2024-01-11
Su Ilva piomba il caos delle cordate e in fabbrica arrivano i carabinieri
Ipotesi esalazioni tossiche, il Nucleo operativo ecologico acquisisce documenti. Voci su possibili soci: oltre ai contatti con Arvedi e Acciaierie Venete, spunta la famiglia Jindal che vorrebbe realizzare un forno elettrico.Quello che è successo nei primi 10 giorni dell’anno nuovo di Acciaierie d’Italia è la summa di quanto accaduto nei 12 anni precedenti. Trattative tra governo e socio dell’azienda, compromesso dato da molti a un passo, rottura dei rapporti e conseguente minaccia di contenzioso in tribunale, improvviso dietrofront dell’azionista di maggioranza, nuovi soci privati pronti a subentrare e infine i carabinieri che prelevano documenti nell’inchiesta sulle emissioni nel sito siderurgico di Taranto. Insomma, la solita contrapposizione tra il diritto al lavoro e quello alla salute che ha portato l’azienda mai così vicina al baratro. Più si va avanti e più si fa fatica a capire come se ne possa uscire anche perché in mancanza di una strategia chiara la produzione rallenta (siamo già a 3 milioni di tonnellate di acciaio contro le 6 preventivate), i fornitori continuano a non essere pagati e i lavoratori (circa 20.000 con l’indotto) a stare in cassa integrazione o a rischiare il posto.Ma andiamo per ordine di importanza. La notizia di ieri è quella dell’arrivo dei carabinieri del Noe, il Nucleo operativo ecologico, negli uffici del sito pugliese per acquisire dei documenti.Dall’area cockeria, quella parte dell’impianto in cui viene trattato il coke, combustibile solido artificiale ottenuto dal carbon fossile (nel processo si formano molti sottoprodotti gassosi, liquidi e solidi, contenenti sostanze tossiche), sarebbero fuoriuscite esalazioni vicine al superamento dei livelli consentiti, ovvero 5 microgrammi per metro cubo d’aria (media annuale). Ma dall’Arpa Puglia sarebbero stati segnalati anche dei picchi di benzene. I pm della Procura di Taranto Mariano Buccoliero e Francesco Ciardo ipotizzano i reati di inquinamento ambientale e di getto pericoloso di cose. Alcuni documenti erano stati già acquisiti lo scorso 12 ottobre. Ma l’inchiesta, avviata mesi fa, sembra riprendere vigore proprio nella fase più delicata della vertenza del siderurgico. Tutto è partito dalle segnalazioni di cittadini e ambientalisti all’inizio dello scorso anno. Il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci il 22 maggio, in mancanza di interventi sulla riduzione delle emissioni, ha emesso un’ordinanza di fermo dell’area a caldo. Con un ricorso di Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria la questione è finita all’attenzione del Tar di Lecce, che ha concesso la sospensiva e ha rinviato ogni determinazione in attesa del pronunciamento della Corte di giustizia europea sul danno sanitario connesso ai livelli di inquinamento da benzene. Il Dipartimento di prevenzione dell’Asl Taranto, inoltre, con una relazione ha evidenziato la necessità che «in aggiunta alle tutele ordinarie previste» si debba procedere «all’applicazione di tutti gli interventi correttivi e applicabili alle diverse fonti». Al Tar di Lecce, inoltre, pende ancora un ricorso contro il procedimento di riesame per il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che conteneva le linee guida del ministero dell’Ambiente per la valutazione dell’impatto sanitario e un approfondimento tecnico-scientifico dell’Istituto superiore di sanità. Ieri, inoltre, il Tar della Lombardia avrebbe dovuto esprimersi sul taglio alle forniture di gas agli impianti per le bollette non pagate per un totale di oltre 300 milioni di euro. Ascoltate le parti, i giudici si sono riservati. La questione, insomma, appare come particolarmente spinosa sul fronte giudiziario. Come se non bastasse quanto successo poco prima. Con lo strappo tra Invitalia (oggi secondo socio) e ArcelorMittal (attuale primo azionista) e il conseguente strascico del contenzioso in tribunale. Nell’attesissimo vertice dell’8 gennaio infatti il governo si era detto disponibile a salire in maggioranza e a versare il primo aumento di capitale da 320 milioni, ma Mittal aveva risposto picche facendo capire di non voler più mettere liquidità nell’azienda. Poi, fonti legali vicine agli indiani hanno fatto passare il messaggio di un ripensamento. O meglio. Della disponibilità a partecipare alla nuova fase «anche a pesi azionari invertiti ma con con il medesimo status di controllo al 50%».Più che vera riapertura sembra trattarsi semplicemente di una carta legale buttata sul tavolo per poterla poi usare davanti al giudice che si troverà a dirimere il contenzioso. Propendiamo per la seconda ipotesi perché in tutta questa vicenda resta il nodo irrisolto dei patti parasociali sottoscritti dal governo Conte dopo aver tolto lo scudo penale ai gestori del sito. A causa di quegli accordi, che non sono mai stati rivelati, il governo ha cercato fino all’ultimo di evitare la rottura con gli indiani e in virtù di quelle stesse intese probabilmente Arcelor oggi pretende condizioni (scendere in minoranza mantenendo il controllo congiunto) che altrimenti non si sarebbe azzardato a chiedere. E mentre il ministro delle Imprese Adolfo Urso terrà oggi una informativa in Aula al Senato, nel pomeriggio a Palazzo Chigi il governo incontrerà i sindacati. In tutto questo poi già si parla dell’ingresso di nuovi soci privati italiani. Da settimane si fa il nome di Arvedi al quale nelle ultime ore si è aggiunto quello di Acciaierie Venete guidata da Alessandro Banzato che adesso sta facendo shopping in Francia.Secondo quanto risulta a Verità&Affari poi un emissario del gruppo Vulcan Steel - cha fa capo a un ramo della famiglia Jindal - avrebbe presentato al Mimit un piano per realizzare il forno elettrico a Taranto. Ma probabilmente la fase della ricerca di un socio entrerà nel vivo in un secondo momento. Ora bisogna concentrarsi sulla continuità aziendale, probabilmente sull’amministrazione straordinaria, per non far spegnere quel che resta dell’ex Ilva. Tenendo conto che le banche che stavano sostenendo la carenza di liquidità pagando (in cambio della fattura) le ditte dell’indotto e assumendosi il rischio di insolvenza del gruppo, adesso, dopo la rottura tra i due soci, pare non siano più disponibili a farlo.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)