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2024-03-27
È il solito metodo usato col Covid che trasforma lo Stato in terapeuta
Le bevande analcoliche, oggetto della sugar tax (IStock)
La sugar tax non è incostituzionale. L’ha sentenziato ieri la Consulta, interpellata dal Tar del Lazio, dove erano stati depositati due ricorsi contro il balzello varato dal Conte bis, la cui entrata in vigore è stata poi posticipata fino a luglio di quest’anno.
È un verdetto infelice. Non tanto per i 10 euro a ettolitro di Fanta, né per i 25 centesimi ogni chilo di dolcificante. È per il principio che la Corte ha definitivamente consacrato: quel «lo dice la scienza» in virtù del quale, sulla scia delle logiche adottate durante la pandemia, ci si è industriati per coprire decisioni molto politiche col velo dell’autorevolezza e della neutralità sapienziale.
Già i giudici amministrativi avevano blindato un paio di capisaldi dello Stato etico. In primo luogo - si legge nel «Ritenuto in fatto» della Consulta - la liceità di varare «una misura idonea allo scopo di ridurre il consumo delle bevande» edulcorate, «per preservare al meglio la salute pubblica, in un’ottica precauzionale». Un obiettivo che avrebbe reso la norma, a parere delle toghe, proporzionata. Poi, la possibilità - caratteristica, secondo i magistrati, di una legge ragionevole - di conferire al tributo una «prevalente finalità extrafiscale»: il «contrasto di specifiche patologie».
Al solito, il difetto dell’interventismo pubblico è che si sa dove inizia, ma non si capisce dove dovrebbe finire. Se l’idea è che, per «precauzione», vadano scoraggiate le abitudini insalubri, la lista delle gabelle rischia di essere interminabile: perché non mettere una bella tassa sulle fritture? E una sulle pastarelle? E una sul gelato? Nella vita, tutto ciò che è buono fa male.
Il criterio regolativo lo ha individuato la Consulta, ricordando che la legge di bilancio 2020 fece «esplicito riferimento» a un «invito dell’Oms […] a introdurre una specifica tassazione delle bevande analcoliche prodotte con l’aggiunta di sostanze dolcificanti […], con l’obiettivo di limitarne il consumo e, conseguentemente, di contribuire alla riduzione dei tassi di sovrappeso e obesità, oltre che di carie e diabete, anche in virtù dei risultati, attestati dalla medesima organizzazione e da studi scientifici […]». Basterebbe allora «la medesima giustificazione scientifica» a escludere l’unico profilo di potenziale incostituzionalità del tributo, che avevano ravvisato i magistrati del Tar: il fatto, cioè, che esso colpisse le bibite ma non «altri prodotti alimentari contenenti le medesime sostanze» edulcoranti. Nessuna discriminazione irragionevole, ha argomentato invece la Corte: la fondatezza dell’imposta è «puntualmente attestata da studi scientifici riversati in raccomandazioni di organismi internazionali». Lo dice la scienza, lo dice l’Oms. Che avete da protestare?
Sono le naturali conseguenze della filosofia sposata durante il Covid. Allora, il collegio aveva avallato i decreti di Mario Draghi sull’obbligo vaccinale, appoggiandosi a pareri istituzionali alquanto fragili sulla capacità dei farmaci disponibili di bloccare i contagi. In più, la Consulta aveva stabilito la conformità di quel provvedimento a due scopi: evitare il congestionamento degli ospedali, poiché gli inoculati avevano meno probabilità di essere ricoverati a causa del virus; e preservare il Servizio sanitario, confidando che il personale vaccinato, protetto dall’infezione, non si sarebbe assentato dal lavoro. È la ratio, tutta economica, della diminuzione delle «esternalità negative»: bevi la Sprite, ti viene il diabete, diventi un costo per l’erario; non ti vaccini, ti becchi il Covid, lasci sguarnito il reparto oppure «rubi» un posto letto, prezioso in quanto centellinato. Rimane il leggero sospetto che garantire copertura costituzionale alla colpevolizzazione del malato, sfruttando da paravento le valutazioni dei tecnici, serva a normalizzare la sistematica spoliazione dei sistemi sanitari pubblici.
Il guaio, appunto, è che la trasformazione dello Stato in terapeuta e quella del cittadino in paziente sono processi difficili da arrestare. Sapete quante ne dice l’Oms? Se dovessimo dar retta al Global report on the use of alcohol taxes 2023, pubblicato lo scorso dicembre, non dovremmo forse introdurre un’accisa pure su birra e vino?
Chi si era opposto alla sugar tax aveva toccato un punto dolente: se non va bene la Fanta, come mai vanno bene le merendine? La Consulta ha risposto che il «tertium comparationis» del ricorso, cioè l’allusione ad «altri prodotti alimentari», era troppo generico. D’accordo. Resta il fatto che, se al governo arrivasse la coalizione dei salutisti, in effetti nulla potrebbe impedirle di stangare le caciotte che aumentano il colesterolo, il Montepulciano che affatica il fegato, la carne rossa che dicono sia cancerogena e con gli allevamenti in cui le vacche scoreggiano inquina pure il pianeta.
L’inghippo sta nell’ormai noto vezzo della Corte: aggrapparsi agli efori in camice bianco, ai funzionari di un’agenzia globale, oppure al diritto Ue, per convalidare scelte essenzialmente arbitrarie. Attenzione: arbitrario non significa illegittimo. Significa soltanto che, dove si vuol vedere il referto di una casta di esperti, in realtà c’è una volontà politica. L’errore è cercare nel posto sbagliato il fondamento extragiuridico delle decisioni. Questo maquillage sta cambiando i connotati alle nostre democrazie. Che valgono più dei tre centesimi di tassa sulla bottiglietta di Coca Cola.
A rischio 5.000 impieghi. E l’erario ci perde
La sugar tax tassa lo zucchero anche quando non c’è. Questa è la frase che racchiude il pensiero di Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche, dopo che la sugar tax è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Consulta. Secondo i magistrati della Corte costituzionale, infatti, la norma compenserebbe le spese che dovrebbe affrontare lo Stato per i possibili danni alla salute dei cittadini.
Il problema è che, secondo Assobibe, questa norma rischia solo di tassare maggiormente bevande il cui apporto di zucchero è già limitato e non nuoce alla salute, con l’unico effetto di affossarne il mercato e di ridurne il gettito fiscale tanto utile alla salute pubblica.
In particolare, secondo uno studio di Nomisma, visto che la sugar tax colpisce anche le bevande senza zucchero (come quelle spesso definite light o zero), si stima che il mercato, con l’entrata in vigore della norma, subirà una contrazione delle vendite del 16% con un mancato gettito Iva per 275 milioni di euro. Inoltre, tutto questo potrebbe mettere a rischio anche i 5.050 posti di lavoro del settore, poiché si prevede un aumento medio del 28% della pressione fiscale per singolo litro di soft drink. Non solo, secondo lo studio, la sugar tax potrebbe portare a una riduzione di 46 milioni di euro di investimenti da parte delle imprese produttrici del settore per il biennio 2024-2025, senza considerare la riduzione da 400 milioni di euro degli acquisti di materie prime sempre dalle compagnie del comparto.
Secondo le stime dell’associazione, questa norma porterà un gettito di poco superiore ai 100 milioni di euro, una cifra piuttosto bassa se si considerano le perdite che la sugar tax comporterà in termini di gettito, vendite e potenziale impatto sui posti di lavoro.
Come fa sapere Assobibe, «siamo davvero stupiti dalla pronuncia della Consulta, ma ancora di più dalle motivazioni che si basano su un razionale scientifico contestabile e, soprattutto, slegato dai consumi reali in Italia», spiega il presidente dell’associazione Giangiacomo Pierini. «I Paesi agiscono con approcci diversi e in molti casi la sugar tax è stata introdotta per incentivare la riformulazione: noi l’abbiamo fatto senza bisogno di tasse arrivando a tagliare del 41% lo zucchero immesso a scaffale, anche attraverso azioni volontarie e protocolli siglati con il ministero della Salute, e applicando rigide autolimitazioni nella vendita verso i consumatori più fragili come i bambini. Lasciamo da parte cavilli giuridici in cui giudici affermano che lo zucchero sia da contrastare solo se presente nelle bibite», fa sapere Pierini.
Fatto sta che la sentenza numero 49 della Consulta ha dichiarato legittima la sugar tax, questione sollevata dalla seconda sezione del Tar del Lazio che l’aveva censurata per violazione del principio di eguaglianza tributaria, visto che si trattava di una tassa destinata a colpire solo alcune bevande analcoliche.
La norma era stata voluta inizialmente dal governo Conte 2 a fine del 2019. Poi innumerevoli proroghe ne hanno ritardato l’applicazione fino al primo luglio di quest’anno, quando quindi dovrebbe entrare in vigore con un importo di 10 euro per ettolitro nel caso di prodotti finiti e di 0,25 euro per chilogrammo nel caso di prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione.
Il punto, spiega Assobibe, è che l’Italia è all’ultimo posto nell’Unione europea per consumi pro capite di bevande analcoliche (54 litri annui) e che l’impatto dei soft drink sulla dieta degli italiani è infinitesimale: 1% per gli adulti, 0,6% per i bambini. Inoltre, l’efficacia della tassa sulla riduzione dell’incidenza di sovrappeso, obesità e diabete non è dimostrata: nell’area definita come Zona Europa, che comprende oltre 53 paesi, l’Oms ha registrato che, al 2020, la sugar tax era stata inserita in 10 dei 53 Stati, il 19% del totale, producendo una contrazione dei consumi solo nel breve periodo per poi tornare ai livelli pre tassa. In mercati con tasse sulle bevande analcoliche come Messico, Finlandia, Cile, Regno Unito, Francia e Irlanda i tassi di obesità sono risultati persino in crescita, a dimostrazione che la tassa non si traduce in un miglioramento della dieta, tanto che alcuni Paesi hanno iniziato a eliminare la tassa sui soft drink. È stato così in Danimarca nel 2016, in Norvegia nel 2000, in Islanda nel 2000, in Israele nel 2022 e in Australia nel 2018.
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Riduci
La filosofia della sugar tax è la stessa del siero obbligatorio: ai cittadini, ancora una volta colpevolizzati, va tolta la gazzosa altrimenti sviluppano il diabete e diventano un costo per la salute. Che intanto si può continuare a tagliare. A fronte dei 100 milioni di entrate generati dalla tassa, il gettito Iva calerà di 275 milioni. Assobibe: «Stupiti». Lo speciale contiene due articoli. La sugar tax non è incostituzionale. L’ha sentenziato ieri la Consulta, interpellata dal Tar del Lazio, dove erano stati depositati due ricorsi contro il balzello varato dal Conte bis, la cui entrata in vigore è stata poi posticipata fino a luglio di quest’anno. È un verdetto infelice. Non tanto per i 10 euro a ettolitro di Fanta, né per i 25 centesimi ogni chilo di dolcificante. È per il principio che la Corte ha definitivamente consacrato: quel «lo dice la scienza» in virtù del quale, sulla scia delle logiche adottate durante la pandemia, ci si è industriati per coprire decisioni molto politiche col velo dell’autorevolezza e della neutralità sapienziale. Già i giudici amministrativi avevano blindato un paio di capisaldi dello Stato etico. In primo luogo - si legge nel «Ritenuto in fatto» della Consulta - la liceità di varare «una misura idonea allo scopo di ridurre il consumo delle bevande» edulcorate, «per preservare al meglio la salute pubblica, in un’ottica precauzionale». Un obiettivo che avrebbe reso la norma, a parere delle toghe, proporzionata. Poi, la possibilità - caratteristica, secondo i magistrati, di una legge ragionevole - di conferire al tributo una «prevalente finalità extrafiscale»: il «contrasto di specifiche patologie». Al solito, il difetto dell’interventismo pubblico è che si sa dove inizia, ma non si capisce dove dovrebbe finire. Se l’idea è che, per «precauzione», vadano scoraggiate le abitudini insalubri, la lista delle gabelle rischia di essere interminabile: perché non mettere una bella tassa sulle fritture? E una sulle pastarelle? E una sul gelato? Nella vita, tutto ciò che è buono fa male. Il criterio regolativo lo ha individuato la Consulta, ricordando che la legge di bilancio 2020 fece «esplicito riferimento» a un «invito dell’Oms […] a introdurre una specifica tassazione delle bevande analcoliche prodotte con l’aggiunta di sostanze dolcificanti […], con l’obiettivo di limitarne il consumo e, conseguentemente, di contribuire alla riduzione dei tassi di sovrappeso e obesità, oltre che di carie e diabete, anche in virtù dei risultati, attestati dalla medesima organizzazione e da studi scientifici […]». Basterebbe allora «la medesima giustificazione scientifica» a escludere l’unico profilo di potenziale incostituzionalità del tributo, che avevano ravvisato i magistrati del Tar: il fatto, cioè, che esso colpisse le bibite ma non «altri prodotti alimentari contenenti le medesime sostanze» edulcoranti. Nessuna discriminazione irragionevole, ha argomentato invece la Corte: la fondatezza dell’imposta è «puntualmente attestata da studi scientifici riversati in raccomandazioni di organismi internazionali». Lo dice la scienza, lo dice l’Oms. Che avete da protestare? Sono le naturali conseguenze della filosofia sposata durante il Covid. Allora, il collegio aveva avallato i decreti di Mario Draghi sull’obbligo vaccinale, appoggiandosi a pareri istituzionali alquanto fragili sulla capacità dei farmaci disponibili di bloccare i contagi. In più, la Consulta aveva stabilito la conformità di quel provvedimento a due scopi: evitare il congestionamento degli ospedali, poiché gli inoculati avevano meno probabilità di essere ricoverati a causa del virus; e preservare il Servizio sanitario, confidando che il personale vaccinato, protetto dall’infezione, non si sarebbe assentato dal lavoro. È la ratio, tutta economica, della diminuzione delle «esternalità negative»: bevi la Sprite, ti viene il diabete, diventi un costo per l’erario; non ti vaccini, ti becchi il Covid, lasci sguarnito il reparto oppure «rubi» un posto letto, prezioso in quanto centellinato. Rimane il leggero sospetto che garantire copertura costituzionale alla colpevolizzazione del malato, sfruttando da paravento le valutazioni dei tecnici, serva a normalizzare la sistematica spoliazione dei sistemi sanitari pubblici. Il guaio, appunto, è che la trasformazione dello Stato in terapeuta e quella del cittadino in paziente sono processi difficili da arrestare. Sapete quante ne dice l’Oms? Se dovessimo dar retta al Global report on the use of alcohol taxes 2023, pubblicato lo scorso dicembre, non dovremmo forse introdurre un’accisa pure su birra e vino? Chi si era opposto alla sugar tax aveva toccato un punto dolente: se non va bene la Fanta, come mai vanno bene le merendine? La Consulta ha risposto che il «tertium comparationis» del ricorso, cioè l’allusione ad «altri prodotti alimentari», era troppo generico. D’accordo. Resta il fatto che, se al governo arrivasse la coalizione dei salutisti, in effetti nulla potrebbe impedirle di stangare le caciotte che aumentano il colesterolo, il Montepulciano che affatica il fegato, la carne rossa che dicono sia cancerogena e con gli allevamenti in cui le vacche scoreggiano inquina pure il pianeta. L’inghippo sta nell’ormai noto vezzo della Corte: aggrapparsi agli efori in camice bianco, ai funzionari di un’agenzia globale, oppure al diritto Ue, per convalidare scelte essenzialmente arbitrarie. Attenzione: arbitrario non significa illegittimo. Significa soltanto che, dove si vuol vedere il referto di una casta di esperti, in realtà c’è una volontà politica. L’errore è cercare nel posto sbagliato il fondamento extragiuridico delle decisioni. Questo maquillage sta cambiando i connotati alle nostre democrazie. Che valgono più dei tre centesimi di tassa sulla bottiglietta di Coca Cola. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sugar-tax-italia-2667609991.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-rischio-5-000-impieghi-e-lerario-ci-perde" data-post-id="2667609991" data-published-at="1711528340" data-use-pagination="False"> A rischio 5.000 impieghi. E l’erario ci perde La sugar tax tassa lo zucchero anche quando non c’è. Questa è la frase che racchiude il pensiero di Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche, dopo che la sugar tax è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Consulta. Secondo i magistrati della Corte costituzionale, infatti, la norma compenserebbe le spese che dovrebbe affrontare lo Stato per i possibili danni alla salute dei cittadini. Il problema è che, secondo Assobibe, questa norma rischia solo di tassare maggiormente bevande il cui apporto di zucchero è già limitato e non nuoce alla salute, con l’unico effetto di affossarne il mercato e di ridurne il gettito fiscale tanto utile alla salute pubblica. In particolare, secondo uno studio di Nomisma, visto che la sugar tax colpisce anche le bevande senza zucchero (come quelle spesso definite light o zero), si stima che il mercato, con l’entrata in vigore della norma, subirà una contrazione delle vendite del 16% con un mancato gettito Iva per 275 milioni di euro. Inoltre, tutto questo potrebbe mettere a rischio anche i 5.050 posti di lavoro del settore, poiché si prevede un aumento medio del 28% della pressione fiscale per singolo litro di soft drink. Non solo, secondo lo studio, la sugar tax potrebbe portare a una riduzione di 46 milioni di euro di investimenti da parte delle imprese produttrici del settore per il biennio 2024-2025, senza considerare la riduzione da 400 milioni di euro degli acquisti di materie prime sempre dalle compagnie del comparto. Secondo le stime dell’associazione, questa norma porterà un gettito di poco superiore ai 100 milioni di euro, una cifra piuttosto bassa se si considerano le perdite che la sugar tax comporterà in termini di gettito, vendite e potenziale impatto sui posti di lavoro. Come fa sapere Assobibe, «siamo davvero stupiti dalla pronuncia della Consulta, ma ancora di più dalle motivazioni che si basano su un razionale scientifico contestabile e, soprattutto, slegato dai consumi reali in Italia», spiega il presidente dell’associazione Giangiacomo Pierini. «I Paesi agiscono con approcci diversi e in molti casi la sugar tax è stata introdotta per incentivare la riformulazione: noi l’abbiamo fatto senza bisogno di tasse arrivando a tagliare del 41% lo zucchero immesso a scaffale, anche attraverso azioni volontarie e protocolli siglati con il ministero della Salute, e applicando rigide autolimitazioni nella vendita verso i consumatori più fragili come i bambini. Lasciamo da parte cavilli giuridici in cui giudici affermano che lo zucchero sia da contrastare solo se presente nelle bibite», fa sapere Pierini. Fatto sta che la sentenza numero 49 della Consulta ha dichiarato legittima la sugar tax, questione sollevata dalla seconda sezione del Tar del Lazio che l’aveva censurata per violazione del principio di eguaglianza tributaria, visto che si trattava di una tassa destinata a colpire solo alcune bevande analcoliche. La norma era stata voluta inizialmente dal governo Conte 2 a fine del 2019. Poi innumerevoli proroghe ne hanno ritardato l’applicazione fino al primo luglio di quest’anno, quando quindi dovrebbe entrare in vigore con un importo di 10 euro per ettolitro nel caso di prodotti finiti e di 0,25 euro per chilogrammo nel caso di prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione. Il punto, spiega Assobibe, è che l’Italia è all’ultimo posto nell’Unione europea per consumi pro capite di bevande analcoliche (54 litri annui) e che l’impatto dei soft drink sulla dieta degli italiani è infinitesimale: 1% per gli adulti, 0,6% per i bambini. Inoltre, l’efficacia della tassa sulla riduzione dell’incidenza di sovrappeso, obesità e diabete non è dimostrata: nell’area definita come Zona Europa, che comprende oltre 53 paesi, l’Oms ha registrato che, al 2020, la sugar tax era stata inserita in 10 dei 53 Stati, il 19% del totale, producendo una contrazione dei consumi solo nel breve periodo per poi tornare ai livelli pre tassa. In mercati con tasse sulle bevande analcoliche come Messico, Finlandia, Cile, Regno Unito, Francia e Irlanda i tassi di obesità sono risultati persino in crescita, a dimostrazione che la tassa non si traduce in un miglioramento della dieta, tanto che alcuni Paesi hanno iniziato a eliminare la tassa sui soft drink. È stato così in Danimarca nel 2016, in Norvegia nel 2000, in Islanda nel 2000, in Israele nel 2022 e in Australia nel 2018.
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
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Riduci
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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