2023-05-15
Le armi a Kiev già costate 13 miliardi
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il Papa all’Angelus prega per gli ucraini ma non cita nemmeno Volodymyr Zelensky che alla mediazione ha riservato una risposta freddina. Intanto a Bruxelles ci si muove per la plenaria che garantirà un milione di munizioni e altre dotazioni: le spese saliranno ancora.A questo punto, forse, non ci resta che pregare, come ha fatto ieri il Papa all’Angelus, rivolgendosi alla Madonna affinché possa «alleviare le sofferenze della martoriata Ucraina e di tutte le nazioni ferite da guerre e violenze». Sarà pure vero ciò che ha scritto il politologo Charles Kupchan, citato ieri da Maurizio Molinari, e cioè che «si avvicina il momento in cui Joe Biden chiederà a Emmanuel Macron e Olaf Scholz chi deve telefonare a Volodymyr Zelensky per dirgli che è l’ora di trattare». Ma per ora agli atti c’è la risposta freddina del presidente ucraino all’offerta di mediazione per la pace avanzata da Francesco: «Con tutto il rispetto per il Papa la questione è che non abbiamo bisogno di mediatori fra l’Ucraina e l’aggressore che ha occupato i nostri territori». Come a dire: grazie, però tiriamo dritti sulla nostra linea. E la linea, ovviamente, consiste nel continuare la guerra «fino alla vittoria». Eppure di una via di uscita - o di un piano di pace, ditela come volete - c’è bisogno eccome, e prima di tutti ne ha bisogno l’Europa, cosa di cui anche Giorgia Meloni non è certo inconsapevole (lo abbiamo raccontato ieri, dando conto delle sotterranee convergenze sul tentativo di mediazione della Santa Sede). Finora, infatti, il Vecchio Continente non ha pagato in termini di vittime sul campo, ma lo ha fatto eccome dal punto di vista economico. Il conto da saldare per la sola fornitura di armi a Kiev è imbarazzante: 13 miliardi finora, ed è una stima al ribasso poiché entro la fine dell’anno la spesa per gli Stati membri potrebbe raggiungere i 20 miliardi (gli aiuti umanitari sono ovviamente esclusi). Il calcolo lo ha fatto qualche giorno fa l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, rispondendo a una interrogazione all’Europarlamento. Il calcolo comprende le risorse messe a disposizione dallo Strumento europeo per la pace (Epf), che ammontano a 3,6 miliardi, e i contributi forniti dai singoli Stati membri. Giusto per fare un esempio: la Germania ha appena fatto sapere che donerà all’Ucraina altri 20 veicoli corazzati da combattimento di tipo Marder, 30 carri armati Leopard-1 e 4 sistemi di difesa aerea Iris-T-Slm. Per questa fornitura i tedeschi spenderanno 2,7 miliardi di euro di armi e munizioni, un macabro record. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha voluto precisare che la sua nazione offrirà «tutto l’aiuto possibile, per tutto il tempo necessario, per tutto il tempo che ci vorrà». Se i tedeschi non si tirano indietro, anche le istituzioni europee rilanciano. Al bilancio tracciato finora c’è infatti da aggiungere la partita sulle munizioni. Sabato è stato lo stesso Borrell a dichiarare che «nella zona di Bakhmut, dove continuano i combattimenti, l’Ucraina ha bisogno di 1.000 munizioni di artiglieria al giorno. Questo per avere un’idea dell’intensità dei combattimenti e la potenza di fuoco della Russia». Secondo alcune stime, in totale gli ucraini utilizzano 7.000 munizioni al giorno, due milioni e mezzo l’anno (i russi pare ne sparino dieci volte di più). Ciò significa che l’Ue dovrà velocizzare le procedure per fornire a Kiev quanto chiede. Il 31 maggio, alla plenaria del Parlamento di Strasburgo, si voterà in procedura d’urgenza il provvedimento con cui si darà via alla produzione di un milione di munizioni l’anno sul territorio europeo, soprattutto proiettili per cannoni e obici. Si tratta di una misura contenuta nell’Asap, ovvero l’Atto per il sostegno della produzione di munizioni, presentato la settimana scorsa dal commissario europeo all’Industria e al Mercato interno, Thierry Breton. Verranno stanziati 500 milioni dal bilancio comunitario (secondo le agenzie di stampa parliamo di 260 milioni di euro dal fondo europeo per la Difesa e 240 milioni dal regolamento che istituisce il rafforzamento dell’industria europea della difesa in materia di appalti pubblici) per coprire il periodo che va da qui al giugno del 2025. Come vedete, i tempi continuano ad allungarsi, e la fine del conflitto sembra ancora piuttosto lontana. Nei giorni scorsi, due esperti americani di un certo rilievo - Michael Kofman e Rob Lee - hanno pubblicato su Foreign affairs un articolo non troppo gravido di speranze sulla «controffensiva di primavera» con cui gli ucraini dovrebbero riprendere terreno. «I politici hanno posto un’enfasi eccessiva sull’imminente offensiva senza tenere in sufficiente considerazione ciò che verrà dopo», hanno scritto. «Anche nella migliore delle ipotesi, è improbabile che questa offensiva imminente metta fine al conflitto. In effetti, ciò che seguirà questa operazione potrebbe essere un altro periodo di combattimenti e logoramento indeterminati, ma con consegne di munizioni ridotte all’Ucraina. Questa è già un lunga guerra, ed è probabile che si protragga. La storia è una guida imperfetta, ma suggerisce che le guerre che durano per più di un anno probabilmente continueranno per almeno molti altri e sono estremamente difficili da far finire». Secondo i due strateghi, dunque, l’Occidente deve ragionare su «una situazione in cui la guerra si trascina, ma in cui i Paesi occidentali non sono in grado di fornire all’Ucraina un vantaggio decisivo». Abbiamo speso miliardi, ma potrebbero non essere sufficienti. A quanto risulta, però, in Europa e in Italia si fatica ancora a comprendere quanto complesso e rischioso sia il quadro. Ancora ieri molti giornali sembravano galvanizzati dalla risposta ruvida di Zelensky al Papa: il fervore bellicista non si è attenuato, e chi parla di pace viene ancora guardato con sospetto. Davvero, forse, non resta che pregare.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci