Una volta in campagna il massimo era il Landini testa calda, un trattore che ha rivoluzionato il modo di coltivare. Quasi un secolo dopo torna il trattore testa calda e non necessariamente, stavolta, è un dato positivo. Il fronte della protesta si sta dividendo e c’è il rischio che liberi spore che con le giuste rivendicazioni di chi suda la terra non c’entra nulla: anzi. Si temono sul fronte del Cra che vuole sfilare giovedì a Roma fino al Colosseo infiltrazioni da parte di Giuliano Castellino, ex leader di Forza Nuova, che da giorni ha annunciato di voler partecipare con la sua Ancora Italia. E per questo il movimento di Riscatto Agricolo ha preso le distanze. Resta in piedi il nodo degli sgravi fiscali anche se il più stringente è quello dei prezzi all’origine. Ieri pomeriggio c’è stato un incontro definito «distensivo» tra il ministro Francesco Lollobrigida e gli esponenti di Riscatto Agricolo, la formazione che raggruppa diversi comitati in Italia e che ha incassato il successo mediatico della lettura del proprio comunicato dal palco di Sanremo. Lollobrigida ha promesso dopo un incontro durato due ore che è stato gestito dal sottosegretario Patrizio La Pietra l’esenzione Irpef ora fissata al tetto dei 10.000 euro e un tavolo tecnico di confronto sui prezzi. Davide Pedretti – giovane allevatore mantovano che è un dei leader di Riscatto Agricolo – commentando dal suo presidio di Brescia ha detto: «Abbiamo ottenuto, ma non molliamo finché l’accordo non sarà nero su bianco. Anche se a Roma stanno pensando di tornare nei luoghi di origine, una ventina di presidi rimarranno operativi, in Lombardia, in Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia, in Sardegna. Aspettiamo fino al 26 febbraio quando ci sarà la riunione straordinaria della Commissione Ue a Bruxelles, dove si vedrà se le modifiche alla Pac annunciate saranno realizzate (prima fra tutte lo stop all’obbligo di lasciare il 4% dei terreni incolti). L’esenzione dell’Irpef non è il punto forte della nostra protesta, vogliamo che ci paghino il giusto prezzo ai nostri prodotti». Eppure sull’esenzione all’Irpef si concentra il braccio di ferro all’interno della maggioranza di governo. Ieri pomeriggio Lollobrigida, in accordo anche con il ministro per l’Economia Giancarlo Giorgetti ha presentato attraverso il ministro per i rapporti col Parlamento Luca Ceriani in commissione Bilancio l’emendamento al Milleproroghe che aesenta dall’Irpef i redditi dominicali fino a 10 mila euro. All’erario questa misura costa attorno ai 200 milioni di euro ma la platea dei destinatari è molto ampia. Coldiretti stima che ne beneficerebbe un’azienda ogni 9 (387.000 su circa 430.000 interessate dal rincaro Irpef). Matteo Salvini ha riunito i suoi esperti di agricoltura e i capigruppo di Camera e Senato perché intende andare oltre: tiene il punto sul tetto di esenzione a 30.000 euro. Dal ministero agricolo fanno notare che il governo ha già portato a 8 miliardi l’investimento del Pnrr destinato al settore agricolo: 2 miliardi per abbattere le emissioni e circa 850 milioni per favorire l’agro-fotovoltaico che comunque porta un incremento di reddito agli agricoltori. La previsione iniziale era di 4,9 miliardi, ma la decisione di alzare i fondi era stata presa prima delle proteste. Sono gli stessi agricoltori a dire che sul lato fiscale la mitigazione proposta sull’Irpef potrebbe essere sufficiente. Dove non mollano è sulla redditività. Salvatore Fais che è uno dei maggiori leader di Riscatto Agricolo insiste: «Il nostro obbiettivo prioritario resta un tavolo tecnico dove partecipare sempre con il governo. Primo punto per importanza, è quello dei costi dei nostri prodotti. Bisogna lavorare immediatamente su questa cosa». C’è un secondo obbiettivo politico evidente: quello del riconoscimento di Riscatto Agricolo come rappresentante dei campi al di là delle associazioni di categoria. E di certo un altro risultato lo hanno raggiunto: porre la questione al centro del dibattito. Lo stesso ministro Lollobrigida ha risposto a Carlo Calenda che ha bollato come insufficiente l’intervento sull’Irpef sollecitando un’azione comune con la Francia – lì la protesta rimane accesissima – anche in sede europea affermando: «Azione è foriera di suggerimenti che sono sempre utili, se non altro, a sottolineare ciò che il governo sta già facendo. Tra questi, ci sono le verifiche automatiche che scatteranno in presenza di acquisti inferiori al prezzo medio di produzione pubblicato da Ismea. Quanto al rapporto con Marc Fesnau (è il ministro francese) sosterrò la proposta di stoppare le importazioni di prodotti che non hanno i nostri stessi standard». Ma c’è una parte del mondo agricolo che non è affatto convinta. Son quelli del Cra (agricoltori traditi) capeggiati da Danilo Calvani (già uno dei leader dei forconi) che annuncia: «Ci saranno 20.000 persone con mezzi agricoli al Circo Massimo per giovedì alle 15 e da lì ci muoveremo. Un gruppo di nostri trattori partirà in corteo dal presidio di Cecchina e arriveranno nel cuore di Roma. Dovrebbero essere una quindicina di mezzi scortati dalle forze dell'ordine. Quella di dopodomani sarà solo la prima delle nostre manifestazioni. La nostra protesta andrà avanti».
Dal Colosseo alle università Kiev demolisce tutti i gesti che uniscono ucraini e russi
- Dopo i veti su Pëtr Il'ič Ciaikovskij, oscurata dai media in patria la Via crucis papale all’insegna della fratellanza. Critiche all’ateneo di Torino che aiuta gli studenti, senza distinzioni.
- Rastrellamenti dei militari in corso a Mariupol. Pioggia di bombe sulla Capitale.
Lo speciale contiene due articoli.
«Amare il nemico», ha titolato l’Osservatore Romano commentando, in un editoriale, la precipitosa condanna dell’arcivescovo maggiore di Kiev, Svjatoslav Schevchuk, alla decisione della Santa Sede di far portare la croce a due donne, una ucraina e una russa, durante la Via crucis del Venerdì santo al Colosseo. Condanna estesa non solo ai «gesti» ma anche ai «testi», giudicati da Sua Beatitudine «incomprensibili e perfino offensivi», benché la meditazione preparata per la XIII stazione non fosse altro che un appello rivolto al Signore a «insegnarci a fare la pace e a non abbandonarci». L’organo ufficiale della Santa Sede ha tentato di ricomporre l’incidente diplomatico corroborando le parole di pace pronunciate, fin dall’inizio della guerra, da papa Francesco: «Queste due donne sono perfino riuscite a rinsaldare il vincolo umano e spirituale che le unisce, e spiegano che l’unica strada per uscire dalla guerra è quella del perdono e della riconciliazione». Cos’altro potrebbe dire chi davvero cerca la pace? Anche padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, è intervenuto ricordando, a chi ha criticato l’abbraccio di due donne amiche, provenienti da nazioni in guerra l’una contro l’altra, che «Albina (russa) e Irina (ucraina) salvano il Vangelo e la cattolicità della Chiesa mettendola al riparo dal pantano dei nazionalismi. Insieme. In silenzio. In preghiera».
Ma il lavoro diplomatico dietro le quinte e gli appelli alla ragionevolezza non sono serviti ad appianare i dissidi: in Ucraina i media cattolici online come Ugcc Live Tv, la rivista cattolica Credo, Radio Maria ed Ewtn Ucraina, così come le tv nazionali ucraine, hanno deciso di non trasmettere la Via crucis in diretta dal Colosseo. L’agenzia di informazione Risu, rilanciata dall’agenzia della Cei, Sir, ha confermato che anche sulla sua pagina Web non sarebbe stata trasmessa, sottolineando - quasi a rivendicare il carattere ritorsivo della decisione - che «questi media hanno quasi sempre coperto tutti gli eventi importanti in Vaticano, come la consacrazione al Cuore ommacolato di Maria di Russia e Ucraina da parte del Pontefice». «Per politici ed ecclesiastici», ha constatato con amarezza Spadaro, «queste due donne (che idealmente rappresentano le due nazioni in conflitto) “devono” essere nemiche».
L’insofferenza verso le mine antidiplomatiche ucraine rischia di sconfinare dal Vaticano. Dopo il veto del ministero della Cultura ucraino su Ciaikovskij, che ha impedito all’Ukrainian classical ballet di portare in scena Il lago dei cigni in Italia, è arrivata la protesta del console onorario dell’Ucraina in Piemonte, Dario Arrigotti, contro l’università di Torino, «colpevole» di mettere a disposizione 20 borse di studio da 2.000 euro l’una per studenti russi e bielorussi «in grave situazione di difficoltà economica a seguito dell’insorgere della crisi internazionale ucraina»: «È quantomeno sorprendente equiparare lo stato di “grave difficoltà” degli studenti russi e bielorussi a quello degli studenti ucraini», ha dichiarato Arrigotti. «Nell’università si realizza il principale investimento nella pace», ha replicato con fermezza il rettore, Stefano Genua. «Il provvedimento è pienamente in linea con la missione costituzionale dell’università di garantire il diritto allo studio a chi ne sia privato», ad esempio anche gli studenti russi che «non possono prelevare né usare denaro, viste le sanzioni», ha osservato Guido Saracco, promotore di un identico bando al Politecnico di Torino, dove è rettore.
Con altrettanto fastidio è stata accolta, in Italia e nell’Occidente, la decisione del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di dichiarare pubblicamente il rieletto presidente della Repubblica federale tedesca, Frank Walter Steinmeier, «persona non grata», rifiutando l’offerta di un incontro. Commentando le reazioni a Berlino a seguito del suo rifiuto di invitare Steinmeier nella Capitale, Zelensky ha, se possibile, peggiorato la situazione: «Non abbiamo mai ricevuto richiesta ufficiale dal presidente federale e dal suo ufficio riguardo a una visita in Ucraina», ha dichiarato, ponendo una questione di «forma» nell’ambito di un quadro diplomatico già saltato da settimane. Non a caso, Steinmeier ha definito le frasi di Zelensky «irritanti, per usare un eufemismo». Zelensky è dunque riuscito nell’improbabile impresa di creare tensioni in un milieu occidentale unanimemente schierato in suo favore. Le richieste e le prese di posizione degli ucraini, a volte ingenuamente irruenti, sono ovviamente comprensibili e vanno inquadrate nel contesto bellico di Paese aggredito e in quello socioculturale di una guerra che lo stesso Zelensky gestisce anche sul filo della comunicazione social, non esattamente adatta a comporre questioni complesse perché basata sull’algoritmo e sulla comunicazione binaria (citofonare Italia).
C’è però da dire che l’Occidente (a cominciare dal presidente americano, Joe Biden), che all’Ucraina doveva dare il buon esempio, non è riuscito a impartire in questi primi 50 giorni di guerra alcuna «lezione di pace», né tantomeno di diplomazia. Sarà complicato, per il presidente ucraino, ricomporre questi piccoli-grandi dissidi diplomatici che lo collocano attualmente - e chissà per quanto tempo ancora - nel mortificante ruolo del capo di Stato subalterno e già di fatto commissariato.
A Mariupol la vendetta per il Moskva. Zelensky: «Se cade niente negoziati»
È arrivata nella giornata di ieri la risposta russa all’affondamento dell’incrociatore Moskva, colpito e affondato giovedì. Il Cremlino non ha più parlato della vicenda ma è partita la caccia al colpevole nella Marina e tra gli ammiragli che hanno sottovalutato la capacità di reazione e gli armamenti degli ucraini.
La cinquantaduesima giornata di guerra, che è iniziata intorno alle 4 del mattino, ha visto suonare le sirene d’allarme antiaeree in alcune città dell’Ucraina centrale, orientale e meridionale tra le quali Dnipropetrovsk, Kryvyi Rih, Zaporizhzhia, Cherkasy, Donetsk, Odessa, Kharkiv, Poltava e Mykolaiv. Mentre a Mariupol, secondo un consigliere del sindaco della città, Petro Andryushchenko, «i russi stanno raccogliendo tutti gli uomini e li trasferiscono a Bezimenne, un villaggio del Donetsk sotto il loro controllo». Un fatto che le autorità della città, diventata un cumulo di macerie, hanno confermato sul loro canale Telegram, dove hanno raccontato che agli uomini vengono sequestrati i documenti personali in attesa di decisioni: «Stanno compiendo una intensa “pulizia” degli uomini, abbiamo le prime conferme».
Bombe anche sul distretto di Kiev dove si registra un morto e numerosi feriti nel Sudest della Capitale, dove è stata presa di mira una fabbrica di armi. Il sindaco, Vitali Klitschko, è certo che i russi intensificheranno i bombardamenti su Kiev: «Non è un segreto che un generale russo abbia recentemente affermato di essere pronto per attacchi missilistici contro la Capitale». Klitschko ha lanciato un accorato appello alla popolazione, che è riuscita a fuggire affinché non torni, almeno per il momento: «Non ignorate gli allarmi aerei. E a coloro che se ne sono andati e stanno già facendo ritorno nella Capitale, vi chiedo di evitarlo e restare in un posto più sicuro».
Combattimenti feroci si sono registrati nella regione di Zaporizhya, dove sono state bombardate non solo le strutture militari ma anche case, ospedali e le scuole e, secondo quanto dichiarato da Artur Krupsky, capo dell’amministrazione del distretto di Polog, tra le vittime c’è anche un bambino di 12 anni che si aggiunge agli altri 200 che hanno perso la vita fino a oggi nel conflitto. Cinque morti e una ventina di feriti a Mykolaiv (Ucraina meridionale), mentre le bombe continuano a cadere nell’Est del Paese e in particolare a Derhachi, Balakliia e Zolochiv.
Per tornare a Kiev, nella tarda mattinata di ieri, l’Associated Press ha riferito che le 900 persone morte nella regione di Kiev sarebbero state per il 95% dei casi vittime di esecuzioni sommarie: «La presenza di ferite d’arma da fuoco indica che molti sono stati semplicemente giustiziati». Andriy Nebytov, il capo della polizia regionale di Kiev, ha raccontato al Guardian che «i corpi sono stati abbandonati nelle strade o hanno ricevuto sepolture sommarie». Sempre ieri, grazie al Times di Londra, si è saputo che in Ucraina sarebbero presenti le forze le forze speciali di Sua Maestà, con il preciso incarico di formare le truppe ucraine (anche all’uso delle nuove armi). Mosca ha reagito con due comunicazioni raggelanti: «Ulteriori aiuti occidentali provocheranno conseguenze imprevedibili» - e ancora - «l’assistenza militare all’Ucraina da parte dell’Occidente significa che è già cominciata la terza guerra mondiale».
Il mistero della giornata invece riguarda Eduard Basurin, portavoce militare dei separatisti filorussi: nel pomeriggio sarebbe stato prelevato da agenti dell’Fsb a Mariupol. Negli scorsi giorni aveva parlato della possibilità di usare le armi chimiche.
In serata Zelensky ha parlato al Kyiv Independent della possibile fine dei negoziati: «Mariupol potrebbe essere come dieci Borodyanka. L’eliminazione dei nostri militari porrà fine a tutti i negoziati. Non scambiamo i nostri territori e la nostra gente».
Il prossimo a svolazzare dal piedistallo dovrebbe essere Immanuel Kant. Il padre della filosofia moderna, che dalla statua di bronzo in piazza a Kalinigrad ammonisce gli ignoranti a studiare, secondo le categorie dei black bloc della cultura era un razzista di prim'ordine. Razzismo biologico, il peggiore.
Scriveva papale papale: «I negri d'Africa non possiedono per natura alcun sentimento più elevato della stupidità. Si collocano al livello più basso tra quelli individuati in termini di diversità razziali». Nessuno lo ricorda per questo, anzi il suo trattato Per la pace perpetua viene considerato il caposaldo morale del diritto sovranazionale alla base dell'Onu e dell'Unione europea. Praticamente il bisnonno del globalismo progressista e di quella grande Chiesa «che va da Che Guevara a Madre Teresa» come puntualizzò uno dei guru di riferimento d'area, Jovanotti.
Il dilemma è pressante: si trasforma Kant in un'ancora da mar Baltico, ci si limita a imbrattarne la palandrana come a Winston Churchill o lo si lascia lì perché ha la patente postuma? In attesa che Laura Boldrini e la pattuglia dem letteralmente in ginocchio dal nuovo Black power diano il contributo italiano, arriva l'ultima moda planetaria dell'oscurantista mondo radical: la destituzione delle statue scomode. Cominciarono un paio d'anni fa le sardine americane prendendosela con Cristoforo Colombo, adesso la tendenza ha varcato l'Oceano Atlantico sull'onda di indignazione per la morte di George Floyd.
E la questione razziale attecchisce presso i rampolli annoiati della buona borghesia metropolitana, quella che abitualmente angaria i domestici filippini.
In Italia la strumentalizzazione si abbatte su Indro Montanelli, pilotata dalla sinistra radicale e dal Pd milanese. I Sentinelli e alcuni attempati dem sono tornati alla carica per far togliere la statua del grande giornalista dai giardini pubblici di Milano perché «fino alla fine dei suoi giorni ha rivendicato con orgoglio il fatto di avere comprato e sposato una bambina eritrea di 12 anni». Chiedono che il monumento venga spazzato via da dove Montanelli fu gambizzato dalle Brigate rosse.
Due rimozioni in una. Tesi sposata con conformismo da scendiletto dalla consigliera comunale Diana De Marchi: «Le motivazioni sono valide, farò in modo che se ne discuta in consiglio». E rigettata con indignazione dalla Lega. Stefano Bolognini, assessore regionale e commissario per Milano: «Basta con questa furia iconoclasta. Sarebbe meglio occupare il tempo a risolvere problemi concreti che a infangare la memoria di un grande giornalista, colpevole di non essere allineato al loro pensiero». Niente è al sicuro. Neppure il Colosseo, luogo in cui gli antichi romani mandavano gli schiavi a morire.
L'epicentro internazionale del delirio è Londra. Dove studenti che non distinguono fra Cecil Rhodes, Abraham Lincoln e il Mahatma Gandhi ormai teorizzano che tutto «must fall», deve cadere perché puzza di colonialismo e di razzismo.
«Must Fall» è il nome del movimento di sfaticati casseur tollerati dalla polizia, che in nome di un'investitura divina giudicano il passato con i canoni e le sensibilità di oggi (memorabile su Twitter la stroncatura di Nonexpedit: «Come tacciare di ignoranza Isaac Newton perché non conosceva la teoria della relatività»).
Peggio di loro c'è il sindaco di origini pachistane Sadiq Khan, che ha visto inabissarsi nell'Avon a Bristol la statua dello schiavista e filantropo Edward Colson, e per non contraddire il fremito pop ha deciso di individuare nuovi reprobi di bronzo.
Ha cominciato facendo rimuovere il busto di Robert Milligan (armatore del Settecento, proprietario di schiavi, uno dei maggiori finanziatori del porto di Londra), poi ha deciso che altri simboli imperialisti potrebbero essere cancellati e ha istituito un'apposita commissione per garantire che «i monumenti della capitale britannica riflettano la sua diversità». La task force si chiamerà appunto Commissione per la Diversità e passerà in rassegna statue, targhe delle vie, iscrizioni commemorative per poi decidere quali confermare e quali togliere. Impegno improbo, forse di anti-imperiale a Londra ci sono Victoria Beckham, Roger Waters e Mister Bean. La regina rischia.
Il manicomio non si ferma a marmi e bronzi ma si estende agli spettacoli. Per timore di rappresaglie, Netflix e la Bbc hanno tolto dalle piattaforme la serie comica Little Britain, campione d'incassi, perché nella sitcom si fa uso di blackface, con attori bianchi che si travestono e si truccano da persone di colore. Di questi tempi il politicamente correttissimo imperversa, chi sbadiglia è perduto.
Il record spetta di diritto alla piattaforma video in streaming americana Hbo che ha deciso di togliere dal catalogo Via col vento, kolossal immortale da dieci Oscar perché «contiene troppi pregiudizi etnici e razziali», dimenticandosi che è del 1939.
Verrà riproposto solo con un'appendice di scuse postume. Domani è un altro giorno.
L'ultimo progetto di Google Arts & Culture si intitola «Meraviglie d'Italia» e ci permette di scoprire capolavori e paesaggi iconici senza lasciare le quattro mura di casa.
In questi giorni di emergenza sanitaria oltre ai cittadini di tutto il mondo anche il nostro patrimonio culturale si trova in «quarantena». I nostri musei hanno dovuto chiudere le porte ai milioni di turisti che ogni anno sono soliti andare alla scoperta di alcune delle opere più conosciute e amate. Google Arts & Culture ha così deciso di rendere le bellezze d'Italia accessibili - seppur virtualmente - al maggior numero di persone, attraverso il progetto digitale «Meraviglie d'Italia».
Oltre 150 istituzioni culturali del Bel Paese - già partner della piattaforma Google - hanno messo a disposizione capolavori, mostre online, paesaggi e molto altro ancora, dalla cultura delle arti, dell'architettura e dei paesaggi iconici, al patrimonio della cultura del cibo, dell'artigianato, delle spettacolo, della scienza e della tecnologia. «Meraviglie d'Italia» offre inoltre tour virtuali, in collaborazione con street view.
Iniziamo allora il nostro viaggio tra le bellezza del nostro Paese con le Gallerie degli Uffizi di Firenze dove è possibile ammirare «La Maestà di Santa Trinita», dipinta da Cimabue tra il 1290 e il 1300. Raggiungiamo poi il Museo di Capodimonte, dove approfondire la figura di Caravaggio, attraverso a una mostra unica, andata in scena nel 2019. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, tra i più antichi e importanti al mondo, vi permetterà invece di fare un tour virtuale di Pompei dall'alto, mentre la Galleria Nazionale di Arte Moderna vi farà scoprire la storia dietro «Le ninfee rosa» di Claude Monet.
Preparatevi un buon caffè prima di iniziare a esplorare i più famosi monumenti italiani e i suoi più iconici paesaggi. Con «Meraviglie d'Italia» viaggerete dal Colosseo, alla Torre di Pisa, passando per il Duomo di Milano e il Monte Bianco. Con Google Arts & Culture avrete anche l'occasione unica di ammirare il Canal Grande vi Venezia visto da una gondola. Alcune meraviglie meno note saranno a portata di click. La Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, ad esempio, ospita tutti i modelli in gesso che si trovavano nello studio romano dell'artista al momento della sua morte. Il museo fornisce così un'immagine completa dell'arte e della vita di Antonio Canova, tra dipinti a olio e tempera, disegni, ma anche memorie, vestiti, strumenti di lavoro e libri.
Sul portale «Meraviglie d'Italia» potrete trovare anche centinaia di racconti legali alle eccellenze del nostro paese come il cibo, la moda, l'artigianato, la scienza e la tecnologia. Potrete infatti scoprire come si viveva a bordo del primo sottomarino costruito in Italia dopo la seconda guerra mondiale, conservato al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Infine, con «Meraviglie d'Italia» avrete l'occasione unica di visitare alcune delle più famose città dello stivale, attraverso dei tour creati ad hoc.
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