ottenuto il massimo dello sgradimento dai nostri economisti da tastiera. Tuttavia, al momento, cioè a due anni dall'insediamento del suo «peggior» presidente, l'America va a gonfie vele. Alla faccia di chi tifava «Forza, abbattiamo Trump». Che poi sono gli stessi che tifavano Forza spread e ora si sono riconvertiti a Forza recessione.
Per quanto ci riguarda, questo governo non sempre ci convince, soprattutto quando si occupa di lavoro, di fisco e di tasse. Ma su queste materie neppure gli altri godevano del nostro plauso, e tuttavia, quando leggiamo le previsioni di certi colleghi della grande stampa, alla fine ci risulta più simpatico chi sta a Palazzo Chigi di chi fa il cronista da strapazzo.
Maria Antonietta li profumava, Cleopatra li riempiva di lacrime: la storia passa da un fazzoletto
Nell'archivio storico di Lineapiù, grande azienda di filati per la maglieria, La Verità è andata alla scoperta della nuova sala dedicata alle collezioni di pizzi, ricami e campionari tessili. Grande protagonista, il fazzoletto, di cui abbiamo potuto tracciare la storia attraverso i libri antichi e le riviste di costume e moda raccolti nelle due librerie dello spazio fiorentino. Si racconta che Cleopatra inviasse ad Antonio fazzoletti intrisi di lacrime, ma già si parlava di rettangoli di tessuto bordati di frange nella Cina dell'anno mille prima di Cristo.
All'epoca dei Romani ne esistevamo di due tipi: l'orarium, che si portava annodato al polso sinistro per asciugarsi la bocca durante le orazioni, e il sudarium, legato alla cintura oppure al collo. Diventano veri e propri gioielli nel XV secolo, come raccontano i manuali di buone maniere, tenuti dalle signore tra le mani, come vezzo. Pegni d'amore sono i cinque fazzoletti di fili d'oro, d'argento e seta che Enrico IV regalò a Gabrielle D'Estréss, la sua favorita, in modo che li esibisse durante i ricevimenti a Corte, come attestazione sociale. Abitudine analoga l'avevano anche i sultani, che facevano planare una pezzuola all'interno dell'harem, così da invitare le loro ancelle a giochi amorosi. Nel tempo, con l'arrivo dell'abitudine di fiutare il tabacco, il fazzoletto bianco lasciò il passo a quelli colorati, che mascheravano meglio lo sporco.
E quando si è trasformato in un feticcio di lusso? Nel diciassettesimo secolo, quando ricami di perle, incrostazioni di gemme, trine, fiocchi e arabeschi gli domarono una inaspettata tridimensionalità: fu allora che le iniziali apparirono sulle stoffe, aprendo le porte alla mania della personalizzazione, che ancora oggi ci appartiene, con l'intento di ritrovarli in caso venissero persi. Era il 1687 quando Luigi XIV decise per legge che la forma ufficiale dovesse essere rigorosamente quadrata e fu Maria Antonietta a inventarsi il capriccio di profumarli, per lasciare una scia indimenticabile.
Tutti gli usi frivoli del fazzoletto furono messi in pausa durante la Rivoluzione francese, quindi sparirono come accessori eleganti per la seduzione. Tornarono a spron battuto nell'Ottocento, diventando indispensabili nella celebrazione della femminilità. Come avrete capito, quel piccolo lenzuolino era custode di segreti – dal pegno d'amore all'espediente per nascondere i denti cariati – ma anche un fedele amico per nascondere i sanguinamenti dalla bocca provocati dalla tisi. Regalare un fazzoletto era tutt'altro che un gesto banale, lo si faceva in segno di amicizia, per corteggiare, per dire qualcosa, per promettere.
Dall'Ottocento in poi è cominciata l'abitudine di lasciar cadere a terra il fazzoletto sperando che qualche baldo giovanotto lo raccogliesse, dando inizio a un corteggiamento e poi chissà, a qualcosa di più. Gli uomini usavano tenerlo in tasca, ma poi con il passare del tempo le signore, stufe di doverlo trattenere tra le dita, lo infilarono in borsetta, poiché in mano già c'erano ventaglio, guanti, fiori e spesso un ombrellino per ripararsi dal sole.
Oggi dove sono finiti quei piccoli tesori della nonna? Negli armadi con la naftalina, custodi di pensieri femminili, a volte peccaminosi, a volte tristi, come sintesi di un mondo emotivo difficile da spiegare a parole. In borsa, invece, si tengono fazzoletti di carta, spesso con disegni stampati o intrisi di aloe vera, profumi ed eucalipto.
Dal magico archivio di Lineapiù abbiamo estratto le lavorazioni del pizzo che in tutte le epoche hanno avuto più successo, soprattutto quando si parla di decorazioni per fazzoletti. C'è la lavorazione a buratto, che crea un effetto a rete quadrata, con un risultato geometrico. Il filet invece, che è una tecnica nata nel Trecento, ha i nodini e spesso è stata usata per le acconciature femminili di perle. La lavorazione a fili tirati è invece quella che ha segnato il passaggio dal ricamo al merletto ed è nata in Sicilia (famosi infatti sono i tipici sfilati siciliani). Proseguendo, c'è il reticello, tipico del Rinascimento, con la sua assenza di strutture rigide; la tecnica ad ago, che è la più complessa e dunque pregiata, e infine la lavorazione a fuselli, molto conosciuta perché realizzata con il tombolo, sintesi di una lunga serie di competenze artigiane.







