
Il presidente Usa auspica la linea dura sulla difesa dei confini e sulle restrizioni allo ius soli. Viene attaccato da chi dimentica che Herbert Hoover e Dwight Eisenhower usarono l'esercito sul suolo statunitense e che pure Barack Obama governò l'immigrazione a suon di decreti.La carovana dei migranti honduregni preme sempre di più sul confine meridionale degli Stati Uniti. E, non a caso, la questione dell'immigrazione clandestina è tornata da settimane al centro del dibattito politico americano. Il presidente, Donald Trump, auspica la linea dura. E, proprio per questo, ha annunciato di voler adottare una serie di provvedimenti con l'obiettivo di rafforzare i confini e bloccare i flussi. In particolare, sono due le scelte che hanno creato un autentico vespaio di polemiche: l'invio di quasi 6.000 soldati al confine meridionale e la proposta di una dura restrizione allo ius soli. Su entrambi questi fronti, l'inquilino della Casa Bianca è stato inondato da una pioggia di critiche, ritrovandosi inoltre accusato di agire incostituzionalmente. Vuoi per ignoranza della legge, vuoi per bieche mire dittatoriali, sull'emergenza della carovana Trump si sarebbe insomma arrogato un potere che non gli competerebbe. Eppure, siamo sicuri che le cose stiano realmente così? Non è che forse ci troviamo davanti all'ennesima banalizzazione di fatti un tantino più complessi? Partiamo dall'impiego dell'esercito. I critici affermano che la legge vieterebbe l'impiego delle truppe regolari all'interno dei confini statunitensi. A livello generale, questa obiezione è senz'altro vera. Negli Stati Uniti, vige infatti il Posse comitatus act, una vecchia legge del 1878 che fu redatta per limitare l'impiego delle truppe federali nelle questioni interne al territorio americano. L'intento originario era, in particolare, quello di evitare che - dopo la conclusione della guerra di secessione - gli Stati settentrionali ingerissero negli affari di quelli meridionali, attraverso la minaccia della forza armata. Detta così, non sembrerebbe esserci scampo per Trump. Il punto è che tuttavia la situazione risulta più complessa. Questa norma presenta difatti un impianto piuttosto farraginoso e risulta fondamentalmente ambigua in termini di applicazione ai casi concreti. Del resto, nel corso della Storia, più di una volta presidenti in carica hanno utilizzato l'esercito per far fronte a questioni di ordine pubblico. Anche perché è la stessa normativa a riconoscere deroghe e limitazioni: in particolare, al presidente è lasciata la facoltà di decidere se sia necessario l'impiego dei soldati per far rispettare la legge federale. Nel 1932, Herbert Hoover inviò le truppe a Washington per sedare una protesta (in larga parte pacifica) di veterani della prima guerra mondiale che chiedevano i pagamenti promessi per far fronte al difficile momento della crisi economica. Nel 1957, Dwight Eisenhower inviò i soldati a Little Rock (in Arkansas) per contrastare il segregazionismo. Inoltre, come notava un articolo di Bloomberg dello scorso aprile, negli ultimi anni il Congresso ha introdotto ulteriori eccezioni alla normativa, aumentando così di fatto il potere discrezionale del presidente. Alla luce di tutto questo, è assai difficile dimostrare che Trump, avendo inviato le truppe al confine meridionale, abbia compiuto un atto illegale. Ma veniamo alla questione dello ius soli. Recentemente Trump ha affermato di volerlo restringere, ricorrendo essenzialmente a un ordine esecutivo. Anche in questo caso, le polemiche sono state numerose. In particolare, secondo i critici, il presidente non avrebbe l'autorità per smantellare una norma costituzionale. Non dobbiamo infatti dimenticare che lo ius soli è previsto dal quattordicesimo emendamento e che - effettivamente - la modifica della Costituzione spetta al solo potere legislativo e non certo a quello esecutivo. Eppure anche in questo caso bisogna fare attenzione. Questo emendamento venne approvato al termine della guerra di secessione con l'obiettivo di far sì che gli schiavi potessero acquisire la cittadinanza americana. In questo senso, il testo recita «tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti». Ora, il tema odierno è capire se l'espressione «soggetti alla loro giurisdizione» possa essere applicata agli immigrati clandestini che - in quanto irregolari - per definizione non sono soggetti alla giurisdizione americana. È su questo punto che i giuristi d'oltreoceano si arrovellano e Trump - con un decreto - può effettivamente ordinare ai ministeri di adottare l'interpretazione più restrittiva. Come si vede, non si tratta quindi di cambiare la Costituzione, ma di una direttiva interpretativa da trasmettere a ministri e sottosegretari. Una facoltà che è nei pieni poteri del presidente.Qualcuno magari dirà che una questione importante come quella migratoria non si affronta a colpi di decreto. Peccato che Trump non sia il primo a scegliere questa strada. Si pensi solo che anche Barack Obama ha cercato di far fronte allo spinoso problema dell'immigrazione clandestina a colpi di decreto. E che, anche allora, parte del potere legislativo e alcuni giudici ebbero parecchio da ridire. Il punto è che, al di là di come la si possa pensare sui singoli provvedimenti, i presidenti sono quasi costretti a ricorrere ai decreti sul versante dell'immigrazione illegale. Si tratta infatti di un tema profondamente divisivo, su cui il Congresso non riesce mai a trovare un accordo per una riforma chiara e coerente. Anche perché i dissidi su questa materia risultano trasversali agli stessi partiti. Ed ecco che è spesso la Casa Bianca a dover colmare i vuoti lasciati dal Campidoglio.
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