Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
La confisca degli asset congelati è il sogno proibito dell’Unione. Von der Leyen conta di realizzarlo «nel rispetto delle norme delle giurisdizioni competenti e nel rispetto del diritto europeo e internazionale». L’idea è di sbloccare 140 miliardi facenti capo alla Banca centrale russa e impiegarli per un «prestito di riparazione», che finalmente sgraverebbe i cittadini Ue dal peso di tenere in piedi la resistenza ucraina. La somma diventerebbe rimborsabile solo se, con l’accordo di pace, gli aggressori accettassero di compensare i danni di guerra da loro provocati.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il rischio di compromettere l’attrattività del continente per i capitali stranieri, di esporsi a una valanga di ricorsi e di essere sottoposti a pesanti ritorsioni da parte della Federazione di Vladimir Putin. E infatti Bart De Wever, il belga che guida la nazione in cui ha sede la società Euronext, detentrice delle quote, si oppone. Se n’è accorta persino Kaja Kallas: «Il Belgio sta davvero rappresentando gli interessi del Belgio», ha commentato la signora Lapalisse di Tallin, benché tuttora convinta che attingere dalle risorse sequestrate sia «il modo più chiaro» per supportare Kiev. Bruxelles, ha aggiunto, «sta esprimendo preoccupazioni che sono molto legittime» e gli Stati membri dell’Ue sono disposti a «mitigare i rischi», a «condividerli». In pratica, a mettere le terga di tutti davanti ai calci dello zar. Al quale, secondo l’Alto rappresentante per la politica estera, si dovrebbe imporre addirittura di «limitare l’esercito e anche il suo bilancio militare». Vasto programma. E se dovesse fallire? Niente paura. In Europa pensano proprio a tutto. Hanno già il «piano B».
Stando alle indiscrezioni di Politico, che ha interpellato quattro funzionari, qualora la matassa degli asset non dovesse sbrogliarsi e non si raggiungesse un’intesa «sul sequestro dei beni congelati della Russia per finanziare lo sforzo bellico di Kiev», si provvederà a rimpinguare le casse vuote di Zelensky con «una soluzione ponte di emergenza». A spese di chi? Dei contribuenti europei, ça va sans dire. Quelli che, a sentire Ursula, è «inaccettabile» far svenare ancora per l’Ucraina. E invece, nei primi mesi del 2026, Bruxelles provvederebbe a erogare il denaro così vitale per l’alleato alle corde, in attesa che quei malfidati dei belgi si lascino convincere dalla Kallas e dalla Von der Leyen. Toccherebbe persuadere pure Budapest, a essere sinceri: ieri, l’entourage di Viktor Orbán ha comunicato che «non sosterrà questa iniziativa», per evitare «gravi danni alle aziende europee».
I postumi della tangentopoli ucraina, comunque, suggerirebbero una lieve modifica allo schema delle liberali donazioni seguito finora. Verrebbe introdotta una clausola: Kiev dovrebbe restituire la cifra anticipata, allorché il mitologico prestito di riparazione, ottenuto con i beni di Mosca, le avrà dato un po’ di ossigeno. A posto: i nostri quattrini sono al sicuro.
Nel frattempo, l’Unione inizia ad avvertire i primi sintomi della sindrome da accerchiamento. È stata di nuovo Ursula a manifestare i timori del Vecchio continente: che la fine del conflitto, per la Russia, sia solo l’inizio di un gioco «molto più grande», il cui scopo è ripristinare le «sfere d’influenza». Presumibilmente, in combutta con gli Usa. Ecco perché l’Europa, intenzionata a confermare le sanzioni, come richiesto da Zelensky alla presidente della Commissione, considera strategico mantenere l’Ucraina in armi, con 800.000 effettivi nell’esercito. Per le stesse ragioni, preferirebbe evitare di precluderle per Costituzione l’ingresso nella Nato.
È l’ottica esattamente speculare a quella di Putin: l’obiettivo è creare uno Stato cuscinetto e impedire che cada nelle grinfie del nemico. La pace «giusta», a stringere, è quella che non ci condanna alla politica di impotenza.






