2025-11-27
Disimpegno dallo yen e panico rupia. Fondi valutari, c’è il rischio cambio
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.Per anni il Giappone è stato il cuore dello «yen carry trade»: ci si finanziava in yen a costo quasi nullo per comprare asset più redditizi in dollari o euro, incassando lo spread di «carry» in un vero «periodo d’oro» fra il 2015 e il 2020. Oggi, però, l’aumento, anche se da livelli bassi, dei tassi reali giapponesi e i timori su un debito/Pil oltre il 250% stanno facendo scricchiolare il meccanismo. La corsa al disimpegno pesa sui mercati globali: «La chiusura di queste operazioni richiede la liquidazione degli asset acquistati con la valuta presa in prestito. Questo significa che gli asset rischiosi devono essere venduti per uscire dal «carry trade» (la pratica speculativa consistente nel prendere a prestito del denaro in Paesi con tassi di interesse più bassi, per cambiarlo in valuta di Paesi con un rendimento degli investimenti maggiore, ndr), esacerbando le tensioni sui mercati globali se impostati con questo approccio molto speculativo», spiega Salvatore Gaziano di SoldiExpert Scf.Sul fronte emergente, la rupia indiana ha toccato minimi storici verso dollaro ed euro dopo che la Banca centrale ha smesso di difendere il cambio, scatenando il panico in un contesto già fragile per via dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti. È oggi la peggiore valuta asiatica dell’anno e questo si riflette immediatamente sulla performance dei fondi India per l’investitore europeo: spesso la componente valutaria conta più della selezione dei titoli in portafoglio.«Nel 2026 i cambi, oggi su livelli estremi, saranno guidati da geopolitica, dazi e acquisti d’oro. Focus, dunque su yen, dollari australiano/neozelandese e canadese, sterlina e franco svizzero», spiega Saverio Berlinzani, capo analista di ActivTrades.La lezione per l’investitore europeo è chiara: su fondi obbligazionari e monetari in valuta extra-euro la performance Ytd è spesso spiegata più dal cambio che dai sottostanti. «Questo dimostra in modo lampante che l’investitore deve considerare sempre il rischio cambio come una componente fondamentale del proprio portafoglio internazionale, sia nell’azionario sia nell’obbligazionario», ricorda ancora Gaziano. In pratica, ignorare la gamba valutaria equivale a fare metà dell’analisi e sovrastimare la diversificazione reale del portafoglio.Per mitigare queste oscillazioni esistono versioni «coperte» (o hedged) di fondi ed Etf, che tramite derivati sterilizzano il rischio cambio. La protezione, però, non è gratuita: il costo medio, attorno al 2% annuo, erode il rendimento e fa rinunciare ai benefici in caso di movimento valutario favorevole. La copertura non è perfetta e va valutata su orizzonti temporali coerenti con l’obiettivo dell’investitore.
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