2023-02-24
Sul Mes Gentiloni si arrampica sugli specchi
Il commissario agli Affari economici balbetta sulle modifiche al patto di stabilità volute dall’Europa e conferma tra le righe che sarà sempre Bruxelles a decidere quale Paese «ribelle» bastonare. Il saldo strutturale resta la ghigliottina per l’Italia.«Sono le 7:30». Sarebbe questa la risposta appropriata qualora la domanda fosse stata «scusa mi dici che ore sono?». Decisamente surreale sarebbe invece l’effetto qualora la richiesta fosse stata «Ciao, come va?». È la sensazione avvertita - anche se non inaspettata - dall’eurodeputato Antonio Maria Rinaldi. Questi lo scorso 18 dicembre aveva presentato un’interrogazione prioritaria alla Commissione Ue concernente le modifiche al trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Cosa di cui abbiamo dato conto su La Verità del 19 dicembre. Rispetto ai canonici trenta giorni - quale termine per la risposta - il commissario agli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni se n’è presi 67. In compenso, è arrivata una sorta di moderna ma meno divertente supercazzola. Il tutto per evitare scomode risposte. Ma andiamo con ordine partendo da una premessa. L’accordo che modifica il Trattato istitutivo del Mes non risulta ancora in vigore in quanto non ratificato dal Parlamento italiano; l’unico fra i Paesi membri dell’eurozona. Si certo, ci sarebbe pure la neoentrata Croazia a non aver ancora detto sì. Ma è logico attendersi che la sua ratifica arriverà in tempi brevissimi. Viene infatti difficile immaginare che il nuovo membro alzi subito la voce impedendo l’entrata in vigore del trattato riformato. Al momento il ruolo di guastafeste lo sta quindi giocando il nostro Paese. Nel trattato riformato si specifica che per accedere alla linea di credito cosiddetta «precauzionale» (vale a dire quella che non richiede le riforme lacrime e sangue alla greca) occorra dimostrare, fra l’altro, il rispetto del cosiddetto «saldo strutturale»; in pratica un deficit pari al 3% del Pil. Ma non il Pil misurato da Eurostat bensì quello cosiddetto «strutturale». Quest’ultimo non è una rilevazione ma appunto una stima. E come potete ben immaginare: «esperto che vai, stima che trovi». Il Pil strutturale sarebbe cioè quel livello di reddito superato il quale i prezzi salgono oltre la soglia fisiologica del 2%. E questa stima la produce appunto la Commissione Ue. Anche il Fmi (ma anche l’Ocse), ad esempio, ne formula una sua. Ma chiunque si cimenti in questi calcoli astrusi arriva a conclusioni diverse. E questo non va bene. Primo, perché se il Pil che misura l’Istat fosse pari, ad esempio, a 1.800 miliardi il deficit consentito sarebbe pari a 54 miliardi. Il 3% di 1.800, appunto. Ma se gli «scienziati» di Bruxelles dicono che il Pil strutturale o potenziale è 1.700 miliardi, allora il deficit consentito sarebbe 51 miliardi (il 3% di 1.700) e non 54. Insomma, massima discrezionalità. Anzi arbitrarietà. Peraltro, le metodologie di stima sono spesso così astruse che se un Paese va incontro a pesanti recessioni il Pil strutturale per gli anni a venire diminuisce. La Commissione cioè ritiene che si perda per sempre quella capacità produttiva. Una vera e propria amputazione. Un meccanismo perverso che alimenta un circolo vizioso di politiche recessive. Lo scorso 9 novembre il commissario Paolo Gentiloni Silveri da Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino, insieme al vicepresidente Valdis Dombrovskis, avevano quindi presentato le linee guida che gli Stati membri discuteranno in seno al Consiglio europeo per la modifica del patto di stabilità e crescita. E fra queste vi era proprio l’eliminazione del cosiddetto saldo strutturale. È cioè la stessa Commissione Ue a ritenere questo criterio non sia più valido. E se il Parlamento ratificasse quindi il nuovo trattato, chi si trovasse costretto ad accedere al Mes dovrebbe sottostare alle vecchie regole. Si cristallizzano cioè regole che già sappiamo verranno cancellate su proposta di Bruxelles. Le due domande poste da Rinaldi alla Commissione erano quindi semplici e dirette. «Non ritiene che la riforma del trattato intergovernativo istitutivo del Meccanismo di stabilità prescriva parametri ormai obsoleti?». La domanda era ovviamente retorica e con una sola risposta obbligata: si! Ma l’argomentazione di Gentiloni è stata che finché le regole non cambiano «le relative procedure e metodologie non subiranno modifiche». Non lo avremmo mai detto! La seconda domanda formulata da Rinaldi chiedeva alla Commissione di esprimersi «se non sussista una palese incompatibilità fra i criteri di riforma del nuovo patto di stabilità e crescita che la Commissione stessa prossimamente modificherà tale da rendere oggettivamente inapplicabile il riformato Mes?». Pure qui il commissario non ha avuto il coraggio di dire sì; ma nemmeno no! Gentiloni ci spiega che Mes e Commissione condividono obiettivi comuni ma con compiti specifici. Quanto alla valutazione dell’ammissibilità alla linea di credito precauzionale «la Commissione europea e il Mes assumeranno il rispettivo ruolo in linea con il diritto dell’Unione europea, il presente trattato e gli orientamenti del Mes». Una non risposta che però di fatto chiarisce come alla fine ciò che rileverà sarà «l’orientamento» del Mes. Sarà a sua descrizione cioè decidere se un Paese in difficoltà - che però rispetta il nuovo Patto di stabilità (ma non quello vecchio che è ciò che valuta il Mes) - possa accedere alla linea di credito cosiddetta «precauzionale» (e quindi senza riforme lacrime e sangue) oppure «rafforzata» (per intendersi il Mes alla greca). Non rispondendo o comunque rispondendo fischi per fiaschi la Commissione lascia intendere che pur rispettando i nuovi parametri europei sarà il Mes a decidere se spezzare o meno i mignolini al Paese debitore. In altre parole, la legge si interpreterà per gli amici e si applicherà per i nemici. Con tanti cari saluti alla certezza del diritto.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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