Il caso di Emanuela Orlandi è uno dei misteri italiani di cui si continua a discutere. Con Pino Nicotri lo affrontiamo da una prospettiva inedita sfatando molti luoghi comuni dietrologisti.
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2023-05-16
La Procura di Roma rivede il caso Orlandi. E stavolta collabora con i pm ecclesiastici
Emanuela Orlandi (Ansa)
Dopo le due già archiviate, via alla terza indagine sulla ragazza scomparsa nel 1983. Ci sarà pure la Commissione parlamentare.
Misteri, intrighi, depistaggi. Lunghi quarant'anni. La scomparsa di Emanuela Orlandi è il grande giallo italiano. Tonnellate di inchiostro. Migliaia di pagine di atti giudiziari. Adesso la Procura di Roma riapre le indagini sulla quindicenne, sparita nel lontanissimo 22 giugno 1983. Era nell’aria. Lo scorso gennaio viene aperta un’inchiesta dai pm vaticani. A marzo Montecitorio vota all’unanimità la commissione parlamentare sul caso. E ora riparte pure la magistratura ordinaria. Stavolta, con una novità reputata considerevole dagli inquirenti: i magistrati laici collaboreranno con quelli ecclesiastici.
Ricapitoliamo. La prima indagine durò quattordici anni, dal fattaccio al 1997: archiviata. La seconda altri sette, dal 2018 al 2015: archiviata anche questa. Ora prende il via la terza. Il procuratore Francesco Lo Voi, del resto, aveva già fatto intendere che pure Piazzale Clodio si sarebbe attivato: «Dopo 40 anni non è facile trovare nuovi elementi e nemmeno fare le pulci alle attività svolte dagli inquirenti dell’epoca, ma non è da escludere che sarà coinvolta nuovamente la Procura».
Adesso arriva l’ufficialità. Il procuratore affida la nuova inchiesta a Stefano Luciani. Una scelta quasi obbligata. È lo stesso magistrato che ha già vagliato le scoppiettanti parole di Giancarlo Capaldo, l’ultimo a indagare sulla scomparsa della ragazza. Il fascicolo è stato poi archiviato su richiesta del suo successore, Giuseppe Pignatone, che curiosamente sarà nominato presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Capaldo, all’epoca, si oppose senza successo. Ha poi raccontato, in più occasioni, di aver avuto una «trattativa» con due personaggi del Vaticano sulla «restituzione» del corpo della ragazza. E anche recentemente, ha accusato «il Vaticano di non aver mai realmente collaborato con la magistratura italiana sul caso». La ragazza, sostiene Capaldo, sarebbe entrata in «un gioco più grande di lei». Ovvero: sequestrata per un ricatto e poi riconsegnata da Renatino De Pedis, il capo della banda della Magliana, a supposti emissari dal Vaticano. E proprio al riparo delle sacre mura, insiste, ci sarebbero ancora persone che conoscono la verità. Che sui quei silenzi avrebbero fatto carriera, addirittura. L’ex magistrato è stato smentito dalla Santa Sede. Così come, sentito proprio da Luciani, dalla Procura capitolina. Ma l’indagine, adesso, sembra destinata ad ampliarsi, vagliando nuovi scenari.
Il caso Orlandi è un intrigo planetario. Avvenne quarant'anni fa, mentre lei rientrava dopo le lezioni di musica. A casa: ovvero in Vaticano, dove viveva con la famiglia visto il lavoro del padre, Ercole: commesso della prefettura della casa pontificia. Quella sparizione resta l’emblema del caso irrisolto. Quarant'anni di ipotesi. All’italiana. I soliti sospetti: Stato, Vaticano, terrorismo internazionale, servizi segreti, mafia. Si ipotizzò persino un complotto interno alla Santa sede, per coprire un presunto scandalo di pedofilia.
Adesso, si ricomincia. E gli investigatori promettono di condividere informazioni cruciali: documenti, audizioni, piste. Il promotore di giustizia della Santa Sede, Alessandro Diddi, nelle scorse settimane ha già sentito alcuni ecclesiastici. Oltre che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Lavorava allo Ior, la banca vaticana. Recentemente, ha attaccato Giovanni Paolo II, con pesanti allusioni. Tanto da costringere papa Francesco a smentire poco diplomaticamente: «Cretinate». Rinominate, durante l’Angelus, «illazioni offensive e infondate». Proprio mentre il Pontefice annunciava al mondo le indagini su Emanuela: «Il mondo ci guarda, adesso voglio la verità». Con il procuratore vaticano, Diddi, che spiegava: «Ho ricevuto l’incarico di occuparmi del caso. Il desiderio e la volontà ferrea del Papa e del segretario di Stato sono di fare chiarezza senza riserve». Aggiungendo: «In pochi mesi sono state effettuate verifiche non espletate in quarant'anni».
Oltre alla Santa Sede, Orlandi ha attaccato anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che gli avrebbe negato di commemorare il quarantennale della scomparsa: un sit-in al Campidoglio, per poi andare all’Angelus con la fotografia della sorella. «Appena è esplosa questa cosa qua» giura Pietro «hanno fatto un passo indietro». Ovvero le accuse a Wojtyla, con cui la sua famiglia aveva avuto rapporti affettuosi. Dichiarazioni che rischiano ora di rendere più tormentata pure la nascita della commissione d’inchiesta su Emanuela e Mirella Gregori, un caso da sempre collegato alla sparizione della quindicenne. Il voto a Montecitorio era stato un plebiscito: 245 sì su 245 presenti. Adesso al Senato, dopo le esternazioni del fratello di Emanuela, qualcuno comincia a eccepire. Come il morituro Terzo polo.
La commissione sembra comunque destinata a vedere la luce, l’indagine vaticana prosegue, quella della Procura romana rinasce. Il finale del quarantennale giallo resta da scrivere.
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Riduci
Papa Giovanni Paolo II (Getty Images)
Contro Giovanni Paolo II è piovuto fango gratuito che fa male alla Chiesa: accuse totalmente infondate che inevitabilmente travolgono i grandi uomini negli anni dopo la morte. Per questo l’impazienza è nemica del cammino verso le canonizzazioni.
«La gatta frettolosa fa i gattini ciechi». Da un punto di vista della fisiopatologia ostetrica il detto non ha molto senso. Anche se tecnicamente scorretto, però, ha una notevole potenza. Pur di fare in fretta la gatta sacrifica la parte più importante dei gattini, gli occhi. L’idea nasce da una favola di Esopo: la Porca e la Cagna disputavano su chi di loro fosse più fruttifera. La Cagna affermava che ella era più fruttifera di tutti gli altri animali. La Porca controbatteva: ricordati che tu partorisci i figliuoli ciechi. In effetti i piccoli di cani e gatti nascono con gli occhi che restano chiusi per molti giorni, contrariamente ad altri mammiferi. Evidentemente la loro millenaria condizione di cattività, e quindi protezione da parte dell’uomo, permette questo lungo periodo di impotenza. La favola significa che le cose non si devono giudicare per la celerità, ma per la perfezione.
«Chi va piano va sano e va lontano» è un altro proverbio che sconsiglia la velocità mettendo l’attenzione sulla sicurezza, particolarmente valido da quando esistono i motori. La fretta è cattiva consigliera è il terzo che sottolinea lo stesso concetto. La fretta quindi porta alla perdita di Prudenza, che insieme a Giustizia, Fortezza e Temperanza fa da cardine all’esistenza umana. Sono infatti chiamate virtù cardinali. È sono sempre state quindi il cardine della Chiesa. Negli ultimi decenni la Chiesa si è un po’ sbragata. La dottrina si è spampanata, i passi del Vangelo che affermano che solo attraverso Cristo si arriva alla salvezza devono essere stati considerati superati. Il Concilio Vaticano II è stato cominciato con entusiasmo da Giovanni XXIII, che aveva preannunciato una nuova primavera nella Chiesa. La previsione è stata parecchio entusiastica, la storia lo è stata molto meno, e mentre numerose apparizioni della Madonna, da Fatima alle Tre Fontane, preannunciano una spaventosa apostasia della Chiesa, ci stiamo avviando a un livido inverno e non sappiamo nemmeno se avremo, la generazione successiva, i sacerdoti. Caratteristica della Chiesa postconciliare è la fretta di dichiarare beati e santi i propri artefici. La prudenza e la saggezza della Chiesa hanno sempre spinto, per proporre una beatificazione, di aspettare il tempo necessario perché non sia più vivo nessuno di coloro che hanno conosciuto il possibile Beato. Occorre essere certi che nessuno di coloro che lo hanno conosciuto possa fargli accuse, di peccati sessuali o di qualsiasi altra natura. La Chiesa non può esporre sé stessa e il concetto stesso di santità al fango di eventuali accuse, accuse che, anche se false, sarebbero devastanti.
In questo momento fiumi di fango si stanno riversando su Giovanni Paolo II. Sull’intricata vicenda che gira attorno al rapimento di Emanuela Orlandi si possono affermare due uniche certezze. Nessuno dei numerosi sciacalli che hanno cercato di trarre vantaggi dalla scomparsa di Emanuela Orlandi ha mai fornito prove della sua esistenza in vita. Enrico De Pedis, detto Renatino, il capo della Banda della Magliana, morto il 2 febbraio 1990 in un agguato, è forse seppellito in una sontuosa tomba nella basilica romana di Sant’Apollinare. Ho usato la parola forse, perché è meglio non essere sicuri di niente. Nella basilica di Santa Apollinare, di proprietà del Vaticano, c’è una tomba con inciso il nome del capo della Banda della Magliana. Non entro nel merito della vicenda Orlandi, di cui non sono esperta, ma entro nel merito delle virtù cardinali, di cui posso dichiararmi esperta. La prudenza è una virtù cardinale. È un gesto di di imprudenza talmente grave da rasentare l’odio per la Chiesa la bizzarra usanza di proclamare beati e santi a pochi anni dalla loro morte i Pontefici postconciliari. Una persona dovrebbe poter essere proclamata beata e santa solo dopo che sono morti tutti coloro che l’hanno conosciuta in vita, per non sbagliarsi meglio aspettare almeno un secolo. Questa regola può avere pochissime eccezioni. Dopo un secolo si è stemperata l’onda di emotività che potrebbe portare a una beatificazione troppo facile. Dopo un secolo la politica è ormai cambiata. La politica esiste anche all’interno del Vaticano. Se un Papa appena morto è beatificato, la sua corrente ne è avvantaggiata. Non devono esserci conflitti di interessi in una beatificazione. Su un Papa appena morto è impensabile che non ce ne siano. In qualsiasi momento, se questa regola non è rispettata, può saltare fuori un’accusa infamante, e questa accusa salterà fuori anche nel caso di una persona veramente santa, perché la Chiesa ha innumerevoli nemici che non aspettano altro che infangare lei e i suoi santi. Inoltre la sciatteria delle beatificazioni precoci, sorrette da pochi impalpabili miracoli, spacca il cattolicesimo. Sono moltissimi i cattolici, e io tra questi, che sono molto perplessi dalla beatificazione sistematica dei Papi post conciliari. Non ci siamo accorti della loro santità quando erano in vita, la Chiesa che hanno guidato è priva di santità, quasi completamente priva di fede, annegata nella tolleranza, che non è mai raccomandata nel Vangelo, perché non si tollera il male. Paolo VI ha dichiarato che il fumo di Satana è entrato nella Chiesa. Lui e il suo predecessore quindi lo hanno permesso. Il cattolico Monsignor Lefebvre non li ha trovati beati e non ha trovato santità nelle loro azioni. Sui Vangeli è scritto «chi non è con me è contro di me». Al Padre si arriva solo dal Figlio. Solo coloro che credono in Cristo diventano figli di Dio e quindi fratelli. I musulmani, gli ebrei, gli induisti e gli atei, non sono nostri fratelli. Noi dobbiamo renderli nostri fratelli diffondendo il Vangelo anche a costo della vita. Giovanni Paolo II è stato accusato, senza prove, di peccati contro il sesto comandamento. Quelle che però sono indubbie sono le violazioni del principio della unicità e sacralità di Cristo, dell’ordine che ogni cattolico porta nel cuore di portare la Buona Novella. Noi non abbiamo capito l’ecumenismo di Assisi dal 1986, le preghiere davanti alla statua del Buddha o al muro del Pianto, quelle con gli stregoni africani, il bacio del Corano, la simpatia per Lutero e Hus. Alcune affermazioni di Giovanni Paolo II («San Giovanni Battista protegga l’islam», 21 marzo 2000; «Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune... Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione», 27 agosto 1985; «Occorre riconoscere più chiaramente l’alta importanza della richiesta di Lutero di una teologia vicina alle Sacre Scritture e della sua volontà di un rinnovamento spirituale della Chiesa» (22 giugno 1996) sono in contrasto con l’affermazione di Cristo «chi non è con me è contro di me». L’islam e il cristianesimo non hanno lo stesso Dio: Cristo non è il Profeta che annuncia Maometto, come sostiene l’islam. Ebraismo e cristianesimo non hanno lo stesso Dio: Cristo è risorto al terzo giorno oppure non è risorto. Se è successo, e la Sindone dimostra che è successo, noi abbiamo ragione e gli ebrei hanno torto, se non è successo loro hanno ragione e noi torto. Buddha propone come destino dell’uomo la dissoluzione, il buddismo tantrico afferma la non differenza tra bene e male.
L’ecumenismo è stato non un rinnegare Cristo ma un’astuta manovra per ammorbidire e avvicinare? Non sembra abbia funzionato, almeno al momento, ma forse ci sbagliamo. Non potremmo prenderci un secolo per vedere come sono i frutti e stabilire la santità degli alberi? In tutti i casi non sarebbe più prudente aspettare almeno un secolo per decidere?
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Pietro Orlandi (Ansa)
Dopo le polemiche per le insinuazioni del fratello della ragazza scomparsa su papa Wojtyla, la sala stampa della Santa Sede rivela che l’avvocato Laura Sgrò si è rifiutata di parlare col promotore di giustizia. Che attacca: «Colpa loro se non arriveremo a tutta la verità».
Le insinuazioni di Pietro Orlandi su San Giovanni Paolo II hanno portato a un clamoroso scontro con l’autorità giudiziaria vaticana, terminato ieri con reciproche, pesantissime, accuse. Le parole pronunciate dall’uomo durante la trasmissione Di martedì condotta da Giovanni Floris, oltre a mettere a rischio i risultati dell’inchiesta sulla sorte della sorella Emanuela, la quindicenne cittadina vaticana scomparsa nel nulla il 22 giugno 1983, potrebbero aprire un secondo caso all’interno della 7, dopo quello che ha portato alla chiusura di Non è l’arena, condotta da Massimo Giletti.
Breve riassunto delle puntate precedenti: martedì scorso Orlandi, dopo essere stato sentito per circa 8 ore come testimone dal promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, è salito in macchina è si è recato negli studi televisivi, dove ha raccontato, incurante della necessaria riservatezza che accompagna ogni indagine, il suo incontro con Diddi. Un racconto nel quale Orlandi sembrava quasi il dominus dell’inchiesta, con Diddi che si sarebbe limitato ad ascoltare tutti gli elementi che il fratello di Emanuela aveva fornito, anche attraverso il deposito di una lunga memoria. E mentre enucleava gli elementi che secondo lui Diddi dovrebbe approfondire, Orlandi ha sparato una vera e propria bordata sul Papa polacco: «Mi dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi», aggiungendo poi che «non andava certo a benedire le case...». Parole forti, davanti alle quali Floris non ha battuto ciglio e erano state precedute da un vecchio audio in cui un esponente della Banda della Magliana faceva pesanti allusioni sul Pontefice polacco e che hanno suscitato indignazione Oltretevere. Con Il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e segretario personale di san Giovanni Paolo II, che in una dichiarazione ha parlato di «ignobili insinuazioni» e di «farneticazioni incontrollabili, volte a screditare preventivamente persone e ambienti fino a prova contraria degni della stima universale». Alle parole dell’alto prelato Orlandi ha replicato così: «Sta per iniziare il lancio di fango nei miei confronti strumentalizzando quello che dico e come lo dico».
Ma evidentemente la sua testimonianza non ha soddisfatto, contrariamente a quanto sembrava in tv, gli inquirenti vaticani. E neppure quella del suo avvocato Sgrò, altra grande protagonista di talk show e serie tv, dove i famigliari di Emanuela, ma anche i loro legali e persino il circo mediatico di complemento avevano sempre reclamato a gran voce trasparenza.
Ieri, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni, ha emesso una nota che rivelava la convocazione della Sgrò come testimone: «Questa mattina il Promotore di giustizia, professor Alessandro Diddi, insieme al professor Gianluca Perone, Promotore applicato, ha ricevuto l’avvocato Laura Sgrò, come da lei ripetutamente e pubblicamente richiesto, nell’ambito del fascicolo aperto sulla vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi, anche per fornire quegli elementi, relativi alla provenienza di alcune informazioni in suo possesso, attesi dopo le dichiarazioni fornite da Pietro Orlandi. L’avvocato Sgrò si è avvalsa del segreto professionale». Avete letto bene. La Santa Sede sottolinea che dopo aver ripetutamente domandato di essere ascoltata il legale avrebbe preferito tacere.
La convocazione di Sgrò come testimone, a quanto risulta alla Verità, era finalizzata ad approfondire alcuni dei punti toccati da Pietro Orlandi nelle dichiarazioni rese nei giorni scorsi ai promotori di giustizia e in particolare ad accertare i nomi delle fonti sulle presunte scappatelle di Wojtyla. Orlandi avrebbe prima negato di sapere chi avesse detto queste cose e poi avrebbe fatto riferimento alla Sgrò. La quale, però, ha opposto il segreto professionale. Chi era il cliente che ha fatto simili affermazioni resta dunque un segreto. Ieri Diddi, dopo aver ricordato i ripetuti appelli di Orlandi e della Sgrò a essere ascoltati, ha spiegato: «Ecco perché per noi sentire l’avvocato della famiglia Orlandi che ripetutamente aveva chiesto di incontrare il promotore di giustizia, ovvero il sottoscritto, era importante». Poi ha affondato il colpo contro il cancan mediatico che è diventato un teleromanzo a puntate, soprattutto su La7 con trasmissioni come Di martedì e Atlantide: «Noi ci siamo messi a disposizione, in silenzio e senza dare nell’occhio, ritenevano che non stessimo facendo nulla, ma come abbiamo dimostrato non era così. Adesso che devono darci le informazioni importanti si tirano indietro: è inspiegabile. Non riesco a capire. Inizio quasi a pensar male».
Orlandi ha replicato a stretto giro: «Ma sono impazziti, ma cos’è questo gioco sporco ? Ma chi si rifiuta di fare i nomi? Ma se gli abbiamo dato una lunga lista di nomi, ma perché?». Mentre la Sgrò ha dichiarato: «Sono basita da quello che è successo stamattina […]. Io sono tenuta al segreto professionale, non ho mai chiesto di essere sentita né tanto meno potrei, essendo tenuta al segreto delle fonti per svolgere al meglio la mia attività professionale a favore della famiglia Orlandi». A questo punto Diddi ha aggiunto: «Se è segreto professionale o meno lo stabiliremo, ci sono verifiche che andranno fatte. Per il momento prendo atto che è una grande battuta d’arresto su quello che per anni la famiglia Orlandi ha chiesto di fare». Raggiunto dalla Verità il promotore ha chiarito ulteriormente il suo punto di vista: «Noi stiamo lavorando da quattro mesi giorno e notte su questa vicenda. Convochiamo Pietro Orlandi per farci dare le informazioni che servono per andare avanti con le indagini che sollecita da quarant’anni e lui ci dice che per avere notizie sulle fonti da sentire dobbiamo parlare con l’avvocato Sgrò, ma poi l’avvocato Sgrò non ci dà quelle informazioni. Ma che gioco è? Che serietà è? Di che stiamo parlando? Che senso ha?».
Il legale non ci sta proprio a far passare il suo ufficio come porto delle nebbie: «Sono mesi che mi insultano perché non li convoco. Mi hanno inondato di mail e di richieste perché dovevano essere sentiti perché avevano cose da dire. Li facciamo venire. Uno dice che le cose le sa l’altra. Facciamo venire l’altra e si trincera dietro al segreto professionale. Ma che serietà è? Ma con chi pensano di avere a che fare? In un’autorità giudiziaria normale questa cosa sarebbe finita in un altro modo».
Diddi ricorda che da mesi ha distolto la Polizia giudiziaria da tante altre cose per fare queste indagini e adesso che è arrivato il momento di fare il salto di qualità Pietro Orlandi e la Sgrò decidono di tacere i nomi delle fonti più importanti.
Al legale le parole su Wojtyla non sono proprio andate giù: «Sono indignato per queste cose, perché si accusano persone decedute, persone che sono state santificate. Uno può credere o non credere, ma comunque sono persone rispetto alle quali ci sono milioni di persone che hanno una venerazione. Lanciano accuse di questa portata e non dicono da chi hanno ricevuto le informazioni. È un comportamento che mi lascia basito e sconcertato».
E a proposito delle numerose esternazioni tv conclude: «Avevo anche chiesto (a Pietro Orlandi, ndr), per riservatezza delle indagini che dobbiamo fare, di non dire certe cose in televisione». Un segreto istruttorio «che lui ha regolarmente violato, ma va bene così, per carità». Diddi conclude: «Io il mio mestiere lo so fare, andrò avanti per i fatti miei. Poi se ci riesco bene, sennò prenderò atto che a causa dell’avvocato Sgrò molte cose non si potranno accertare, punto».
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Padre Georg e Papa Francesco (Imagoeconomica)
- L’ex segretario del Papa «emerito» ha incontrato Bergoglio: nessun dettaglio del faccia a faccia. Sul tavolo, probabilmente, le accuse contenute nel libro di Gänswein. Che qualcuno ha già chiesto di non pubblicare.
- Nuove indagini su Emanuela Orlandi. La magistratura vaticana ha annunciato che saranno riesaminati i dati processuali acquisiti e battute piste poco approfondite. Diverse le istanze presentate dai familiari.
Lo speciale comprende due articoli.
Ieri mattina con un laconico comunicato la Sala stampa della Santa Sede ha fatto sapere urbi et orbi che papa Francesco aveva ricevuto in udienza «S.E. Mons. Georg Gänswein, arcivescovo tit. di Urbisaglia, Prefetto della Casa pontificia». L’incontro è arrivato, inatteso e fulmineo, dopo la tempesta ancora non sedata delle polemiche nate intorno alle anticipazioni del libro scritto dallo storico segretario di Benedetto XVI insieme al giornalista Saverio Gaeta, Nient’altro che la verità (edizioni Piemme).
Le pagine del libro, come noto anche ai nostri lettori, segnalano diversi passaggi in cui ci sarebbe stata una discontinuità di visioni tra Francesco e il suo defunto predecessore, dalla morale alla liturgia, fino a questioni più personali che riguardano il ruolo e la persona dello stesso Gänswein quando nel 2020 fu «congedato» dal Papa dal suo ufficio di Prefetto della Casa pontificia. «Restai scioccato e senza parole», racconta padre Georg che poi riferì quanto accaduto a Ratzinger. E lui, sempre secondo Gänswein, «commentò, tra il serio e il faceto, in modo ironico: “Sembra che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode!”».
Peraltro, nelle ore immediatamente successive alla morte di papa Ratzinger, erano state divulgate anche alcune interviste, quella a Ezio Mauro di Repubblica e quella a Guido Horst del tedesco Tagespost, in cui il segretario di papa Benedetto parlava di aver visto «l’azione dei diavoli» contro l’amato pontefice e di aver visto «spezzarsi il cuore» del Papa emerito con l’obliterazione del Motu proprio con cui, nel 2007, aveva ridato cittadinanza alla messa in latino.
L’uscita di queste notizie ha provocato la risposta di Francesco che, raccontano i bene informati, è rimasto letteralmente scocciato. Alle messa dell’Epifania ha detto di imparare a «adorare Dio e non il nostro io», con un richiamo agli idoli da evitare, fra cui ha inserito «il fascino delle false notizie». Poi all’Angelus di domenica ha lamentato il «chiacchiericcio» come «arma letale» che uccide la «fratellanza».
Ieri il faccia a faccia inatteso tra Gänswein e Francesco, nessuno pensava che sarebbe avvenuto con questa velocità. Nei giorni scorsi già si sentivano voci di un sicuro allontanamento dell’ex segretario di Ratzinger dal monastero Mater Ecclesiae, dirottato innanzitutto proprio in un alloggio a Casa Santa Marta dove risiede Francesco dal 2013. Poi, si vociferava, sarebbe stato mandato forse nella sua Germania, oppure in qualche nunziatura estera; qualcuno, simpaticamente, diceva anche ad Urbisaglia, il paese delle Marche di cui padre Georg ha la titolarità episcopale, sebbene questa non sia una vera e propria sede vescovile. Qualcun altro parlava di una sorta di parcheggio «romano», in cui sarebbe stato mandato a passare i suoi giorni, magari in qualche archivio.
Per ora dal faccia a faccia non trapela nulla, si sarà certamente parlato del libro, anche del fatto che il Papa emerito potesse essere in qualche modo a conoscenza del contenuto e della pubblicazione. Come ha dichiarato qualche giorno fa il cardinale Angelo Bagnasco a Repubblica, se Gänswein ha detto quelle cose nel libro e nelle interviste «vuole dire che ha ritenuto in coscienza di poterlo e di doverlo fare». Un affermazione che lascia pensare che padre Georg non possa aver agito senza aver in qualche modo informato Benedetto XVI, anche perché oltre 300 pagine non possono essere state scritte nel tempo di qualche giorno.
Detto questo, la tempistica di uscita di interviste e libro rischiano di opacizzare tutte le questioni poste, trasformandole agli occhi di tanti come una «operazione» di dubbio gusto, anche se arrivare a chiedere, come ha fatto il prete bergamasco don Alberto Varinelli, di fermare la stampa del libro assomiglia a un forma di censura che ha dell’assurdo.
Di certo l’incomprensione fra padre Georg e Francesco non è cosa nuova, in un certo senso la frase sul «prefetto dimezzato» di Gänswein non rivela una novità. Che qualcosa fosse andato storto tra i due era evidente a chiunque. Il confronto di ieri è avvenuto nello sfondo di quelle che qualcuno si è affrettato a dichiarare come nuove «guerre vaticane tra progressisti e conservatori», ma in realtà il problema, anche e soprattutto per Francesco, è quello di cercare una soluzione alla crisi profonda in cui versa la Chiesa.
Le folle che hanno partecipato al saluto alla salma di papa Ratzinger e alle esequie mostrano plasticamente che c’è una parte di fedeli, molti anche sacerdoti giovani, che ha avvertito in modo profondo il magistero di Joseph Ratzinger. Mentre Francesco, senz’altro amato dal popolo di Dio, fatica a rilanciare un pontificato arenato anche nelle riforme, ma non tanto per volontà di resistenti conservatori, quanto per gli strappi che arrivano da liberal eccessivamente vogliosi di andare oltre, come accade ad esempio in Germania. E il cammino del Sinodo sulla sinodalità non sta decollando, sembra un percorso ad ostacoli dal sapore più politico che per opera dello Spirito santo.
Papa Francesco, incontrando Gänswein, ha posto in essere anche un’opportunità, una via misericordiosa che aiuti la barca di Pietro a non perdere definitivamente la rotta. La crisi di fede, come più volte sottolineato dallo stesso Ratzinger, più passa il tempo e più sembra il vero problema dei cattolici. La Chiesa in uscita e missionaria deve passare dal tentativo di costruire una comunità più larga, meno divisiva.
Il compito spetta a Francesco, ma lo sforzo di collaborazione è richiesto anche ad altri.
Nuove indagini su Emanuela Orlandi
Il Vaticano ha deciso di riaprire il caso di Emanuela Orlandi. La notizia, battuta dalle agenzie nel pomeriggio di ieri, è di quelle che contano. A determinare la nuova svolta, un’iniziativa di Alessandro Diddi che dallo scorso settembre, succedendo al dimissionario Gian Piero Milano, è divenuto il nuovo promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano. La riapertura delle indagini - che cade a quasi 40 anni dalla scomparsa della ragazza, avvenuta il 22 giugno del 1983 - è finalizzata, in primo luogo, a un riesame di tutto il copioso materiale finora raccolto, in termini di fascicoli, documenti e informative.
Non solo. Saranno oggetto di nuovi approfondimenti - seguendo piste storiche, ma valutando pure quelle più recenti - anche le testimonianze e le segnalazioni per cercare di chiarire quanto avvenuto in quel pomeriggio di tanti anni fa in piazza Sant’Apollinare. Più precisamente, secondo quanto raccontato dall’Adnkronos, Diddi, che ha riaperto le indagini insieme alla Gendarmeria vaticana, partirà anzitutto dagli elementi acquisiti con maggiore certezza, vale a dire in sede processuale, per poi valutare attentamente quell’insieme di indicazioni non troppo approfondite quando, nel 1983, si ebbe per la prima notizia della scomparsa dell’allora quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente vaticano.
In quel lontano giugno, alle 16, la giovane uscì di casa recarsi a lezione di musica in piazza Sant’Apollinare e, proprio nei pressi dell’omonima basilica, anni dopo, si scoprì che vi era seppellito uno dei capi della banda della Magliana, «Renatino» Enrico De Pedis, da alcuni testimoni indicato come esecutore del sequestro «per conto di alti prelati». Certo, gli anni trascorsi sono molti. Ma l’auspicio è con la nuova indagine si possa fare luce non solo sul celebre cold case romano, ma anche su un altro caso ad esso spesso accostato: quello della scomparsa della coetanea Mirella Gregori della quale, sempre in quell’anno, si persero le tracce.
La clamorosa riapertura dell’inchiesta, per quanto rispecchi quella ricerca di trasparenza più volte caldeggiata da papa Francesco, non è casuale. Arriva dopo tutta una serie di istanze pervenute alla Santa Sede e indicanti nuovi filoni da seguire per provare a risolvere il giallo; peraltro, diverse di queste sono pervenute dalla stessa famiglia Orlandi, instancabilmente alla ricerca di verità e che ha ben accolto la novità.
«Siamo contenti dei nuovi accertamenti dell’autorità vaticana», è stato il primo commento dell’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia, che ha fatto presente di aver «presentato due denunce, la prima nel 2018 e la seconda nel 2019». Sgrò ha, comunque, precisato di non conoscere ancora le basi della nuova indagine, di cui è venuta a conoscenza dagli stessi organi di informazione: «Siamo curiosi di saperne di più anche noi. Reputo che la famiglia Orlandi avrebbe dovuto essere avvisata un po’ prima».
Quello reso noto ieri è, dunque, un nuovo tassello di un mosaico che da tempo, in realtà, non registrava novità giudiziarie. Non a caso, nell’ottobre 2015, su richiesta dall’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone - ora presidente del Tribunale vaticano -, e dei sostituti Ilaria Calò e Simona Maisto, il procedimento della Procura di Roma sulle sparizioni della Orlandi e di Gregori era stato archiviato.
Adesso però sulla scomparsa più misteriosa avvenuta nella Capitale, oggetto peraltro d’un recente docufilm di Netflix, i riflettori sono nuovamente riaccesi; e la speranza è che davvero sia la volta buona.
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