2025-05-22
Sui bloccanti della pubertà le associazioni mediche ignorano i dati scientifici
Dodici società del settore continuano ancora a sostenere i benefici della triptorelina, che eviterebbe i suicidi dei bambini con disforia di genere. Ma le evidenze dicono altro.Perché dodici associazioni culturali e società scientifiche italiane continuano imperterrite a sostenere l’efficacia della triptorelina - noto bloccante della pubertà - nel ridurre i tentativi di suicidio tra i minori con disforia di genere? A sollevare l’interrogativo, in un lungo comunicato di denuncia, è GenerAzioneD, realtà impegnata per la corretta informazione sulle problematiche di genere che non si spiega come mai, nel nostro Paese, il mito dei mirabolanti «benefici» dei bloccanti della pubertà tenga ancora banco. Ma andiamo con ordine. La vicenda ha avuto inizio il 31 gennaio 2024, quando questa dozzina di associazioni e società - l’Osservatorio nazionale sull’identità di genere (Onig), la Società italiana di andrologia e medicina della sessualità (Siams) e l’Associazione culturale pediatri (Acp) - aveva diffuso una nota congiunta dei loro presidenti definendo la triptorelina un farmaco addirittura «salva vita», sicuro e reversibile, asserendo che il suo impiego nei giovani affetti da disforia di genere fosse basato su evidenze scientifiche assai robuste. Per la precisione, in quella missiva si asseriva che tra i cosiddetti baby transgender «fino al 40%» tenta il suicidio, con la «la terapia con triptorelina» che «riduce del 70% questa possibilità». Percentuali notevoli, che effettivamente fanno passare il farmaco come un prodotto «salva vita» e riprese perfino in commissione Affari sociali della Camera per giustificare come preziosa la prescrizione di triptorelina ai minori.Peccato, ecco il punto, che ambedue i dati vadano presi con le molle. Che infatti «fino al 40%» dei giovani trans tenti il suicidio è un estrapolato da un sondaggio pubblicato nel 2016 self-report, quindi senza la possibilità di verificarne pienamente l’attendibilità dato che in letteratura è nota la possibile forbice che si crea - anche in perfetta buona fede, da parte di quanti sono interpellati in una indagine - tra ciò che è dichiarato e ciò che corrisponde al vero. Ma proseguiamo, perché il dato più rilevante è la riduzione dei tentativi di suicidi del 70% nei giovani trans grazie alla triptorelina. Un dato che le dodici società non si sono inventate, ma hanno ricavato da uno studio dello psichiatra Jack L. Turban pubblicato nel 2020 sulla rivista scientifica Pediatrics ed intitolato «Pubertal suppression for transgender youth and risk of suicidal ideation».Ora, a parte che Turban, la cui omosessualità è nota, è uno studioso vicino al mondo Lgbt, c’è da dire che questo suo studio non parla di «tentativi» di suicidio, bensì di «ideazione suicidiaria» - cosa comunque serissima, ovvio, ma da non confondersi con un vero e proprio tentativo di farla finita. In secondo luogo, questo studio andrebbe preso in generale con prudenza perché, se è vero che complessivamente ha considerato una platea di 20.000 persone, è altrettanto vero come quelle di costoro che avevano dichiarato di aver assunto triptorelina ammontavano ad appena 89: meno dello 0,5% del totale.Ancora, secondo un’analisi sullo studio di Turban di Marco Del Giudice, professore dell’Università di Trieste, è la stessa percentuale del 70% a non tornare proprio. «Anche se lo si volesse fare», ha difatti sottolineato Del Giudice, «non si potrebbe in alcun modo sostenere che la possibilità di tentare il suicidio si riduce del 70%» grazie alla triptorelina. «Nello studio», spiega l’accademico dopo averne esaminato minuziosamente i veri dati, «la riduzione del rischio è più vicina al 20%, e risulta significativa solo nel caso dell’ideazione suicidaria - ma non dei tentativi. La lettura delle società medico-scientifiche sembra basata su un fraintendimento dei risultati, con un errore piuttosto grossolano nell’interpretazione degli indici statistici». Di qui la richiesta di GenerAzioneD di spiegazioni alle dodici associazioni che, in Italia, hanno diffuso quella che parrebbe, a questo punto, una fake news. Esito: per ora nessuna risposta. Per questo - tanto più con un tavolo interministeriale aperto proprio su questo fronte - GenerAzioneD auspica ora un «chiarimento al più presto in un quadro di totale trasparenza, affinché venga preservata la sicurezza dei soggetti più vulnerabili e la serenità dei loro genitori». «Restare in silenzio di fronte ad affermazioni errate o ambigue, che potrebbero indurre comportamenti scorretti o alimentare consensi non pienamente informati, comporta profili di responsabilità rilevanti», conclude l’associazione, evidenziando come ciò metta «a rischio il benessere e la sicurezza delle persone più vulnerabili».Peraltro, a parte lo studio Turban, c’è da dire che, se la triptorelina fosse davvero «salva vita», non si spiegherebbe come mai tutta una serie di Paesi - da quelli nordeuropei al Brasile, da alcuni Stati americani al Regno Unito - abbiano al riguardo adottato atteggiamenti di estrema cautela, spesso e volentieri facendo pure un netto dietrofront. E lo stesso fa la letteratura: uno studio dell’agosto 2024 uscito su Acta paediatrica - realizzato da Kathleen McDeavitt del Baylor College of Medicine esaminando 14 studi clinici longitudinali che avevano indagato il tema - ha concluso che, in realtà, «l’impatto degli interventi ormonali sulla depressione e sulla suicidalità nei pazienti pediatrici è sconosciuto». Altro che farmaci «salva vita»
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)