
Dopo le polemiche sul «Gesù arcobaleno» brasiliano, arriva una nuova serie esplosiva. Racconta di un profeta spuntato all'improvviso in Siria, che si presenta come il figlio di Dio. Ha già fatto infuriare parecchi musulmani, ma provoca tutti.Nell'aria fredda dei primi di gennaio ancora aleggiano le polemiche sul Gesù arcobaleno mandato in onda da Netflix. Si tratta di La prima tentazione di Cristo, baracconata realizzata dal gruppo di comici brasiliani Porta dos Fundos che ne hanno ricavato accuse di blasfemia, attacchi anche violenti (compresa una molotov che non ha provocato morti, per fortuna) e celebrità internazionale. Adesso, tuttavia, è arrivato qualcosa di molto più serio. Una serie che di sicuro è meno sguaiatamente offensiva, ma che ha già suscitato parecchi rivolgimenti d'animo in varie parti del globo.Dal primo gennaio, infatti, sulla piattaforma di streaming è disponibile Messiah, scritta dall'australiano Michael Petroni e prodotta da Mark Burnett e Roma Downey. Tra gli interpreti c'è la brava Michelle Monaghan, già apprezzata nella prima stagione di True Detective, nella saga di Mission Impossible e in film di successo come Gone Baby Gone. Nel ruolo di protagonista troviamo Mehdi Dehbi, attore belga di origini tunisine. Ed è proprio il suo personaggio a far discutere. Dehbi, infatti, veste i panni del messia. Del messia musulmano, per la precisione. Incarnato olivastro, capelli nerissimi e lunghi, barba leggera, il personaggio principale di questa seria è a tutti gli effetti un Gesù islamico. Simile nell'aspetto e, soprattutto, nel comportamento. Appare all'improvviso a Damasco, in Siria. L'Isis ha circondato la città, e si appresta a invaderla. Ma ecco che questo giovane uomo si mette a rassicurare la popolazione: Dio vi aiuterà, promette. E infatti, tempo qualche minuto, una spaventosa tempesta di sabbia impedisce l'assalto jihadista. Così inizia il culto del nuovo messia: migliaia di persone lo seguono, e lui le guida attraverso il deserto, fino al confine con Israele. Come prevedibile, si scatena il finimondo. Tutte le televisioni del mondo cominciano a occuparsi di questo stravagante profeta che ha provocato una crisi diplomatica (Israele rifiuta di far entrare i profughi siriani nel suo territorio). Subito si mette in mezzo la Cia: la Monaghan interpreta l'agente Eva Geller, determinata a scoprire chi sia e per chi lavori il fantomatico messia. Non sveliamo altro della trama. Diciamo solo che entreranno in gioco i servizi segreti israeliani, il presidente degli Stati Uniti, perfino dei terroristi islamici. Sotto molti punti di vista, dunque, la serie ricorda molto la celebre Homeland. Ma l'elemento interessante, qui, va ben al di là dell'intreccio e della scrittura. A colpire è il contenuto religioso di Messiah. Poco prima della messa in onda, Mohannad al-Bakr - responsabile della Royal Film Commissione della Giordania - ha chiesto a Netflix di non trasmettere la serie nel suo Paese, che è a maggioranza musulmana. E non sono pochi i fedeli islamici che in queste ore, sui social network, inveiscono contro la serie. Ma pure cristiani ed ebrei non sono rimasti a guardare. Si può dire che Messiah stia provocando un po' tutti, e in qualche modo ha già raggiunto il suo scopo. Si tratta di una provocazione estremamente seria, però. Perché il messia che vediamo sullo schermo è estremamente suggestivo. Spunta dal nulla in un Paese musulmano, ma conosce l'ebraico (appreso dal padre, dice). Cita il Corano, ma conosce benissimo tutti i testi sacri. Compie miracoli. Pare un Cristo redivivo, e infatti non si dichiara islamico. Annuncia la fine della storia, e sembra farsi portavoce di una religione universale che unisca e superi i tre grandi monoteismi. In più, a un certo punto, si scopre che è cresciuto in Iran. Ce n'è abbastanza per far infuriare i credenti di ogni latitudine. Ma c'è anche tanto su cui riflettere. Questo messia appare buono, ma non buonista. Parla di amore e fa proseliti in tutto il globo. Si mette a guidare un esercito di profughi ma non esibisce la retorica immigrazionista a cui ci hanno abituati alcuni esponenti della Chiesa di recente. Vero: parla di abbattimento dei confini, ma non si lancia in sperticati elogi delle Ong. Insomma è un personaggio perturbante, ben caratterizzato, frutto di una profonda ricerca.Sulla Rete e sui giornali anglofoni sono già iniziate le speculazioni. In molti, soprattutto nel mondo arabo, sostengono che questo messia sia in realtà l'Anticristo. Viene chiamato Al-Masih, che significa appunto messia. Piccolo particolare: nell'escatologia islamica Al-Masih ad-Dajjal è una figura malvagia del tutto sovrapponibile all'Anticristo biblico. Il retroterra culturale degli autori della serie sembrerebbe dare corpo a questa ipotesi: Michael Petroni è noto per aver scritto vari film a tema soprannaturale, tra cui alcune pellicole sugli esorcismi. I due produttori in passato hanno lavorato a show dedicati alla Bibbia. A chi volesse approfondire ulteriormente consigliamo di abbinare la visione della serie alla lettura del nuovo libro di Antonio Socci, Il dio mercato, la Chiesa e l'Anticristo (Rizzoli): c'è da rimanerne impressionati.Se si dovesse scoprire che questo messia è in realtà l'Anticristo (e per questo bisognerà attendere per lo meno la seconda stagione), è facile immaginare che il mondo islamico potrebbe non prenderla benissimo. Potenzialmente siamo di fronte a una delle opere più politicamente scorrette della storia. Capace però di superare le diatribe culturali e politiche e di pungere sul vivo tutti gli spettatori, ponendo una semplice domanda: che cosa succederebbe se il messia tornasse oggi? La risposta fa tremare le gambe.
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