Cosa rimane dell’atto di forza di Evgenij Prigozhin che con 5.000 uomini del Wagner Group ha tenuto in scacco la Russia per 48 ore? Come esce Vladimir Putin da questa vicenda? E gli ucraini approfitteranno sul campo di battaglia della situazione venutasi a creare a Mosca? E che fine farà la compagnia di mercenari Wagner Group che è presente in 12 paesi africani oltre che in Siria e Ucraina? Di questo e di altro parliamo con il Generale di Corpo d’Armata Giorgio Battisti e il vicedirettore de La Verità Claudio Antonelli.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Le forze ucraine hanno riconquistato alcuni territori vicino alla città di Donetsk occupati nel 2014 e puntano ora su Bakhmut. I russi lasciano le posizioni. L’uomo di Volodymyr Zelensky su Twitter invoca aiuti militari: Mosca è debole, è il momento del colpo finale.
Il tentativo di colpo di Stato messo in atto in Russia dalla compagnia militare privata Wagner e in particolare quanto accaduto a Rostov, dove gli uomini di Evgenij Prigozhin hanno per una manciata di ore preso la città senza praticamente sparare un colpo o quasi, secondo l’Istituto per lo studio della Guerra (Isw) «può avere un impatto molto significativo sulla guerra in Ucraina». Il think tank americano nel suo aggiornamento quotidiano ha posto l’accento sul fatto che Rostov-sul-Don ospita il comando del distretto militare meridionale e il comando centrale per il gruppo congiunto delle forze militari in Ucraina. Centri strategici che, una volta persi, avrebbero creato parecchi problemi a Mosca. Mentre scriviamo i mezzi della Wagner hanno iniziato la lunga marcia di ritorno dalla regione di Mosca verso Rostov, dove il resto delle truppe mercenarie lì stanziate ha cominciato a lasciare la città per fare ritorno al proprio quartier generale.
Le forze ucraine hanno subito approfittato del caos provocato dalle mosse di Prigozhin e la Pravda di Kiev, che cita il comandante del raggruppamento operativo-strategico di truppe, generale di brigata Aleksandr Tarnavsky, ha fatto sapere che «le forze ucraine hanno liberato i territori vicino a Krasnohorivka nella regione di Donetsk, occupati dal 2014». A questo proposito, secondo il portavoce delle forze di difesa della regione di Tavria Valery Shershen, si registrano progressi anche «vicino a Krasnohorivka, dove nostre unità d’assalto, a seguito di un contrattacco ben pianificato, hanno conquistato diverse posizioni che erano state occupate nel 2014. Questo è già il territorio dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, vicino alla stessa città di Donetsk».
A Repubblica Serhiy Cherevatyy, vicecomandante per le comunicazioni strategiche delle forze orientali che guidano la controffensiva, ha confermato che gli ucraini attaccano sulla direttrice di Bakhmut: «Vogliamo e lo stiamo facendo. Come e dove lo vedrete presto. A quanto ci risulta tutti i soldati della Wagner si sono ritirati dalle zone occupate e le truppe regolari del Cremlino rimaste a Bakhmut, fanteria e unità di paracadutisti, seguono i media di Prigozhin e ciò che vedono di sicuro li sta demoralizzando». I milblogger russi hanno affermato che le forze ucraine hanno continuato attacchi limitati nell’area di confine occidentale di Donetsk a est della ragione di Zaporizhia e hanno ottenuto guadagni marginali a sud-ovest di Velyka Novosilka. Era atteso il commento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che su Twitter ha scritto: «La debolezza della Russia è evidente. Una debolezza a tutto campo. E più a lungo la Russia manterrà le sue truppe e i suoi mercenari sul nostro territorio, più caos, dolore e problemi avrà per sé in seguito. È anche ovvio. L’Ucraina è in grado di proteggere l’Europa dalla diffusione del male e del caos russo. [...] Oggi il mondo ha visto che i capi della Russia non controllano nulla. Niente di niente. Caos totale. Assenza totale di qualsiasi prevedibilità».
Del tentativo di golpe ha parlato anche il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba: «Quelli che dicevano che la Russia era troppo forte per perdere: guardate ora. È ora di abbandonare la falsa neutralità e la paura dell’escalation; date all’Ucraina tutte le armi necessarie, dimenticate l’amicizia o gli affari con la Russia. È ora di porre fine al male che tutti disprezzavano ma con cui avevano troppa paura di strappare». Ieri si sono fatti sentire i volontari russi appartenenti alla «Legione Libertà per la Russia» che sul loro canale Telegram hanno parlato di quanto accaduto: «Il conflitto con Wagner e la resa di un enorme numero di territori senza combattere hanno dimostrato che il Cremlino è del tutto impreparato alle lotte interne». Poi hanno di nuovo accusato Putin di «essere pronto a uccidere e a saccheggiare persone in altri Paesi, a stuprare i civili in Ucraina, ma di non essere in grado di proteggere il proprio popolo dai crimini di guerra dei propri soldati».
Malgrado la decisione del leader della Wagner di fare marcia indietro dopo una trattativa con il presidente bielorusso Lukashenko, quello che si potrebbe vedere nelle prossime ore è l’inedito scontro armato tra gli uomini di Prigozhin e quelli del leader ceceno Ramzan Kadyrov che ha duramente criticato l’ammutinamento dei mercenari: «Una coltellata nella schiena e una vera insurrezione armata. Dichiaro totale sostegno a Vladimir Putin come presidente della Federazione russa e comandante in capo che vede l’insieme, mentre ognuno di noi vede solo la sua parte e noi faremo la nostra parte per aiutare. Siamo pronti!».
Per il generale di corpo d’armata Giorgio Battisti «siamo in presenza di notizie non chiare e talvolta contrastanti, frutto anche di manipolazione mediatica. Indubbiamente, se queste frammentarie notizie fossero confermate nelle prossime ore, ci troveremmo di fronte ad una imprevista e imprevedibile crisi delle forze armate russe, simile alla repentina avanzata dei talebani nell’agosto del 2021». Ma lo scenario, di fatto, si è già normalizzato con la resa di Prigozhin anche se restano parecchi punti oscuri. E se fosse stato tutto un bluff fatto magari solo per alzare il prezzo? Come non pensarlo dopo la comunicazione delle 19.30 di ieri di Prigozhin arrivata mentre si trovava a solo 200 chilometri dopo un colloquio con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko? Il capo del Wagner Group in una nota ha affermato: «Stavano per smantellare Pmc Wagner. Siamo usciti il 23 giugno alla Marcia della Giustizia. In un giorno, abbiamo camminato a quasi 200 km da Mosca. In questo periodo, non abbiamo versato una sola goccia di sangue dei nostri combattenti. Ora è giunto il momento in cui il sangue può fuoriuscire. Ecco perché, comprendendo la responsabilità di aver versato sangue russo su uno dei lati, stiamo riportando indietro i nostri convogli e tornando ai campi secondo il piano». Di sicuro le prossime 24 ore saranno decisive per Vladimir Putin, per Evgenij Prigozhin e per il prosieguo della guerra in Ucraina.
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Il capo dei mercenari potrebbe aver agito in accordo coi nemici di Vladimir Putin o aver provato il doppio gioco. Senza escludere contatti con l’intelligence alleata. Di certo voleva salvarsi la vita e ottenere un’amnistia per i suoi.
La domanda principale tra gli analisti del team di ricerca (stratematica) di chi scrive - ed è immaginabile che lo sia in tutti i centri di intelligence dei governi - è quanta parte dell’Armata rossa abbia aiutato il capo della Wagner, Evgenij Prigozhin, nella sua ribellione (poi fermata) contro i vertici dell’Armata stessa, Sergej Shoigu, ministro della Difesa, e Valery Gerasimov, Capo dello Stato maggiore. I dati di sensazione basati sulla rapidità con cui la Wagner (circa 25.000 uomini) ha occupato Rostov ed è arrivata a Voronezh per puntare a Mosca fanno ipotizzare che nei reparti dell’esercito regolare collocati nella Russia meridionale - che hanno sperimentato con gravi perdite la guerra con gli ucraini - non ci sia stata opposizione. Ma non ci sono prove di un loro ingaggio nella rivolta: probabilmente sono stati a vedere cosa succedeva. Anche perché Prigozhin non avevavoluto impedire la loro «normale» attività militare contro l’Ucraina e aveva enfatizzato la natura patriottica della ribellione finalizzata a bonificare l’Armata e la Santa madre Russia da vertici (accusati di essere) inadeguati e imbroglioni, pensiero condiviso da tanti militari di prima linea.
La seconda domanda, collegata, è quanto l’azione della Wagner sia stata segretamente concordata con Vladimir Putin. Inizialmente c’erano motivi per ipotizzare un qualche accordo segreto: un Putin imbrogliato dai vertici militari e che non ha la forza per rimuoverli, aveva scatenato una guerra inutile, scagionandolo in parte e aprendo la possibilità di un congelamento del fronte. Ma è apparsa un’ipotesi debole pur non particolarmente forte l’appello di Putin a evitare una guerra civile, ma netto il riferimento a Prigozhin: un traditore.
La terza domanda è cosa sperava il capo della Wagner. È improbabile, infatti, che si sia mosso senza pianificazione della mossa e calcolo dei possibili sostegni pur considerando l’ipotesi di un’azione disperata per sfuggire alla morte, precorsa dall’ordine di rischieramento forzato in zona di riposo delle sue truppe dopo battaglie di punta. Lo scenario è molto ombreggiato e rende lecito tentare ipotesi azzardate, avvertendo il lettore che tali sono.
Prima: entro il regime c’è una parte di oligarchi che ne ha percepito la fine e ha trattato con Prigozhin un suo ruolo chiave in cambio di un peso nella transizione. In tal caso la ribellione potrebbe avere avuto forti sostegni politici - tra cui quello dell’opposizione a Putin, già dichiarato da un suo leader in carcere - ma è un’opzione ancora non valutabile senza dati di intelligence.
Seconda: non è escludibile che ci sia stato un contatto tra servizi segreti alleati e Prigozhin: aiuto ad abbattere il regime in cambio di immunità per il patrimonio (notevole) della Wagner e della vita dei suoi mercenari, specialmente in Africa, corredato da un accordo di consultazione su un loro impiego non troppo conflittuale con interessi occidentali e forse di contrasto all’influenza cinese nella transizione verso il nuovo potere in Russia. Va detto che è un’ipotesi di fantasia, anche perché i governi non prenderebbero un tale rischio, ma sarebbe strano se i servizi segreti occidentali non avessero almeno esplorato un’opzione simile. Forse quelli ucraini - piuttosto abili e spregiudicati - hanno tentato un contatto con Prigozhin? Difficile dirlo, ma un analista del team di ricerca ha annotato qualcosa di anomalo nella sanguinosa battaglia di Bakhmut: come se gli ucraini avessero concesso alla Wagner una vittoria pur minima, ma utile per «eroizzare» la Wagner stessa e il suo capo, permettendogli lo status di patriota «vero combattente» mentre i vertici dell’Armata lo stavano sabotando. Appunto, c’è tanta oscurità sul caso. Ma è evidente una crescente instabilità del regime russo.
Alla luce della giornata di ieri, com finirà? Ipotesi:
1 Prigozhin pretenderà le dimissioni dei vertici dell’Armata, ma non quelle di Putin, ergendosi a suo protettore con conseguenze condizionanti, ma appare poco probabile che Putin accetti un ruolo ingabbiato e si rimangi l’accusa di tradimento, nonché che i vertici militari, con le chiavi delle armi nucleari, mollino facilmente il potere;
2 Più probabile un compromesso dove alla Wagner vengano riconosciute ragioni e benefici, per evitare una guerra civile, ma il vaso di Pandora è stato scoperchiato e la fluttuazione montante potrebbe andare verso la ri-stabilizzazione come verso un periodo di violenze interne.
In attesa di risposte dal campo, comunque il nuovo scenario russo mostra un aumento di pericolosità: se vince la ribellione, la transizione verso il nuovo assetto politico potrebbe essere turbolenta, anche considerando la voglia di autonomia delle repubbliche siberiane e dell’Est russo e una penetrazione cinese. Se vince Putin, comunque la Russia resterà instabile e in postura paranoica che ne aumenterebbe la minaccia.
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Vladimir Putin (Ansa)
Wagner si dirige verso Mosca e si ferma a soli 200 chilometri per evitare stragi. Intervento decisivo del presidente bielorusso.
Quello che fino alle 19.30 è stato a tutti gli effetti il giorno più complicato degli ultimi 23 anni di Vladimir Putin, da quando lo zar è al comando della Federazione russa, si è risolto con un clamoroso colpo di scena. La marcia della brigata Wagner, guidata da Evgenij Prigozhin , che minacciava la sicurezza di Mosca e i vertici militari del Cremlino, si è fermata a circa 200 chilometri dalla Capitale russa. A dare l’ordine del dietrofront è stato lo stesso leader del gruppo mercenario: «Torniamo indietro per evitare uno spargimento di sangue». Dietro questa mossa a sorpresa c’è il presidente bielorusso, Aleksander Lukashenko, che pochi minuti prima dell’annuncio di Prigozhin aveva anticipato che il leader della Wagner aveva accettato una de-escalation, fermando quindi l’avanzata. Un intervento decisivo, tanto è vero che lo zar lo ha ringraziato personalmente al telefono.
Un esito del tutto inaspettato e che almeno per ora raffredda il clima infuocato che si è creato ieri attorno al Cremlino, in una giornata convulsa in cui Putin ha dovuto far fronte a un colpo di Stato.
Una giornata che aveva visto il presidente russo protagonista di un discorso televisivo alla nazione trasmesso a reti unificate a poche ore dalla «marcia per la libertà» di Prigozhin, e della notizia, subito smentita, di una fuga a San Pietroburgo. «Il presidente è rimasto al lavoro al Cremlino», ha assicurato il portavoce del presidente, Dmitrij Peskov. Le voci di un allontanamento di Putin da Mosca si erano alimentate dopo che il sito di informazione più popolare di San Pietroburgo, Fontanka, aveva scritto di due aerei governativi russi, tra cui l’Il-96 presidenziale, decollati alle 14.16 da Mosca e atterrati poco dopo all’aeroporto Pulkovo, lo scalo della città che ha dato i natali allo zar, senza avere però certezza o meno della presenza a bordo di Putin. Lo stesso Peskov ha ribadito che il presidente è rimasto continuamente informato dal ministero della Difesa e dell’Interno, dalla Guardia nazionale e dai servizi segreti dell’Fsb sugli sviluppi della ribellione armata.
Putin in mattinata era intervenuto in diretta televisiva per rassicurare il popolo di avere la situazione sotto controllo e denunciare l’atto di rivolta. «Un colpo di pugnale alle spalle delle nostre truppe e della Russia. Si tratta di gravi azioni di tradimento. I responsabili pagheranno per questo», ha tuonato Putin, che ha anche ammesso come «la situazione a Rostov sul Don fosse difficile durante la rivolta armata» con «il lavoro dell’amministrazione civile e militare bloccato». Lo zar, che nel suo discorso non ha mai nominato Prigozhin, ha proseguito: «Difenderemo il nostro popolo e il nostro Stato da qualsiasi tradimento. Adesso si decide il destino del nostro popolo», ricordando il precedente storico del 1917, quando Lenin e Lev Trockij guidarono la Rivoluzione d’ottobre: «Non permetteremo una spaccatura come nel 1917 e non permetteremo che ciò accada di nuovo», ha detto Putin. Sulla brigata Wagner, invece, lo zar si è espresso così: «Il nome e la gloria degli eroi della Wagner, che hanno combattuto nell’operazione militare speciale in Ucraina e hanno dato la vita per l’unità del mondo russo sono stati traditi da coloro che hanno organizzato la ribellione. Chiedo ancora di non commettere questo errore gravissimo, di fare la scelta giusta, di smettere la partecipazione a queste azioni criminali».
Già dalle prime ore del mattino, invece, su tutta Mosca era cominciata l’operazione difesa, con la chiusura ai visitatori della Piazza Rossa, del Mausoleo di Lenin e della necropoli vicino al muro del Cremlino disposta dal sindaco, Sergej Sobyanin. La Capitale russa è stata letteralmente blindata con diversi posti di blocco e soldati muniti di mitragliatrici piazzati ai margini Sud occidentali della città, nei pressi dell’uscita dell’autostrada M4, il punto verso cui era diretta la marcia dei mercenari Wagner. La Bbc ha raccontato di check point improvvisati dalle forze russe nelle zone limitrofe di Mosca, mentre il quotidiano ucraino Kyiv Post ha addirittura diffuso immagini di trincee scavate ai confini della Capitale. Man mano che l’avanzata verso il Cremlino dei miliziani guidati da Prigozhin andava avanti, Putin ha continuato a giocare la carta della trattativa. Secondo quanto riportato da una fonte vicina allo stato maggiore russo, infatti, il presidente avrebbe offerto un’amnistia ai combattenti che avessero interrotto la rivolta, in quanto i militari russi non avrebbero avuto abbastanza risorse a disposizione per bloccare l’avanzata della Wagner, con molti militari richiamati d’urgenza dall’Ucraina. Ma avrebbe anche chiesto la testa di Prigozhin. Sapendo che la partita nelle ore successive si sarebbe giocata sulla lealtà o meno del resto dell’esercito russo nei confronti del Cremlino, ci sarà da capire cosa Prigozhin ha chiesto per fare marcia indietro, come Putin porterà avanti il rapporto con il capo della brigata Wagner e come gestirà una faccenda che in ogni caso ha messo in profonda discussione la sua leadership interna.
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Il capo della Wagner Evgenij Prigozhin (Ansa)
Evgenij Prigozhin e la sua Wagner in marcia su Mosca: colpo di Stato. Poi Aleksander Lukashenko media e ferma i mercenari.
Buone notizie da Mosca. I ribelli della Wagner stanno marciando sulla capitale per fare piazza pulita del gruppo dirigente che ha portato la Russia in guerra.
E nel mirino ci sarebbe addirittura Putin che ieri, notizie incontrollate e poi smentite, davano in fuga. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non esulta, ma quasi: «La debolezza della Russia è evidente» ha detto. «Per molto tempo il Cremlino ha fatto ricorso alla propaganda per mascherare la debolezza e la stupidità del suo governo, ma ora c’è così tanto caos che nessuna bugia può nasconderlo». Anzi no, i ribelli della Wagner, dopo una mediazione di Lukashenko stanno ritornando indietro, rinunciando a dare l’assalto a Mosca. O per lo meno questa è la notizia delle ultime ore.
Il problema è che nessuno sa veramente quello che sta accadendo a Mosca e dintorni e non c’è analista che sia in grado di capire se le truppe guidate da Evgenij Prigozhin, il cosiddetto cuoco di Putin a capo di una milizia personale composta da mercenari ed ex detenuti, siano davvero in grado di tenere testa alle forze regolari o se si siano accordate alzando il prezzo per non marciare sul Cremlino. Qualcuno evoca il mancato golpe del 1991, quando alcuni funzionari sovietici arrestarono Michail Gorbachëv e cercarono di instaurare una giunta militare assaltando il parlamento. Finì con una rivolta di popolo, con Boris Eltsin che si arrampicò su un carro armato e da lì arringò la folla. Il putsch durò meno di una settimana e poi, quando fu chiaro che le forze armate solidarizzavano con chi protestava, i golpisti si arresero e vennero arrestati. Ma nessuna sa dire se sia così.
A parti rovesciate c’è chi pensa che la marcia su Mosca di Prigozhin possa dare la spallata al regime, spingendo i soldati a ribellarsi e schierarsi con il popolo e contro Putin. Quello del padrone della Wagner sarebbe in pratica un golpe buono, il contrario di quello tentato più di trent’anni fa per far fuori Gorbachëv e la sua perestroika. Ma dopo l’avanti e indietro delle sue truppe è difficile crederlo.
Infatti, siamo certi che chi verrà dopo Putin sarà meglio di lui? Il curriculum del cuoco personale dello zar non promette nulla di buono e ancor meno testimoniano le sue controverse dichiarazioni, che negli ultimi 16 mesi hanno accompagnato le alterne fasi della guerra in Ucraina.
Non so chi ci sia dietro Prigozhin, se agisca di testa propria sentendosi con le spalle al muro o se qualcuno lo abbia convinto a muovere su Mosca, magari con qualche promessa di immunità per sé o per la propria famiglia. Sta di fatto che di un tipo simile non c’è da fidarsi. E men che meno c’è da far conto sulla sua banda di galeotti e criminali, che in Ucraina hanno impugnato le armi e ucciso senza scrupoli dietro la promessa di tornare liberi. Prigozhin e i suoi oggi paiono schierati contro l’invasione dell’Ucraina e a favore della fine della guerra. Ma fino a ieri il cuoco di Putin criticava ministri e generali, definendoli corrotti e pusillanimi. Secondo lui bisognava fare sul serio, non risparmiare sulle munizioni. Dunque, qual è il vero obiettivo della Wagner? Concludere la guerra ritirandosi o scatenare qualche cosa di peggio?
Vi state chiedendo che cosa ci possa essere di peggio di ciò che abbiamo visto nell’ultimo anno e mezzo? Non so dare una risposta, tuttavia posso dire che guardando al quarto di secolo passato, troppe volte abbiamo sperato che un cambiamento, magari anche armato, ci avrebbe portato una situazione migliore delle precedenti. Invece, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Tunisia, dall’Egitto alla Siria, le cose sono sempre andate peggio. Via i sovietici da Kabul, sono arrivati i talebani. Impiccato Saddam Hussein, abbiamo avuto al Baghdadi. Rovesciato e linciato Gheddafi, ci è toccata una guerra tra bande di predoni. Rovesciato Ben Ali, è arrivato Kais Saied, uno che ha sciolto il Parlamento e rifatto la Costituzione. Arrestato Mubarak è subentrato Al Sisi, quello che non ci ha ancora spiegato com’è morto Regeni. In Siria addirittura, nonostante l’Isis e una guerra civile che ha lasciato il Paese in macerie, è rimasto Assad. Insomma, a dispetto delle nostre speranze di esportare la democrazia e di una stagione di libertà con le primavere arabe, siamo andati di male in peggio. Oggi infatti, nonostante il nostro sostegno a favore di ogni rivolta e di ogni intervento per scacciare i satrapi, la situazione è peggiore di 25 anni fa.
Sono troppo pessimista e deludo le speranze di chi si augura che siano gli stessi russi a sbarazzarsi di un criminale come Putin? È vero, ma come si fa a essere ottimisti se si vuole sostituire un dittatore che tiene in mano il pulsante nucleare con una canaglia come Prigozhin. Sarebbe come chiedermi di avere fiducia nella cacciata di Hitler perché a guidare l’assalto al bunker in cui si nasconde il Führer è Himmler.
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