2023-01-10
Padre Georg in udienza da Francesco. Silenzio (per ora) dopo la tempesta
Padre Georg e Papa Francesco (Imagoeconomica)
L’ex segretario del Papa «emerito» ha incontrato Bergoglio: nessun dettaglio del faccia a faccia. Sul tavolo, probabilmente, le accuse contenute nel libro di Gänswein. Che qualcuno ha già chiesto di non pubblicare.Nuove indagini su Emanuela Orlandi. La magistratura vaticana ha annunciato che saranno riesaminati i dati processuali acquisiti e battute piste poco approfondite. Diverse le istanze presentate dai familiari.Lo speciale comprende due articoli. Ieri mattina con un laconico comunicato la Sala stampa della Santa Sede ha fatto sapere urbi et orbi che papa Francesco aveva ricevuto in udienza «S.E. Mons. Georg Gänswein, arcivescovo tit. di Urbisaglia, Prefetto della Casa pontificia». L’incontro è arrivato, inatteso e fulmineo, dopo la tempesta ancora non sedata delle polemiche nate intorno alle anticipazioni del libro scritto dallo storico segretario di Benedetto XVI insieme al giornalista Saverio Gaeta, Nient’altro che la verità (edizioni Piemme).Le pagine del libro, come noto anche ai nostri lettori, segnalano diversi passaggi in cui ci sarebbe stata una discontinuità di visioni tra Francesco e il suo defunto predecessore, dalla morale alla liturgia, fino a questioni più personali che riguardano il ruolo e la persona dello stesso Gänswein quando nel 2020 fu «congedato» dal Papa dal suo ufficio di Prefetto della Casa pontificia. «Restai scioccato e senza parole», racconta padre Georg che poi riferì quanto accaduto a Ratzinger. E lui, sempre secondo Gänswein, «commentò, tra il serio e il faceto, in modo ironico: “Sembra che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode!”».Peraltro, nelle ore immediatamente successive alla morte di papa Ratzinger, erano state divulgate anche alcune interviste, quella a Ezio Mauro di Repubblica e quella a Guido Horst del tedesco Tagespost, in cui il segretario di papa Benedetto parlava di aver visto «l’azione dei diavoli» contro l’amato pontefice e di aver visto «spezzarsi il cuore» del Papa emerito con l’obliterazione del Motu proprio con cui, nel 2007, aveva ridato cittadinanza alla messa in latino.L’uscita di queste notizie ha provocato la risposta di Francesco che, raccontano i bene informati, è rimasto letteralmente scocciato. Alle messa dell’Epifania ha detto di imparare a «adorare Dio e non il nostro io», con un richiamo agli idoli da evitare, fra cui ha inserito «il fascino delle false notizie». Poi all’Angelus di domenica ha lamentato il «chiacchiericcio» come «arma letale» che uccide la «fratellanza».Ieri il faccia a faccia inatteso tra Gänswein e Francesco, nessuno pensava che sarebbe avvenuto con questa velocità. Nei giorni scorsi già si sentivano voci di un sicuro allontanamento dell’ex segretario di Ratzinger dal monastero Mater Ecclesiae, dirottato innanzitutto proprio in un alloggio a Casa Santa Marta dove risiede Francesco dal 2013. Poi, si vociferava, sarebbe stato mandato forse nella sua Germania, oppure in qualche nunziatura estera; qualcuno, simpaticamente, diceva anche ad Urbisaglia, il paese delle Marche di cui padre Georg ha la titolarità episcopale, sebbene questa non sia una vera e propria sede vescovile. Qualcun altro parlava di una sorta di parcheggio «romano», in cui sarebbe stato mandato a passare i suoi giorni, magari in qualche archivio.Per ora dal faccia a faccia non trapela nulla, si sarà certamente parlato del libro, anche del fatto che il Papa emerito potesse essere in qualche modo a conoscenza del contenuto e della pubblicazione. Come ha dichiarato qualche giorno fa il cardinale Angelo Bagnasco a Repubblica, se Gänswein ha detto quelle cose nel libro e nelle interviste «vuole dire che ha ritenuto in coscienza di poterlo e di doverlo fare». Un affermazione che lascia pensare che padre Georg non possa aver agito senza aver in qualche modo informato Benedetto XVI, anche perché oltre 300 pagine non possono essere state scritte nel tempo di qualche giorno. Detto questo, la tempistica di uscita di interviste e libro rischiano di opacizzare tutte le questioni poste, trasformandole agli occhi di tanti come una «operazione» di dubbio gusto, anche se arrivare a chiedere, come ha fatto il prete bergamasco don Alberto Varinelli, di fermare la stampa del libro assomiglia a un forma di censura che ha dell’assurdo.Di certo l’incomprensione fra padre Georg e Francesco non è cosa nuova, in un certo senso la frase sul «prefetto dimezzato» di Gänswein non rivela una novità. Che qualcosa fosse andato storto tra i due era evidente a chiunque. Il confronto di ieri è avvenuto nello sfondo di quelle che qualcuno si è affrettato a dichiarare come nuove «guerre vaticane tra progressisti e conservatori», ma in realtà il problema, anche e soprattutto per Francesco, è quello di cercare una soluzione alla crisi profonda in cui versa la Chiesa.Le folle che hanno partecipato al saluto alla salma di papa Ratzinger e alle esequie mostrano plasticamente che c’è una parte di fedeli, molti anche sacerdoti giovani, che ha avvertito in modo profondo il magistero di Joseph Ratzinger. Mentre Francesco, senz’altro amato dal popolo di Dio, fatica a rilanciare un pontificato arenato anche nelle riforme, ma non tanto per volontà di resistenti conservatori, quanto per gli strappi che arrivano da liberal eccessivamente vogliosi di andare oltre, come accade ad esempio in Germania. E il cammino del Sinodo sulla sinodalità non sta decollando, sembra un percorso ad ostacoli dal sapore più politico che per opera dello Spirito santo.Papa Francesco, incontrando Gänswein, ha posto in essere anche un’opportunità, una via misericordiosa che aiuti la barca di Pietro a non perdere definitivamente la rotta. La crisi di fede, come più volte sottolineato dallo stesso Ratzinger, più passa il tempo e più sembra il vero problema dei cattolici. La Chiesa in uscita e missionaria deve passare dal tentativo di costruire una comunità più larga, meno divisiva.Il compito spetta a Francesco, ma lo sforzo di collaborazione è richiesto anche ad altri.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/padre-georg-in-udienza-da-francesco-silenzio-per-ora-dopo-la-tempesta-2659090037.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nuove-indagini-su-emanuela-orlandi" data-post-id="2659090037" data-published-at="1673293868" data-use-pagination="False"> Nuove indagini su Emanuela Orlandi Il Vaticano ha deciso di riaprire il caso di Emanuela Orlandi. La notizia, battuta dalle agenzie nel pomeriggio di ieri, è di quelle che contano. A determinare la nuova svolta, un’iniziativa di Alessandro Diddi che dallo scorso settembre, succedendo al dimissionario Gian Piero Milano, è divenuto il nuovo promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano. La riapertura delle indagini - che cade a quasi 40 anni dalla scomparsa della ragazza, avvenuta il 22 giugno del 1983 - è finalizzata, in primo luogo, a un riesame di tutto il copioso materiale finora raccolto, in termini di fascicoli, documenti e informative. Non solo. Saranno oggetto di nuovi approfondimenti - seguendo piste storiche, ma valutando pure quelle più recenti - anche le testimonianze e le segnalazioni per cercare di chiarire quanto avvenuto in quel pomeriggio di tanti anni fa in piazza Sant’Apollinare. Più precisamente, secondo quanto raccontato dall’Adnkronos, Diddi, che ha riaperto le indagini insieme alla Gendarmeria vaticana, partirà anzitutto dagli elementi acquisiti con maggiore certezza, vale a dire in sede processuale, per poi valutare attentamente quell’insieme di indicazioni non troppo approfondite quando, nel 1983, si ebbe per la prima notizia della scomparsa dell’allora quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente vaticano. In quel lontano giugno, alle 16, la giovane uscì di casa recarsi a lezione di musica in piazza Sant’Apollinare e, proprio nei pressi dell’omonima basilica, anni dopo, si scoprì che vi era seppellito uno dei capi della banda della Magliana, «Renatino» Enrico De Pedis, da alcuni testimoni indicato come esecutore del sequestro «per conto di alti prelati». Certo, gli anni trascorsi sono molti. Ma l’auspicio è con la nuova indagine si possa fare luce non solo sul celebre cold case romano, ma anche su un altro caso ad esso spesso accostato: quello della scomparsa della coetanea Mirella Gregori della quale, sempre in quell’anno, si persero le tracce. La clamorosa riapertura dell’inchiesta, per quanto rispecchi quella ricerca di trasparenza più volte caldeggiata da papa Francesco, non è casuale. Arriva dopo tutta una serie di istanze pervenute alla Santa Sede e indicanti nuovi filoni da seguire per provare a risolvere il giallo; peraltro, diverse di queste sono pervenute dalla stessa famiglia Orlandi, instancabilmente alla ricerca di verità e che ha ben accolto la novità. «Siamo contenti dei nuovi accertamenti dell’autorità vaticana», è stato il primo commento dell’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia, che ha fatto presente di aver «presentato due denunce, la prima nel 2018 e la seconda nel 2019». Sgrò ha, comunque, precisato di non conoscere ancora le basi della nuova indagine, di cui è venuta a conoscenza dagli stessi organi di informazione: «Siamo curiosi di saperne di più anche noi. Reputo che la famiglia Orlandi avrebbe dovuto essere avvisata un po’ prima». Quello reso noto ieri è, dunque, un nuovo tassello di un mosaico che da tempo, in realtà, non registrava novità giudiziarie. Non a caso, nell’ottobre 2015, su richiesta dall’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone - ora presidente del Tribunale vaticano -, e dei sostituti Ilaria Calò e Simona Maisto, il procedimento della Procura di Roma sulle sparizioni della Orlandi e di Gregori era stato archiviato. Adesso però sulla scomparsa più misteriosa avvenuta nella Capitale, oggetto peraltro d’un recente docufilm di Netflix, i riflettori sono nuovamente riaccesi; e la speranza è che davvero sia la volta buona.
Chiara Appendino (Imagoeconomica)
Crollano le forniture di rame, mercato in deficit. Trump annuncia: l’India non comprerà più petrolio russo. Bruxelles mette i dazi sull’acciaio, Bruegel frena. Cina e India litigano per l’acqua del Tibet.