Mentre l’Europa dibatte di Ucraina, schiacciata tra Usa e Russia, e si dibatte nel tentativo di trovare fondi per riarmarsi nel perimetro dell’Alleanza atlantica, la Nato sta già prendendo nuova forma e imboccando nuove strade. È l’effetto di un’America mossa da Donald Trump e ancor più proiettata verso il Sud globale e il Pacifico. Due elementi sono utili per comprendere l’evoluzione in atto.
Il primo riguarda lo storico e inaspettato accordo di pace tra Azerbaigian e Armenia. A inizio agosto il presidente americano ha annunciato che le due nazioni da secoli contrapposte (basti ricordare il genocidio subito dagli armeni) si sono incontrate a Washington e hanno definito un cessate il fuoco e la creazione di un corridoio che si chiamerà Tripp, giusto per tenere vivo l’ego di The Donald. Tripp è infatti la sigla che sta per «Trump route for international peace and prosperity». La rotta sarà sviluppata sotto la supervisione degli Stati Uniti, che garantiranno il rispetto della sovranità armena. Si prevede la costruzione di una linea ferroviaria, un oleodotto, un gasdotto e una rete di fibra ottica. Baku avrà così un collegamento diretto con la Turchia senza dover passare né per la Russia né per l’Iran e rafforzerà il proprio ruolo come hub energetico e logistico globale. Yerevan invece avrà l’occasione di diversificare l’economia e attrarre investimenti, seppur mantenendo il pieno controllo giuridico sul territorio, forte delle garanzie di difesa e sicurezza fornite da Trump nel caso si riaccendessero ostilità azere. A poche ore dalla sua firma a Washington le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. La Turchia si è detta moderatamente soddisfatta. La Nato ha accolto «con favore i progressi verso la pace tra Armenia e Azerbaigian» come ha scritto su X la portavoce dell’Alleanza atlantica, Allison Hart. L’Iran ha inutilmente alzato la voce dichiarandosi sconcertato per la decisione presa. Ha compreso benissimo che questo accordo serve agli Usa a piazzare la Nato proprio sotto il naso di Teheran. Il tutto a poche settimane dal bombardamento israeliano e soprattutto di quello americano portato avanti con i B2. Gli iraniani sembrano aver compreso la portata della fuga in avanti della Nato molto più dell’Unione europea, che a parte le frasi di circostanza non ha aggiunto molto. Nemmeno dopo aver ascoltato le reazione dell’altro grande player dell’area: i russi.
Da Mosca sono giunte infatti parole piuttosto concilianti: «Il vertice di alto livello tra Armenia e Azerbaigian negli Stati Uniti merita una valutazione positiva», ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. «Sosteniamo costantemente tutti gli sforzi che contribuiscono al raggiungimento di questo obiettivo chiave per la sicurezza regionale. Ci auguriamo che questo passo contribuisca a far progredire l’agenda di pace», ha affermato la diplomatica bionda, pur sottolineando che il processo di riconciliazione tra Armenia e Azerbaigian «deve essere integrato nel contesto regionale». Lo stesso contesto dominato da Vladimir Putin fino a poco tempo fa. Appare chiaro che l’alleanza che si sta formando tra Cremlino e Casa Bianca prevede che l’Ucraina venga messa sullo stesso tavolo dell’Iran e del nuovo Patto di Abramo che, come abbiamo scritto più volte, ridisegnerà gli equilibri del Medio Oriente in chiave sunnita.
Gli accordi tra Israele, Usa e Arabia Saudita non possono stare in piedi senza un consenso russo e ciò alla fine prevederà uno spostamento degli interessi di una Nato (sempre a matrice americana) verso l’Oriente. Un Oriente che vede altre novità. E qui troviamo il secondo elemento utile a comprendere l’evoluzione in atto. Il Giappone ad esempio sta rafforzando i rapporti militari con l’Australia di cui è da poco divenuto fornitore di corvette e sta addirittura pensando di rompere il tabù dell’atomica. Immaginare Tokyo dotata del deterrente di testate nucleare significherebbe prendere atto del fatto che Aukus, l’accordo dei Paesi del Pacifico con Gran Bretagna e Usa, possa fare un importantissimo passo avanti in grado di consolidare il secolo asiatico. Di fronte a tali notizie, Bruxelles dovrebbe interrogarsi sul da farsi. E su come la storia si ripeta. Per gli Usa il lago Mediterraneo è sempre stato un luogo da presidiare come ponte da Est a Ovest, ma non un dominio da consolidare. Così è stato tra la prima e la seconda guerra mondiale e così l’approccio si sta ripetendo. Non solo però esclusivamente per il Mediterraneo, ma per l’intera Europa.
Abbiamo di fronte scelte complesse e pochi fondi per metterle a terra. La Nato potrebbe essere un nuovo luogo per trovare confini e competenze. L’Italia, ad esempio, potrebbe provare a guadagnarsi la sfida del fianco Sud, disinteressandosi di altri scacchieri. Pur nella consapevolezza di dove sta andando il globo.







