Tutti assolti! Si chiude, dopo 13 anni e dopo oltre 12 miliardi pagati dai contribuenti, con la sentenza d’appello per Banca Marche la tormentata stagione dei crac delle «casse minori» che tra il 2011 e il 2013 ha caratterizzato l’economia italiana. Strascico della crisi dei subprime: il battito di farfalle, o forse di avvoltoi, che partito da New York con il buco di Lehman Brothers si è trasformato in uno tsunami e per cui oggi è difficile stabilire precise responsabilità. Non le hanno trovate i giudici della Corte d’Appello di Ancona che hanno ribaltato la sentenza di primo grado da cui comunque era uscito indenne tutto il consiglio di amministrazione dell’istituto marchigiano con, purtroppo, una vittima: l’ultimo presidente, il marchese Lauro Costa - discendente degli esattori dei Papi - non aveva retto alla pressione ed è morto alla vigilia della prima sentenza. Restavano da stabilire le responsabilità di Massimo Bianconi, direttore generale che in primo grado era stato condannato a 10 anni e mezzo, del suo vice Stefano Vallesi (9 anni in primo grado) e di altri quattro funzionari - due del Medioleasing - condannati a pene variabili nel primo processo. Tutti assolti con formula piena perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non sussiste. Spiega l’avvocato Giancarlo Nascimbeni che ha condotto la discussione in diritto: «Si trattava di stabilire se ci fosse stata bancarotta per distrazione ipotizzando, come aveva fatto la condanna di primo grado, un dolo eventuale. Ma era chiaro che attribuire la colpa di non aver previsto i rischi connessi con il crollo del mercato affidando i crediti ad alcuni imprenditori non poteva essere ritenuta una responsabilità penale. Tutti gli imputati avevano correttamente seguito la prassi bancaria e il consiglio di amministrazione aveva validato le pratiche». Si è scatenato il risentimento dei risparmiatori, la politica si sta dividendo su questa sentenza, ma resta un dato: queste banche sono saltate in aria per responsabilità di chi? Al netto di quanto è avvenuto a Popolare Vicenza e a Venetobanca (la malagestio è apparsa evidente da parte dei vertici: il presidente che tutto poteva in Popolare Vicenza Gianni Zonin e il direttore generale Andrea Piazzetta condannati in via definitiva a 3 anni e mezzo, mentre Vincenzo Consoli amministratore delegato di Veneto Banca ha avuto due anni e sei mesi) le altre piccole banche - Banca Etruria di Arezzo, Cassa Ferrara, Popolare di Bari, CariChieti, Banca Marche - che sono state fatte fallire e hanno prodotto inchieste monumentali sono uscite dalle aule di giustizia con assoluzioni quasi generalizzate. Le due banche venete sono state salvate da un intervento diretto del governo presieduto da Paolo Gentiloni (Pd). Il buco della banca di Gianni Zonin e di quella di Vincenzo Consoli era superiore agli 11 miliardi. Diversamente si comportò Matteo Renzi, quando era presidente del Consiglio (sempre Pd) con gli azionisti delle altre piccole banche facendo scattare il bail in come voleva la Bce. Per i risparmiatori i ristori sono stati esigui. Ai soci di Banca Marche sono tornati in tasca 85 milioni di euro; 66 milioni sono toccati ai 16.000 CariFerrara, a chi aveva azioni di Banca Etruria - erano 10.000 - sono arrivati in tutto 40 milioni e per Carichieti si sono trovati appena 1,1 milioni destinati a rimborsare 60 persone. La domanda è: perché ai veneti della Popolare Vicenza sono comunque arrivati 624.886.903 euro e per Veneto Banca si sono destinati 423.689.440 euro? Certo la platea degli azionisti delle banche venete era infinitamente più larga (50.000 i «beneficiati» da Gianni Zonin, 34.000 quelli di Veneto Banca) ma resta il fatto che lì si è intervenuti con decisione - forse il rischio che si trovassero responsabilità od omissioni esterne alle banche era troppo alto? - mentre nel resto dei territori le operazioni di salvataggio sono state di fatto esigue. È una risposta che dal processo di Banca Marche non è venuta, ma tuttavia è evidente che la riforma voluta da Giuliano Amato e Carlo Azelio Ciampi per la trasformazione delle Casse di Risparmio operata nel 1998 con la creazione delle fondazioni bancarie è stata un disastro. La sentenza di Ancona - come già in primo grado - conferma che i consigli di amministrazione non erano all’altezza del compito (ed è anche uno dei motivi per cui Antonveneta si è trasformata in una zavorra insostenibile per il Monte dei Paschi di Siena). Nel caso di Banca Marche c’è di peggio; la banca è stata dichiarata insolvente dopo tre anni e mezzo di commissariamento operato dalla Banca d’Italia per essere poi spartita tra Ubi Banca e Intesa San Paolo. Con questa sentenza si chiude il capitolo della ricerca delle responsabilità dirette. Resta il dubbio se tutto ciò che è stato fatto (o non fatto) abbia favorito le concentrazioni bancarie spogliando però i territori di strumenti economici indispensabili.
Compatto, anzi granitico, il centrodestra sente profumo di vittoria e chiude la campagna elettorale in Umbria con i tre leader, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, impegnati in un vero e proprio tour de force.
Più i leader giallorossi ripetono la filastrocca «il voto in Umbria non avrà conseguenze sul governo», più dimostrano la loro debolezza e il terrore che le conseguenze sul governo ci saranno eccome. Salvini, che ormai con la capigliatura del premier Giuseppi Conte ha un conto aperto, attacca a tutto ciuffo: «Se la Lega oggi ha un terzo del voto degli italiani», dice il leader del centrodestra a SkyTg24, «mentre Conte non lo ha mai votato nessuno, o gli italiani sono tutti rimbambiti oppure il signor Conte si è un pochino montato la testa e il ciuffo. E lunedì tornerà coi piedi per terra. Se Salvini è un cretino e gli italiani votano un cretino, o sono cretini gli italiani o il cretino è qualcun altro. Non ci si scappa. Domenica», aggiunge Salvini, «sarà una data come Natale, Capodanno, Pasqua, una data che resterà, la festa della liberazione dopo 50 anni».
Il leader leghista è infaticabile: gira i comuni umbri, non si sottrae ai bagni di folla: «Si voterà per l'Umbria ma anche contro il governo dei traditori. Qualcuno vuole fare una foto? Vi mando Di Maio e la fate con lui», scherza l'ex ministro dell'Interno, ricevendo in risposta un «noooo» dalla folla plaudente. «Ci pensano Conte e Di Maio ai terremotati? Sono dei fenomeni», argomenta Salvini, «sono venuti a parlare di terremoto a Narni, dove non c'è stato... però Conte ha detto: non sono qui per la campagna elettorale. No, non sapeva se andare a Bolzano o Lampedusa ed è venuto in Umbria. Veramente vi prendono per fessi, pensano che qui c'è gente a cui regali due caramelle e un ciondolino e ti votano come cinquant'anni fa». «La vittoria di domenica», aggiunge il segretario della Lega, «la dedicheremo anche all'ex avvocato del popolo. Altro che voto non determinante, il popolo dell'Umbria darà una sonora lezione a questo governo del tradimento». «Ieri ero a Perugia», attacca ancora Matteo Salvini, «ho visitato un quartiere difficile. Nel frattempo Conte era da Cucinelli a giocare a calcetto: il popolo e le élite, le piazze e il palazzo, l'Umbria e i fighetti. Domenica questa terra gli darà una lezione di democrazia che se la ricordano per i prossimi cinquant'anni».
Rigenerato dall'accoglienza che gli ha riservato il popolo di piazza San Giovanni, anche Silvio Berlusconi sta presidiando ormai da giorni l'Umbria. L'obiettivo del leader di Forza Italia è dimostrare che il suo partito può conseguire un buon risultato, anche per spegnere le voci critiche interne sull'alleanza con Salvini e la Meloni: «Il voto in Umbria», afferma Berlusconi, «oltre che ad essere importante per gli umbri avrà anche un significato simbolico per il governo nazionale. Le sinistre al governo temono un nostro risultato positivo, per questo dicono che non avrà ripercussione. Dopo mezzo secolo», aggiunge Berlusconi, «per i cittadini cadrà il fortino rosso, in giunta entreranno persone nuove e tra le prime cose da fare ci sarà da ristrutturare la sanità, così da permettere anche il rientro di alcuni medici che se ne erano andati».
Tonico e determinato, Berlusconi non si sottrae alle richieste di selfie e strette di mano: «Sabato alla manifestazione in piazza San Giovanni a Roma», spiega il leader di Forza Italia, «ho avuto la grande soddisfazione di vedere finalmente dichiarata pubblicamente da parte di Salvini e Meloni la assoluta necessità che la coalizione delle forze politiche contro la sinistra sia una sola: hanno cambiato anche il nome e Salvini che non parlava di centrodestra da mesi ha parlato di Casa degli italiani, mi va benissimo. Il leader viene espresso dal partito che ha più voti e in questo momento è giusto che lo esprima la Lega che ha molti voti. La cosa importante», aggiunge Berlusconi, «è che per far vincere e governare l'Italia anticomunista, la coalizione deve essere con dentro tutti, e Forza Italia è l'unico movimento in Italia erede della tradizione democratica, liberale, cristiana, garantista della civiltà occidentale e dei suoi principi». Berlusconi annuncia anche un «No tax day» targato Forza Italia, oggi in varie piazze italiane, con gazebo per raccogliere firme per una proposta di legge costituzionale che fissi un tetto del 30% alle tasse.
L'ultimo giorno di campagna elettorale di Giorgia Meloni in Umbria, poi, è senza sosta: la leader di Fratelli d'Italia prende di mira i leader delle sinistre: «Sono molto contenta», dice la Meloni, «che questa mattina in Umbria sia arrivato mezzo governo italiano per mettere la faccia sulla sconfitta che subiranno domenica. Perché lunedì sarà ancora più chiaro che i cittadini italiani non vogliono essere governati da queste persone e vogliono potersi scegliere liberamente un governo, come accade in tutto il mondo. I decreti del terremoto fatti all'ultimo minuto», prosegue la Meloni, «piuttosto che i soldi dati ai dipendenti regionali non serviranno: questa regione vuole libertà e una amministrazione che si occupi dei suoi problemi. E questo la sinistra non lo può più fare. In Umbria siamo stati diversi giorni, come accade anche fuori dalla campagna elettorale, e mai come ora troviamo entusiasmo intorno alle nostre idee e al nostro progetto. Questo ci lascia ben sperare sul risultato di domenica: vogliamo portare un futuro diverso all'Umbria», sottolinea la leader di Fdi, «e mandare a casa questi signori asserragliati nel palazzo a Roma».
Si vota in Umbria, il 27 ottobre, ma i risultati peseranno a Roma. Il centrodestra farà, il 17 a Perugia, le prove generali della manifestazione di piazza San Giovanni di due giorni dopo. In corso Vannucci ci saranno gli stessi big previsti all'adunata capitolina: Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, uniti per sostenere Donatella Tesei. Se questo fronte è compatto, le cose vanno diversamente sull'altra sponda. Il civico Vincenzo Bianconi (sempre inseguito dal possibile conflitto d'interessi, qualora fosse eletto a capo della Regione, per via dei contributi che la sua famiglia ha ricevuto per la ricostruzione post sisma e per altri che ha già richiesto) si trova a dover mediare nelle liti intestine di Pd e M5s. I pentastellati in Umbria stanno vivendo una delle stagioni in assoluto più difficili. Già a corto di consensi - alle europee sono rimasti sotto il 15% - devono fronteggiare un montante dissenso interno, esploso questo weekend alla kermesse di Napoli per il decennale del Movimento. Luigi Di Maio si è trovato faccia a faccia con una delegazione umbra che gli ha posto - in sostanza - questo quesito: che dobbiamo fare col Pd? I candidati si lamentano, perché la gente li apostrofa come voltagabbana. Di Maio nel suo discorso napoletano ha chiosato: «Molti nostri candidati dell'Umbria mi hanno detto che non possono più parlare male del Pd. E io rispondo: puoi anche farlo, ma sei sicuro che serva ancora parlare male degli altri? Noi dobbiamo raccontare quale Italia vogliamo e se vinciamo in Umbria l'avremo liberata dai partiti». Si dà il caso che tra le cose che vuole fare ci sia anche «una seria legge sul conflitto d'interessi». Di Maio non deve essere stato avvertito che un conflitto d'interessi pende proprio sul suo candidato, Vincenzo Bianconi, il quale - se eletto - sarebbe sia controllore (in quanto governatore) sia controllato (in quanto percettore di contributi). La consigliera regionale pentastellata umbra Maria Grazia Carbonari (in lizza per un nuovo mandato) ha scosso la base elettorale: «Per sanare quel conflitto c'è solo una strada: un decreto ad personam». Forse è questa la legge a cui pensa Di Maio? È bastato questo sospetto per far sì che la Carbonari - è lei che ha innescato lo scandalo della sanità che ha travolto il Pd e la vecchia giunta regionale umbra - si lanciasse in un nuovo affondo contro i dem. Stavolta il bersaglio è la Ferrovia centrale umbra, che secondo la Carbonari è stata abbandonata per il malgoverno della Regione, incarnato da Fabio Paparelli - attuale facente funzione di presidente - ternano e quindi alle prese con la crisi gravissima del Pd nella sua città, ricandidato insieme con i consiglieri dem uscenti Donatella Porzi (presidente del consiglio regionale), Giacomo Leonelli e Marco Guasticchi. La Carbonari resta convinta che il M5s, sull'accordo col Pd, si giochi la faccia: i candidati hanno una gran voglia di chiarire che loro sono una cosa e i democratici un'altra e lei incarna questo dissenso rispetto alla linea tracciata dai vertici nazionali grillini. Alle posizioni e all'azione della Carbonari come «cane da guardia del Pd» si è riferita Patrizia Braghiroli, portavoce del M5s nonché militante della prima ora e consigliera municipale a Terni, la quale ha lasciato Movimento e gruppo con un'accusa precisa: «Esco dal M5s che è diventato un partito politico a tutti gli effetti. Prendono in giro sé stessi e gli elettori».
Sul tema delle alleanze e del candidato, anche nel Pd continua una lotta durissima. Ieri Giorgio Raggi - ex capo della potentissima Coop centro Italia, che aveva espresso contrarietà a Bianconi - ha incalzato, dalle colonne del Corriere dell'Umbria, il commissario regionale del Pd umbro, Walter Verini, incaricato dal leader Nicola Zingaretti dopo l'arresto del segretario Gianpiero Bocci a seguito dello scandalo della sanità. Raggi ha rincarato: «Non c'è una sinistra, il problema non è cosa ho dietro io e che non vedo nulla davanti a me». A prendere le distanze dal suo predecessore è intervenuto l'attuale capo di Coop centro Italia - che continua ad avere una situazione di bilancio delicata - Antonio Bomarsi: «Raggi parla a titolo personale, noi stiamo con chi difende i valori della Costituzione». Per ora non si è sentita la voce della perugina Anna Ascani, viceministro al Miur, che però aveva già detto: «L'alleanza con il M5s non può diventare un automatismo». Questo resta un nervo scoperto. Walter Verini per blindarsi ha commissariato la federazione ternana ripescando il «trombato» Carlo Rossi, ma proprio da Terni è partita un'offensiva che mira a chiedere a Nicola Zingaretti la testa di Verini. Questi si difende affermando - anche in risposta alle durissime critiche di Raggi - che «la scelta di Bianconi, proprio perché ha avuto anche simpatie di centrodestra, è un nostro merito: segnala l'apertura che il Pd ha fatto». Un'apertura che non convince un altro big delle coop, Sandro Corsi, e che probabilmente le grandi escluse dalle elezioni Catiuscia Marini e Fernanda Cecchini - ex presidente ed ex assessore regionale, finora in rigoroso silenzio - sono pronte a far pagare a Verini anche prima della (probabile) sconfitta ai seggi.
- Giovedì prossimo il Family day fa tappa a Perugia, in piazza anche Matteo Salvini e gli altri leader del centrodestra. Però i prelati della regione, paradossalmente, sono schierati sulla sponda opposta ai credenti: pur di osteggiare la Lega, vanno a sinistra.
- Il M5s sconfessa sé stesso e per salvare Vincenzo Bianconi studia una legge su misura. Il candidato rischia l'incompatibilità, perché la famiglia attinge ai fondi post sisma. La soluzione grillina? Riscrivere la norma.
Su, dategliene atto. Almeno stavolta. Se c'è uno che ha sepolto l'anticomunismo clericale quello è Matteo Salvini. Prima i preti di campagna guardavano in cagnesco i compagni e i loro eredi. Adesso c'è il leader leghista. Un novello Peppone, senza baffi e d'opposte simpatie politiche. Per chierichetti, curati e cardinali Matteo è il diavolo. Anti migranti, cattivista, sempre con il crocifisso in mano… Vade retro. I fedeli guardino altrove, e pongano la loro crocetta il più lontano possibile. A partire dalla verdeggiante Umbria, dove il 27 ottobre si elegge il prossimo governatore. L'Ohio d'Italia, la chiamano. Perché l'esito potrebbe determinare gli assetti nazionali, dopo la scossa estiva e la rinascita del governo. Ed è pure la prima prova sul campo dell'alleanza tra Pd e M5s. Mentre Salvini medita vendetta, visto lo scorno agostano.
Voto strategico, quindi. Così tanto da aver convinto le gerarchie ecclesiastiche a non tirarsi indietro: giallorossi, senza se e senza ma. Meglio mantenere intatto l'esistente: quel groviglio di potere che governa la regione da 70 anni. Il centrodestra, di converso, può invece contare sull'appoggio del Family day. Il 17 ottobre a Perugia sarà presentato agli aspiranti presidenti un «manifesto valoriale», di chiara impronta cristiana, da sottoscrivere. Arriveranno i leader del centro destra: Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Insomma, da una parte la Chiesa, disposta persino a digerire l'asse tra democratici e grillini. Dall'altra, i cattolici e le associazioni pro vita e famiglia, che s'allontanano dai giallorossi a passi lunghi e ben distesi. Morale: il voto umbro non è solo una battaglia politica. Ma è diventata anche una singolar tenzone tra Chiesa e i fedeli.
Del resto, le intenzioni del clero sono sempre state manifeste. L'Umbria è la terra di San Francesco. E, più modestamente, anche del presidente della Conferenza episcopale italiana: il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia. La diocesi, in questa tornata elettorale, non s'era di certo tirata indietro. Il primo candidato del Pd è stato Andrea Fora, contiguo e cattolicissimo. Ma viene scartato dai grillini. Avanti un'altra: è Francesca Di Maolo, presidente del Serafico, l'istituto di Assisi che si occupa di assistenza a bambini malati. A sponsorizzarla sarebbe nientemeno che Bassetti. Ma lei alla fine desiste. Ecco quindi arrivare Vincenzo Bianconi, albergatore pacato e spirituale. È lui il prescelto. Certo, è un imprenditore, mica un frate svestito. Ma nei suoi incontri non dimentica le radici. Eccone un assaggio: «Pace, cura degli altri e del creato, accoglienza, fraternità, solidarietà. Gli insegnamenti di Francesco sono l'identità della nostra meravigliosa terra e i valori su cui s'intrecciano le nostre comunità». Meno misericordioso è Nicola Zingaretti, segretario del Pd. Dal palco di Perugia, ha tuonato: «Questa è la terra della pace e di San Francesco e non sarà mai la terra dell'odio e della Lega». Mentre il leader alleato, Luigi Di Maio, e il premier Giuseppe Conte, non hanno mancato di partecipare alle celebrazioni del patrono d'Italia ad Assisi.
Al loro fianco ci schierano dunque Chiesa, Cei, francescani e ortodossi. Bisogna fermare l'anticristiano che brandisce il rosario e attacca gli immigrati. L'Umbria deve restare terra accogliente e solidale. Il verbo corre dalle città alle vallate: Salvini è il demonio. E la Sanitopoli che ha terremotato la governatrice uscente, Catiuscia Marini? Peccatucci. E il sistema di potere che, dal Pci al Pd, avviluppa la regione da decenni? Tutto espiato. L'importante è tener a debita distanza il vichingo lombardo. L'Umbria è la regione dei santi: Francesco, Rita, Chiara e Benedetto. Mica si possono ripudiare millenni di misericordia? Peccato che i sondaggi diano in testa la senatrice leghista Donatella Tesei, candidata del centrodestra. E giovedì prossimo è previsto a Perugia il Family day, con il suo leader Massimo Gandolfini. Piazze contro sacrestie, famiglie contro gerarchie, cattolici contro (alcuni) sacerdoti. Il gregge seguirà i messia giallorossi o i dioscuri sovranisti?
Le schermaglie tra il leghista e i prelati erano già cominciate lo scorso maggio. Quando il Capitano, in piazza Duomo a Milano, mostra il rosario e invoca la protezione dei santi. Quanta inopportuna blasfemia… Le gerarchie ecclesiastiche si rivoltano. E interviene pure Bassetti: «Non si vive di ricordi, di richiami a tradizioni e simboli religiosi». Salvo poi negare, due giorni più tardi, ogni ingerenza: «Non è nel mio stile, nel mio temperamento, nel mio modo di pensare».
Un terribile fraintendimento. Ma qualche mese dopo, all'inizio di agosto, il presidente della Cei riaffonda: i cattolici non devono «mettersi in fila dietro i pifferai magici di turno». E a chi si riferiva mai il sibillino cardinale? Proprio al pifferaio che adesso zufola nella sua Umbria, con frotte di fedeli al seguito.
Il M5s sconfessa sé stesso e per salvare Bianconi studia una legge su misura
Chi se lo sarebbe mai aspettato che i grillini, che esordirono con i Vaffa day, 10 anni dopo proponessero addirittura una legge ad personam per sostenere il «loro» candidato presidente dell'Umbria? Anche i duri e puri hanno capito che, a Perugia e dintorni, il M5s si gioca una parte rilevante del futuro nonché la sopravvivenza del governo di Giuseppe Conte. Mentre Luigi Di Maio - a Napoli all'adunata celebrativa pentastellata - deve contrastare un' agguerrita contestazione da parte dei suoi, in Umbria volano gli stracci con inversioni a «U» e clamorose dimissioni. Terni è una polveriera, l'epicentro della contestazione - sia nel Pd sia nel M5s - per la scelta di Bianconi. Per i dem c'è un'altra grana. Il commissario regionale del partito Walter Verini, sotto accusa per la scelta di Bianconi, ha chiesto il commissariamento della federazione di Terni. Lì il Pd è andato in frantumi dopo che il 30 settembre il segretario, Paolo Silveri, ha sbattuto la porta. Ieri si è saputo che Silveri ha lasciato perché il Pd ha «candidato Bianconi, che ha un conflitto d'interessi irrisolto come imprenditore che partecipa a bandi pubblici». La scelta del capo degli albergatori umbri (a Norcia la sua famiglia possiede ben cinque strutture) come antagonista della senatrice indipendente della Lega Donatella Tesei, divide anche il M5s. Sempre da Terni è partita una nuova offensiva: la consigliera comunale e portavoce grillina Patrizia Braghiroli - una della prima ora - ha lasciato gruppo e Movimento con una motivazione che non ammette repliche: «Mi sono sentita tradita. Non si sono accorti che nella lista del Pd c'è tutto il vecchio sistema?». Contro quel sistema si era battuta molto la consigliera regionale uscente - ricandidata - Maria Grazia Carbonari. È stata lei a dare il via allo scandalo della sanità che ha portato agli arresti dell'ex segretario regionale del Pd, Gianpiero Bocci; dell'assessore alla Sanità Luca Barberini (per i quali, con altri otto, ieri il pm Mario Formisano ha chiesto il rinvio a giudizio) e alle dimissioni della governatrice Catiuscia Marini. Ebbene la Carbonari ha mandato giù il boccone, molto amaro, dell'alleanza elettorale col Pd e oggi è costretta a dire: «È vero, sul capo di Bianconi per via dei contributi post terremoto pende un grave indizio di incompatibilità e di conflitto d' interessi. Se fosse eletto, per evitare questo conflitto d'interessi dovrà chiedere una modifica del decreto terremoto. Sarebbe a posto. Non ci sono altre strade, serve un decreto ad hoc». Il M5s - teoricamente - aborrisce le leggi ad personam. Ma, se serve, è pronto a fare eccezioni. Tutto parte dai contributi sul terremoto chiesti e ricevuti dalla famiglia Bianconi per ristrutturare gli alberghi di Norcia danneggiati dal sisma del 2016. A seguito di un'interpellanza della lista del Pd al sindaco di Norcia - Nicola Alemanno di Forza Italia, eletto con il sostegno convinto e forte di Bianconi - riguardo la destinazione dei fondi per la ricostruzione delle strutture alberghiere, si è scoperto che i Bianconi, i più importanti albergatori della zona, hanno avuto 6 milioni: l'80% di quelli destinati a Norcia. Non solo, hanno avuto anche 2,4 milioni di appalti per le mense e 200.000 euro per il trasporto locale. Tutto raccontato dal Corriere dell'Umbria, poi duramente attaccato dal Pd per aver fatto della cronaca. Bianconi si è difeso dicendo - come in effetti è - che quei contributi sono del tutto legittimi e che comunque, in caso di elezione a presidente, delegherebbe ad altri le pratiche della ricostruzione post sisma. Ma seguendo questo filo La Verità ha scoperto che il decreto 189 del 10 ottobre 2016 non consente al presidente della Regione di delegare ad altri le pratiche post sisma. Vincenzo Bianconi tre giorni fa, peraltro, ha annunciato che la sua famiglia ha chiesto altri 15 milioni, mentre a Norcia alcuni operatori economici cominciano a chiedere conto del perché lui abbia avuto tanti contributi e così in fretta. Se fosse eletto, Bianconi erogherebbe - in parole povere - fondi a sé stesso. Ma la legge 154 del 1981, proprio in forza di quei contributi, rende Bianconi ineleggibile. Da qui l'idea della consigliera pentastellata: salvare l'alleato con un decreto ad personam.
Tra il bene pubblico e i beni di famiglia cosa sceglierà Vincenzo Bianconi se venisse eletto presidente della Regione Umbria? La faccenda dei contributi per la ristrutturazione dei suoi alberghi a Norcia si complica. In capo a Bianconi, per una previsione di legge, potrebbe esserci un'incompatibilità de facto tra la carica di presidente della Regione e la figura di percettore, assolutamente legittimato a farlo, di contributi per il terremoto.
Così assistiamo a un involontario vaudeville scritto a più mani dal Partito democratico e dal Movimento 5 stelle.
Riepiloghiamo. Vincenzo Bianconi , presidente di Federalberghi Umbria, appartenente a una famiglia di imprenditori dell'ospitalità di Norcia, noti per essere da sempre di centrodestra - il padre Carlo è stato uno dei grandi elettori della Democrazia cristiana di destra - è la quarta scelta dell'accrocchio Pd-pentastellati per sbarrare la strada a Donatela Tesei, senatrice indipendente della Lega, candidato unico del centrodestra e in vantaggio nei sondaggi.
Però, nessuno da Roma ha avvertito il Pd di Norcia, che contro Bianconi ha presentato un'interpellanza per sapere che fine avevano fatto i fondi destinati alla ristrutturazione post terremoto. Il sindaco di Norcia Nicola Alemanno, di Forza Italia e molto sostenuto dall'amico Vincenzo, ha chiarito che i Bianconi hanno avuto l'80% dei fondi destinati a Norcia per il settore ricettivo per un valore di circa 6 milioni di euro. Inoltre hanno avuto l'appalto delle mense per gli sfollati per 2,4 milioni di euro in due anni e quello degli scuolabus per altri 200.000 euro. Lo ha scritto il Corriere dell'Umbria.
Vincenzo Bianconi in una conferenza stampa ha tuonato: «Quelli non sono fondi, sono contributi. È chiaro che un'azienda come la nostra che ha tanti alberghi ha avuto tanti danni e dunque più soldi. Ma non siamo i soli. Le mense le abbiamo fornite perché nessuno voleva farlo e per non licenziare i nostri dipendenti, il servizio di trasporto lo abbiamo assicurato rimettendoci. Io ho detto a mio padre: “basta perder soldi". Ma lui ha insistito: “non possiamo abbandonare la nostra gente"».
Bianconi si è tolto un sassolino dalla scarpa: hanno scritto merda. E ha aggiunto: «Se sarò eletto presidente non mi occuperò del terremoto, delegherò a una persona di fiducia».
E qui il copione prevede il coup de théâtre. Perché per legge Bianconi, se venisse eletto presidente, non potrebbe delegare a nessuno l'incombenza sul terremoto e si troverebbe in un mastodontico conflitto d'interesse. Strano che il Pd non lo sappia visto che i quattro governatori delle Regioni colpite, tutti piddini, appena insediato il governo gialloverde - che ha nominato commissario straordinario al terremoto il professor Piero Farabollini al posto di Paola De Micheli, ora ministro delle Infrastrutture - hanno strillato come aquile perché la riformulazione del decreto sulla ricostruzione toglieva loro un po' di potere.
Ma Bianconi non lo sa. Non sa che il decreto 189 del 10 ottobre 2016, anche con le successive modifiche, stabilisce al comma 5 dell'articolo uno che i presidenti delle Regioni sono vicecommissari al terremoto. Al comma 6 dell'articolo uno si sancisce che in ogni Regione c'è un comitato che valuta gli interventi che è presieduto dal presidente di Regione. Nel successivo articolo 2 comma 1 lettere C e D c'è scritto che i vicecommissari (cioè i presidenti di Regione) «sovraintendono agli interventi relativi alle opere pubbliche e ai beni culturali di competenza delle Regioni; sono responsabili dei procedimenti relativi alla concessione dei contributi per gli interventi di ricostruzione e riparazione degli immobili privati». Come dire che Vincenzo Bianconi se eletto presidente della regione Umbria sarebbe chiamato a decidere a chi dare o a chi negare i soldi della ricostruzione: a sé stesso o ai suoi concorrenti. E la legge è chiara: non può delegare questa funzione a nessun altro. Il motivo è semplice perché i presidenti di Regione agiscono già come vice del Commissario. Catiuscia Marini, prima di essere costretta alle dimissioni da presidente dell'Umbria a seguito dello scandalo sulla sanità acceso dal Movimento 5 stelle oggi alleato del Pd, aveva minacciato di ricorrere ala Corte Costituzionale per non perdere questo potere.
Dunque Vincenzo Bianconi o rinuncia alla candidatura o rinuncia ai contributi che ha ricevuto per i suoi alberghi, peraltro perfettamente legittimi. E pensare che il sindaco di Norcia Alemanno si è addirittura scusato con l'amico per aver dovuto diffondere quelle notizie: «Mi ci ha costretto il Pd che ti voleva colpire», gli ha mandato a dire. La commedia è servita, ma non è finita. Perché Vincenzo Bianconi nella sua conferenza ha fatto sapere di aver comprato all'asta un altro albergo. Da una parte ha lamentato di aver dimezzato causa terremoto il fatturato della ditta (da 6 a 3 milioni) dall'altra però si è portato a casa l'hotel Della Torre a Trevi.
La base d'asta era 2,4 milioni, ma pare che il tre stelle con piscina sia venuto via per la metà. Anche lì tutto regolare, ma non è un bel vedere che il presidente di Federalberghi sfili la proprietà di un'azienda che ha subito di un fallimento. Ma nel business conta tutto. Anche piangere sul fatto che con gli appalti delle mense avuti a Norcia non ci ha guadagnato. Qualcuno ha fatto i conti. La sua Sporting Hotel Salicone per i servizi mensa ha ricevuto un primo appalto per 159.000 euro. A Montefalco, che è il comune dove era sindaco fino a qualche mese fa Donatela Tesei - la candidata presidente del Centrodestra - e che ha quasi 2.000 abitanti in più, quel servizio costa 45.000 euro. Bianconi di certo avrà una spiegazione. Per saperlo basta aspettare la prossima interpellanza del Pd di Norcia.







