2023-01-12
«Subito un intervento per le stazioni sicure»
Matteo Piantedosi (Thierry Monasse/Getty Images)
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi annuncia un’operazione negli scali di Roma, Milano e Napoli: «I problemi nascono dai flussi migratori incontrollati. Gli sbarchi generano emozione, poi di quelle persone ci si dimentica. Ma il vero tema resta la lotta alle partenze».«Spesso i cittadini si chiedono, di fronte a situazioni di particolare disagio o insicurezza, dove sia lo Stato. Il mio obiettivo è quello di dare una risposta a questa domanda». Matteo Piantedosi di grandi proclami non ne fa, la sua lunga esperienza gli consiglia prudenza e ambizioni non esagerate. Ma il tentativo di offrire soluzioni concrete c’è eccome, a partire dai problemi riguardanti la sicurezza nelle città. «Sta maturando proprio in queste ore», spiega alla Verità, «una operazione riguardante le stazioni delle aree metropolitane. Da tempo ho avviato un confronto con i sindaci di Roma, Milano e Napoli, e cominceremo da subito a intervenire nelle stazioni di queste grandi città, con un consistente impiego di uomini. Questa operazione andrà avanti per vari giorni, avremo un impegno di carattere interforze con polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizie locali». Che cosa faranno, in concreto? «Per prima cosa ci saranno azioni per identificare il maggior numero di persone possibile. A questo affiancheremo azioni più strutturali, anche con presidi fissi. Il modulo verrà esteso ad altri ambiti cittadini quali quelli interessati dal fenomeno della “mala movida”. Il tema della sicurezza delle stazioni è ricorrente, anche voi lo avete segnalato nei giorni passati. Quindi dobbiamo dare una risposta con servizi dedicati».Crede davvero che quella delle stazioni in città come Roma o Milano sia una situazione risolvibile? «Parliamoci con sincerità. Se uno immagina che si possa risolvere in maniera strutturale il problema della presenza nei pressi delle stazioni di quella che potremmo definire “umanità dolente”, beh, si tratta di una aspettativa eccessiva». Certo, che attorno alle stazioni si concentrino sacche di disagio non è una novità, accade da sempre. Però in alcune città - come nel caso di Milano, che abbiamo descritto - la situazione negli ultimi anni è degenerata. «Le ripeto quello che dico dai tempi in cui ero prefetto di Roma. Quando mi occupo di queste cose la mia priorità è quella di mostrare la presenza dello Stato, di far sentire che le istituzioni ci sono e che di fronte a certi fenomeni di insicurezza i cittadini non trovano il nulla o il silenzio. La verità è che i temi di sicurezza sono a valle dei fenomeni sociali, e la mia badi bene non è affatto rassegnazione. Se attorno alle stazioni c’è insicurezza, c’è la presenza di questa umanità dolente o si nota una emarginazione crescente è principalmente a causa di altri fenomeni, tra cui i flussi migratori incontrollati. Il problema è che al momento dello sbarco c’è sempre tanta emozione, e di conseguenza attenzione. Poi però di queste persone entrate talvolta ci si dimentica. Poi, è chiaro, ci sono anche dinamiche che non dipendono dai noi. Semplifico con una battuta: attorno alle stazioni si concentra il mondo della povertà che genera insicurezza. Noi possiamo agire sull’insicurezza, ma risolvere il problema della povertà richiede altro». Veniamo allora ai problemi a monte, a partire dall’immigrazione. Negli ultimi giorni gli sbarchi sono aumentati. «Sì, a dire il vero sono aumentati questo mese, è un dato che prende in esame 11 giorni, dunque è uno spaccato molto limitato. Del resto la natura del fenomeno è tale che non si può pensare di risolvere tutto in pochi giorni, o in due o tre mesi. Io però confido molto nel fatto che questa situazione si possa affrontare, e che si possano trovare soluzioni efficaci».Che cosa glielo fa credere? «Intanto il fatto che nel governo esista uniformità di vedute su questo punto. A breve, assieme al collega degli Esteri, Antonio Tajani, cominceremo una serie di incontri bilaterali con Tunisia, Libia e pure con la Turchia per affrontare i problemi alla fonte e portare a frutto un lavoro di dialogo già avviato da qualche tempo». Dei rapporti con gli Stati di origine della migrazione si parla spesso. E in passato l’Italia ha stanziato fondi da destinare a queste nazioni proprio per fermare i flussi. Non sembra avere funzionato granché. Perché dovrebbe andare diversamente ora?«Quello che io ho registrato nei primi contatti con i miei omologhi di altri Stati è l’esistenza di un grande desiderio della ripresa di rapporti con il governo italiano. C’è la volontà di mettere in piedi una cooperazione attiva, anche per contrastare il fenomeno migratorio. E guardi che non si tratta semplicemente di dare soldi, pensando di risolvere tutto così. C’è molto, molto altro. Il ministero, ad esempio, è titolare di progetti riguardanti la Libia, finanziati in parte anche dall’Ue, che prevedono sì finanziamenti ma anche forniture, formazione, impegni per migliorare le capacità delle forze di sicurezza locali. Gli aiuti di carattere economico non sono l’unica strada». Ha citato la Libia e il rapporto con le sue forze di sicurezza. Ogni volta che si affronta l’argomento emerge il problema dei famigerati «lager libici» e si fa polemica sul fatto che la guardia costiera libica vi riporti i migranti. «Guardi, il tema dei centri di detenzione è uno di quelli che dovranno essere affrontati all’interno dei rapporti di collaborazione. Questo governo non può non occuparsi del rispetto dei diritti umani. Molti pensano che il problema dei centri riguardi soltanto quelli di trattenimento, dove vengono portati i migranti che tornano indietro. In realtà esistono centri illegali da cui i migranti partono. Questi centri sono alla base, costituiscono la genesi dei flussi irregolari perché sono gestiti da trafficanti. Nel pacchetto di iniziative in programma con la Libia inseriremo anche soluzioni su questi centri. Alcune azioni sono già state messe in campo in passato, penso alla collaborazione con Unhcr e Oim perché si organizzino corridoi umanitari verso l’Europa, ovviamente per chi ne ha diritto, o rimpatri volontari assistiti. Il rispetto dei diritti umani caratterizzerà tutta la nostra azione, e anche il governo libico ne è consapevole». Molta parte del dibattito mediatico sull’immigrazione si concentra sulle Ong. Che però rappresentano solo una parte del problema riguardante gli sbarchi: da loro dipende un 10% circa del totale degli arrivi. «Vero, il tema delle Ong non esaurisce una dinamica che è complessa. Però ricordo che queste percentuali sono variabili nel tempo: ora si è al 10%, in passato la percentuale era più alta. Se poi consideriamo che le Ong operano nella sola fascia del Mediterraneo centrale, vediamo che da loro dipende il 34% degli sbarchi. Comunque poco cambia: che sia il 10% o il 34%, è chiaro che la questione Ong non risolve da sola il problema. Noi abbiamo dato importanza a tali organizzazioni perché abbiamo l’ambizione di governare tutto il fenomeno, di gestire tanto i salvataggi quanto i successivi passaggi. Sugli sbarchi autonomi c’è una sola cosa da fare: dobbiamo trasformare la lotta agli sbarchi in lotta alle partenze. Solo bloccando le partenze si otterranno risultati». A proposito di sbarchi: nei giorni scorsi le è stata mossa una accusa pesante: fare arrivare i migranti soltanto nelle città guidate dal Pd. È stato un dispetto?«È stato un puro caso. Queste sono cose troppo serie perché si possa anche solo pensare di fare ragionamenti di questo tipo. Noi cerchiamo di differenziare i luoghi di arrivo innanzitutto per alleggerire i soliti punti di approdo in Sicilia e Calabria. Lo stesso discorso vale per i trasferimenti sul territorio, perché dopo lo sbarco i migranti vengono per lo più distribuiti altrove. A tale proposito mi permetto una osservazione: diciamo sempre, e giustamente, che ci vuole solidarietà europea sulla gestione dei migranti. E perché non dovrebbe esserci anche solidarietà interna all’Italia».Parliamo allora di Europa. Siamo onesti: sentiamo parlare di «soluzione europea» da diversi anni. Non si sono visti grandi risultati… Lei si aspetta qualcosa di concreto, specie dopo l’incontro fra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen?«Sinceramente sì. Ritengo che sia stato un incontro proficuo, uno scambio importante. E non è retorica: sono passaggi delicati, e mi risulta che questo incontro al vertice segni un notevole passo avanti. Abbiamo ottenuto che su questi temi ci sia condivisione. Poi, certo, bisogna che i vari organismi europei traducano tutto questo in pratica. Ma intanto abbiamo la soddisfazione - anche se parziale - di un cambio di rotta che spero si traduca anche in un cambio di politiche. Abbiamo ripreso a parlare la stessa lingua sull’immigrazione, non è poco». Pensa che questo porterà vantaggi anche riguardo ai rimpatri, da sempre un tasto dolente? «Sicuramente. L’attività del commissario Ylva Johansson a tale proposito è stata importante. Ha discusso con alcuni Stati da cui arrivano molti migranti - penso al Bangladesh - dei modelli di rimpatrio europei. Credo che la condivisione di questi argomenti all’interno dell’Unione possa farci compiere importanti passi avanti». Dice che avete l’ambizione di governare tutto il fenomeno. Anche l’accoglienza sul territorio che in passato ha causato problemi? Gli episodi di mala gestione sono stati tantissimi. «I problemi ci sono stati soprattutto in passato nei momenti di emergenza: la congestione degli sbarchi ha fatto sì che si dovesse agire in fretta. E qualche volta si sono affacciati alla gestione del fenomeno soggetti che, alla prova dei fatti, non erano affatto idonei o in buona fede».Come si evitano questi problemi?«Fermando le partenze, dipende tutto da quello. Meno partenze significa meno sbarchi, e meno necessità di sistemazioni emergenziali. E ci tengo a ribadirlo: meno partenze significa meno morti, meno naufragi. Se si limitano le partenze si salvano vite».Le partenze si limitano anche con il blocco navale?«Abbiamo tante cose da fare per evitare di arrivare questo. Tante cose da fare, e le faremo».
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)