2019-06-08
«I tossicomani vanno curati come malati neuropsichici. Stop al business comunità»
Giovanni Sepelloni, l'ex zar della lotta agli stupefacenti in Italia attacca il vecchio schema del trattamento «cronicizzante» a base di farmaci: «Serve solo al business delle comunità». I tossici «possono essere recuperati davvero».Buttiamo soldi pubblici per curare male i tossicodipendenti. Se recuperati bene, invece, i dipendenti dalle droghe possono guarire e tornare produttivi perché la loro è una malattia neuropsichica. Giovedì l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda) pubblicava nella Relazione europea sulla droga 2019 che «l'eroina è ancora l'oppiaceo illecito più comune sul mercato della droga in Europa e contribuisce in misura determinante ai costi sanitari e sociali legati alla droga». Serve un approccio diverso, come da tempo sostiene Giovanni Serpelloni, 65 anni, sette dei quali trascorsi a capo del dipartimento politiche antidroga della Presidenza del consiglio. Medico con una formazione nel management sanitario e delle neuroscienze delle dipendenze, lavora anche per il Drug policy institute dell'Università della Florida.La tossicodipendenza è conseguenza di una malattia del cervello?«Ci sono fattori genetici che all'interno dei sistemi neuropsichici possono creare condizioni di vulnerabilità alle sostanze. Significa che puoi essere più attratto a sperimentare gli effetti psicoattivi delle droghe. Chiamiamoli “malesseri", che un individuo cerca di compensare utilizzando eroina, cocaina, amfetamine o altro. Chiaro, ci sono anche persone che provano gli stupefacenti solo per avere nuovi stimoli, e ne diventano dipendenti. La disponibilità di droghe sul territorio dove vivi favorisce la tossicodipendenza, così pure la pericolosa normalizzazione del fenomeno: pensiamo a tutti i messaggi per far sembrare innocua la cannabis, che continua a essere la sostanza illecita più diffusa in Europa come conferma l'ultimo rapporto dell'Emcdda».Se c'è anche una predisposizione genetica, come si può evitare che un giovane faccia uso di droghe?«La condizione psicofisica di vulnerabilità può essere individuata tra i quattro e gli otto anni di età, tramite un approccio semplicemente educativo, quindi non farmacologico. Si può così evitare che un bambino vada a cacciarsi nei guai quando sarà più grande».Ma ci sono segnali che rivelano una maggior fragilità?«Chi soffre di disturbi comportamentali quali iperattività e deficit di attenzione avrà probabilità molto più elevate di sviluppare attrazione verso le sostanze stupefacenti. Si possono anche ricercare i geni responsabili di tratti comportamentali identificando fattori di vulnerabilità genetica, studi che negli Stati Uniti sono più accessibili che in Italia».In concreto, è possibile fare una prevenzione?«Certo, a tre livelli. Universale, dicendo a tutti che le droghe fanno male alla salute e alla tua realtà socio relazionale. C'è poi la prevenzione selettiva, necessaria per individuare il più precocemente possibile le persone a rischio, educando i familiari a riconoscere questa vulnerabilità con la semplice osservazione di deficit di attenzione o di comportamenti aggressivi e intervenendo con dei modelli educativi. A livello ambientale, è necessario mettere cartelli ovunque, come si fa con il fumo, che dicano che le droghe sono dannose. Lei li vede? No, neppure i ragazzi li vedono. Ultima prevenzione: rendere davvero sicuri i luoghi frequentati dai giovani, impedendo che le droghe entrino in scuole e discoteche».Chi è già è dipendente può guarire?«Si deve curare. Attenzione a non sottovalutare lo spinello o l'uso occasionale di sostanze, bisogna intervenire subito. Le persone che si rivolgono per la prima volta ai nostri servizi di tossicodipendenza, hanno mediamente 6-8 anni alle spalle di uso di droghe senza mai aver chiesto aiuto». Secondo l'ultima relazione al Parlamento, nel 2017 gli utenti in carico ai servizi pubblici erano 129.945, il 71,8% aveva tra 30 e 54 anni. Il 49,9% ha ricevuto prestazioni farmacologiche, una media di 179 per utente: in totale più di 11 milioni di dosi di metadone o di altro trattamento farmacologico sostitutivo. L'approccio è quello giusto?«Rispetto ai dati ufficiali, quelli che ne avrebbero bisogno sarebbero il doppio, ma non si rivolgono ai servizi per le tossicodipendenze, i Sert. I trattamenti dovrebbero essere personalizzati per risultare efficaci, considerando anche i problemi neuropsichici del soggetto, e la riabilitazione andrebbe fatta fin dal primo giorno, non dopo il ciclo di metadone. In Italia i servizi sono fermi a modelli di 30 anni fa, non si investe su prevenzione e cura, anche se gli operatori sono eroi che lavorano in condizioni miserevoli e pericolose, considerata l'aggressività di molti utenti. I giovani medici non ci vogliono lavorare». Sono numerosi gli extracomunitari droga dipendenti? «Nelle grandi città rappresentano anche il 45% di coloro che usufruiscono dei Sert. Spacciano, si drogano, chiedono il metadone, sfruttano il loro essere sotto trattamento se vengono arrestati».Quanto costa trattare il tossicodipendente da eroina in ambulatorio e qual è invece la spesa se entra in una comunità terapeutica?«Dai 5.000 ai 7.000 euro l'anno nel primo caso. Dai 20.000 ai 30.000 euro in comunità, le rette giornaliere variano da regione a regione. La durata dei trattamenti a termine, non quelli cronicizzanti, nei Sert va da 6 a 8 anni». La cronicizzazione da metadone non vanifica la politica sociale chiamata «riduzione del danno», cioè minore attività criminale e maggiore cura delle complicanze infettive?«Preferisco chiamarla prevenzione delle patologie correlate. La terapia è gratuita in Italia, ma i tossicodipendenti vanno curati come malati, con farmaci e supporti psicologici. Tenendo ben presente che sono guaribili, sempre. Altrimenti ci limitiamo a dare il metadone e cronicizziamo la persona, come spesso capita. O la teniamo in comunità a tempo indeterminato».Stanno aumentando gli eroinomani nel nostro Paese?«Dal 2000 sono in calo, così pure quelli che usano cocaina e amfetamine. Le morti per overdose da eroina sono diminuite in vent'anni del 70%. L'unico incremento pesante riguarda l'uso di cannabis e di Nps, le nuove droghe sintetiche. L'Osservatorio europeo è stato chiaro: “La cannabis è la sostanza più frequentemente indicata da chi si rivolge per la prima volta a un servizio specialistico di trattamento della tossicodipendenza"».Come spiega allora l'allarme eroina lanciato da molti? «C'è un business del recupero del tossicodipendente, così come accade con i centri di accoglienza dei migranti. Le comunità terapeutiche, a parte San Patrignano che non riceve soldi, si fanno pagare con rette giornaliere. Chi controlla se un tossicodipendente non viene trattenuto più a lungo del necessario? Avevo proposto modelli per verificare quanti vengono curati e in quanto tempo, quanti tornano a vivere e lavorare normalmente, ma questi indicatori del successo dei trattamenti sono pochissimo applicati».Per affrontare la dipendenza come malattia neuropsichica, quanto dovrebbe spendere il sistema sanitario? «Nel 2013 il dipartimento che dirigevo fece per il Parlamento l'analisi costi/benefici. Allora i tossicodipendenti erano 164.000, oggi sono meno, quindi quei calcoli possono essere ritenuti ancora attuali. Risultava che i costi sanitari per curarli ammontavano a 1,6 miliardi di euro. Monetizzando i benefici diretti, tra mancato introito della criminalità - non veniva più acquistata droga - e produzione di reddito dei soggetti riabilitati, la cifra risultava tra 6 e 9 miliardi di euro l'anno. Possiamo migliorarla aumentando la spesa socio sanitaria, considerando i tossicodipendenti risorse da riportare nella società. Investi due, avrai sei. Paghiamo di più in prevenzione e per riabilitarli, rendendoli autonomi e produttivi, ma facciamolo meglio. Controllando i risultati».
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