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2025-10-15
Sostituito l’avvocato showman. Sempio revoca il mandato a Lovati
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
Oscillante fra l’eccentrico e l’imprudente, aveva costruito il suo personaggio a colpi di interviste, accuse, ironie e teorie borderline. Ma ieri è arrivata la revoca dell’incarico. L’avvocato Massimo Lovati non è più il difensore di Andrea Sempio nel procedimento in cui il commesso di Voghera amico di Marco Poggi è indagato per concorso nell’omicidio di Chiara. Una scelta che appare come la risposta definitiva a quelli che Sempio deve aver valutato come eccessi pubblici del suo ormai ex difensore. L’indagato ha fatto anche sapere che venerdì ufficializzerà il nome dell’avvocato che subentrerà. Angela Taccia, che rimarrà al fianco di Sempio, ha spiegato: «Il mio cliente ha scelto di revocare il mandato all’avvocato Lovati alla luce degli ultimi comportamenti, non solo mediatici, del suo storico difensore». Perché, a quanto pare, sarebbe stata determinante anche la mancata condivisione di strategie difensive e alcune iniziative prese senza prima condividerle con l’assistito e con la collega. Lovati negli ultimi giorni aveva provato a resistere, dichiarando pubblicamente: «Io rimango fino a quando mi lasciano rimanere. Andrea secondo me sbaglierebbe a separarsi da me». Ora commenta: «Sono dispiaciuto e amareggiato. Il mio errore è il mio modo di pormi con la giustizia, con i media, con i clienti, con i miei colleghi e con i magistrati. Ho un modo tutto mio per pormi e questo non è piaciuto evidentemente al mio assistito». E rispondendo alle domande di Gianluigi Nuzzi nel corso di Dentro la notizia su Canale 5, ha spiegato: «Andrea mi ha chiamato a mezzogiorno comunicandomi che mi aveva revocato il mandato difensivo, le motivazioni non sono per Fabrizio Corona o per quello che ho detto, ma per le linee difensive che non gli piacciono più». Mentre, a Pino Rinaldi, su La 7, durante Ignoto X, ha prima detto di «essere rimasto sorpreso». Poi ha spiegato di aver avuto un colloquio anche con la collega Taccia, ma di essersi convinto che «la decisione l’ha presa Andrea». Ma ci ha tenuto comunque a far sapere di aver dato «un ultimo consiglio» per la difesa. Tutti ormai lo conoscono per le dichiarazioni sopra le righe durante le comparsate in tv. Affermazioni del tipo: «Offendere i miei clienti è una mia strategia difensiva». Una giustificazione a una precedente esclamazione durante la quale, riferendosi ai Sempio, aveva detto: «Sono ignoranti come delle capre». Poi c’è la clamorosa intervista con Corona per il format Falsissimo, che ha rappresentato probabilmente l’apice (o il baratro) della sua esposizione mediatica. Lovati ha parlato di fiction, di Gerry La Rana, ovvero un personaggio caricaturale, un avvocato senza scrupoli e alcolizzato. Ha detto che gli era stato chiesto di «parlare a ruota libera, di fare affermazioni volgari, di colpire per avere audience». «Quel maledetto Civardi…», aveva detto Lovati a proposito del procuratore aggiunto di Pavia Stefano Civardi, per poi aggiungere: «Quello dell’Opus Dei». E a proposito del capo della Procura di Pavia Fabio Napoleone gli era anche scappato che, secondo lui, «voleva chiedere l’archiviazione». Parole che hanno scatenato la reazione della Procura di Pavia, con Napoleone che si è visto costretto a precisare che si trattava di ricostruzioni «oggettivamente destituite di ogni fondamento». Pochi giorni dopo è arrivata anche una querela, firmata dagli avvocati Enrico e Fabio Giarda, i legali che avevano difeso Alberto Stasi. I due penalisti hanno denunciato Lovati per le affermazioni rilasciate in un’intervista televisiva del 13 marzo, quando l’avvocato aveva accusato lo studio Giarda di aver «clandestinamente prelevato il Dna» di Sempio e di aver orchestrato, nel 2017, una «macchinazione». La Procura ha aperto un fascicolo e lui ha commentato: «Mi difenderò da solo». Poco dopo l’Ordine degli avvocati ha fatto sapere che avrebbe valutato la sua posizione a livello disciplinare. E lui ha replicato mostrando una certa sicumera: «Non verrò radiato». Ma non è finita. Non ha risparmiato neppure l’ex procuratore aggiunto Mario Venditti: «Ho detto che Venditti giocava ai cavalli? In quel periodo andavo a San Siro, sono sempre stato appassionato di ippica, che problema c’è? Non so che cos’ho detto, a furia di bere». Mentre in un’altra dichiarazione ha rivendicato: «Bevo, ma reggo». Lo stesso Corona, che durante la chiacchierata con l’avvocato avrebbe continuato a riempire il suo bicchiere, è stato accusato da Lovati di tradimento: «Mi aveva avvicinato dicendomi che avremmo fatto un film con me protagonista… Mi ha tradito». E nel tentativo di spiegare l’origine di quelle dichiarazioni ha ribadito: «Corona è venuto a casa mia vestito da prete, mi ha versato da bere e mi ha convinto a fare un provino». A conti fatti, però, nonostante la revoca del mandato, Lovati si ritrova esattamente dove ha sempre voluto stare: al centro della scena. E c’è da scommettere sulla possibilità che ci resti ancora per molto tempo.
Venditti: «Ho la vita rovinata»
Da una parte l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, indagato per corruzione in atti giudiziari, dall’altra il pubblico ministero della Procura di Brescia, Claudia Moregola, che lo ha fatto perquisire ipotizzando che avrebbe ricevuto denaro per chiedere, nel 2017, l’archiviazione della posizione di Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi indagato a Pavia per concorso nell’omicidio di Chiara. In mezzo, un’aula blindata, gli echi dei faldoni del «Sistema Pavia» e un conflitto giudiziario che ormai si gioca su più tavoli. Il primo scontro tra accusa e difesa si è consumato al tribunale del Riesame di Brescia. Ieri mattina, davanti al collegio presieduto da Giovanni Pagliuca, la tensione è salita subito. La difesa di Venditti, rappresentata dall’avvocato Domenico Aiello, ha chiesto di annullare il decreto di perquisizione e i sequestri eseguiti il 26 settembre dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e dalla Guardia di finanza di Pavia e di Brescia. «Non c’è prova della corruzione», ha detto il legale, precisando che «nel decreto avrebbero dovuto indicare almeno il corruttore». La Procura bresciana ha ribattuto. «Sono emersi sufficienti indizi per indagare sull’ipotesi di corruzione in atti giudiziari», ha spiegato il pm Moregola, aggiungendo: «Quello che è avvenuto non è una misura cautelare ma solo un’attività di perquisizione». L’udienza si è protratta fino alle 11.30, con scambi di tesi tra il pm e l’avvocato Aiello. Che uscendo dall’aula ha parlato di «senso di responsabilità» e ha annunciato un ricorso anche nel filone parallelo Clean 2, quello che ha già travolto alcuni carabinieri della «Squadretta» che lavorava con Venditti. Poi è toccato all’ex procuratore aggiunto. Ha preso la parola, brevemente ma con toni drammatici: «Ho la vita rovinata, non ho mai preso un euro al di fuori dello stipendio». L’ex magistrato ha definito le accuse «frutto di illazioni e suggestioni». Ai cronisti ha aggiunto: «Rifarei tutto quello che ho fatto. Tutto quello di cui sono accusato è frutto di illazioni, niente di concreto e di certo. Questa è la tragedia che mi sta colpendo». Sui dispositivi informatici sequestrati e sulle password non consegnate agli inquirenti, ha precisato: «Sono responsabilità del mio difensore. Ci dicano che cosa cercano e non ci sono problemi». Venditti infatti sarebbe stato pronto a consegnarle agli investigatori, ma leggendo il decreto di perquisizione e sequestro il suo difensore l’avrebbe stoppato. Per poi spiegare che si trattava di una investigazione troppo generica e che i pm avrebbero dovuto dettagliarla. Venditti ha anche negato di aver esercitato pressioni durante la sua carriera in Procura: «Io non ho mai esercitato pressioni, chiedevo soltanto, nel mio stile professionale, di avere le cose prima di subito (il riferimento, probabilmente, è alle affermazioni del carabiniere Giuseppe Spoto, che ha verbalizzato di aver dovuto consegnare le trascrizioni delle intercettazioni perché Venditti aveva fretta di scrivere la richiesta di archiviazione, ndr). I tempi della giustizia dovevano essere brevi, a me le lungaggini non piacevano e non piacciono». Venditti ha respinto anche le ipotesi di peculato (per l’automobile, un’Audi Q5, presa in leasing dalla Procura, che poi ha acquistato): «Il reato non mi è ancora stato contestato. Aspetto pure che mi si contesti il “Sistema Pavia”. Sistema significa associazione a delinquere, sono curioso che qualcuno mi accusi di essere stato a capo o partecipe di un’associazione finalizzata a che cosa? Dicono a pranzi, cene. E questa sarebbe un’associazione a delinquere?». Infine ha tirato fuori il piglio da magistrato, contestando alcuni passaggi a chi lo accusa: «Dicono che sono un corrotto ma non mi dicono chi è il corruttore, quando mi ha corrotto, come mi ha corrotto». Il collegio del Riesame si è riservato la decisione, che è attesa entro sabato. Ma nel frattempo si è aperto un altro fronte: quello della competenza territoriale. Tutto il fascicolo sull’omicidio di Chiara Poggi, su richiesta dell’avvocato Aiello, dovrebbe essere trasferito a Brescia. Il legale di Venditti ha presentato un’istanza alla gip pavese Daniela Garlaschelli, alle due Procure coinvolte e alle Procure generali dei distretti di Milano e di Brescia, ritenendo che ci sia una «connessione» tra i due fascicoli e che la magistratura competente a indagare sia quella titolata a farlo sui magistrati, quindi quella di Brescia. Ma sarà la Procura generale della Cassazione a decidere.
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Alla base della decisione, la mancata condivisione di alcune strategie difensive ma soprattutto l’esuberanza mediatica del legale, che nelle ultime settimane aveva parlato a ruota libera su Garlasco. Lui: «Sono sorpreso».Ieri l’udienza davanti al tribunale del Riesame. Lo sfogo dell’ex procuratore Venditti: «Mai preso soldi». Sarà la Cassazione a decidere sul conflitto tra Pavia e Brescia.Lo speciale contiene due articoli.Oscillante fra l’eccentrico e l’imprudente, aveva costruito il suo personaggio a colpi di interviste, accuse, ironie e teorie borderline. Ma ieri è arrivata la revoca dell’incarico. L’avvocato Massimo Lovati non è più il difensore di Andrea Sempio nel procedimento in cui il commesso di Voghera amico di Marco Poggi è indagato per concorso nell’omicidio di Chiara. Una scelta che appare come la risposta definitiva a quelli che Sempio deve aver valutato come eccessi pubblici del suo ormai ex difensore. L’indagato ha fatto anche sapere che venerdì ufficializzerà il nome dell’avvocato che subentrerà. Angela Taccia, che rimarrà al fianco di Sempio, ha spiegato: «Il mio cliente ha scelto di revocare il mandato all’avvocato Lovati alla luce degli ultimi comportamenti, non solo mediatici, del suo storico difensore». Perché, a quanto pare, sarebbe stata determinante anche la mancata condivisione di strategie difensive e alcune iniziative prese senza prima condividerle con l’assistito e con la collega. Lovati negli ultimi giorni aveva provato a resistere, dichiarando pubblicamente: «Io rimango fino a quando mi lasciano rimanere. Andrea secondo me sbaglierebbe a separarsi da me». Ora commenta: «Sono dispiaciuto e amareggiato. Il mio errore è il mio modo di pormi con la giustizia, con i media, con i clienti, con i miei colleghi e con i magistrati. Ho un modo tutto mio per pormi e questo non è piaciuto evidentemente al mio assistito». E rispondendo alle domande di Gianluigi Nuzzi nel corso di Dentro la notizia su Canale 5, ha spiegato: «Andrea mi ha chiamato a mezzogiorno comunicandomi che mi aveva revocato il mandato difensivo, le motivazioni non sono per Fabrizio Corona o per quello che ho detto, ma per le linee difensive che non gli piacciono più». Mentre, a Pino Rinaldi, su La 7, durante Ignoto X, ha prima detto di «essere rimasto sorpreso». Poi ha spiegato di aver avuto un colloquio anche con la collega Taccia, ma di essersi convinto che «la decisione l’ha presa Andrea». Ma ci ha tenuto comunque a far sapere di aver dato «un ultimo consiglio» per la difesa. Tutti ormai lo conoscono per le dichiarazioni sopra le righe durante le comparsate in tv. Affermazioni del tipo: «Offendere i miei clienti è una mia strategia difensiva». Una giustificazione a una precedente esclamazione durante la quale, riferendosi ai Sempio, aveva detto: «Sono ignoranti come delle capre». Poi c’è la clamorosa intervista con Corona per il format Falsissimo, che ha rappresentato probabilmente l’apice (o il baratro) della sua esposizione mediatica. Lovati ha parlato di fiction, di Gerry La Rana, ovvero un personaggio caricaturale, un avvocato senza scrupoli e alcolizzato. Ha detto che gli era stato chiesto di «parlare a ruota libera, di fare affermazioni volgari, di colpire per avere audience». «Quel maledetto Civardi…», aveva detto Lovati a proposito del procuratore aggiunto di Pavia Stefano Civardi, per poi aggiungere: «Quello dell’Opus Dei». E a proposito del capo della Procura di Pavia Fabio Napoleone gli era anche scappato che, secondo lui, «voleva chiedere l’archiviazione». Parole che hanno scatenato la reazione della Procura di Pavia, con Napoleone che si è visto costretto a precisare che si trattava di ricostruzioni «oggettivamente destituite di ogni fondamento». Pochi giorni dopo è arrivata anche una querela, firmata dagli avvocati Enrico e Fabio Giarda, i legali che avevano difeso Alberto Stasi. I due penalisti hanno denunciato Lovati per le affermazioni rilasciate in un’intervista televisiva del 13 marzo, quando l’avvocato aveva accusato lo studio Giarda di aver «clandestinamente prelevato il Dna» di Sempio e di aver orchestrato, nel 2017, una «macchinazione». La Procura ha aperto un fascicolo e lui ha commentato: «Mi difenderò da solo». Poco dopo l’Ordine degli avvocati ha fatto sapere che avrebbe valutato la sua posizione a livello disciplinare. E lui ha replicato mostrando una certa sicumera: «Non verrò radiato». Ma non è finita. Non ha risparmiato neppure l’ex procuratore aggiunto Mario Venditti: «Ho detto che Venditti giocava ai cavalli? In quel periodo andavo a San Siro, sono sempre stato appassionato di ippica, che problema c’è? Non so che cos’ho detto, a furia di bere». Mentre in un’altra dichiarazione ha rivendicato: «Bevo, ma reggo». Lo stesso Corona, che durante la chiacchierata con l’avvocato avrebbe continuato a riempire il suo bicchiere, è stato accusato da Lovati di tradimento: «Mi aveva avvicinato dicendomi che avremmo fatto un film con me protagonista… Mi ha tradito». E nel tentativo di spiegare l’origine di quelle dichiarazioni ha ribadito: «Corona è venuto a casa mia vestito da prete, mi ha versato da bere e mi ha convinto a fare un provino». A conti fatti, però, nonostante la revoca del mandato, Lovati si ritrova esattamente dove ha sempre voluto stare: al centro della scena. 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Il primo scontro tra accusa e difesa si è consumato al tribunale del Riesame di Brescia. Ieri mattina, davanti al collegio presieduto da Giovanni Pagliuca, la tensione è salita subito. La difesa di Venditti, rappresentata dall’avvocato Domenico Aiello, ha chiesto di annullare il decreto di perquisizione e i sequestri eseguiti il 26 settembre dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e dalla Guardia di finanza di Pavia e di Brescia. «Non c’è prova della corruzione», ha detto il legale, precisando che «nel decreto avrebbero dovuto indicare almeno il corruttore». La Procura bresciana ha ribattuto. «Sono emersi sufficienti indizi per indagare sull’ipotesi di corruzione in atti giudiziari», ha spiegato il pm Moregola, aggiungendo: «Quello che è avvenuto non è una misura cautelare ma solo un’attività di perquisizione». L’udienza si è protratta fino alle 11.30, con scambi di tesi tra il pm e l’avvocato Aiello. Che uscendo dall’aula ha parlato di «senso di responsabilità» e ha annunciato un ricorso anche nel filone parallelo Clean 2, quello che ha già travolto alcuni carabinieri della «Squadretta» che lavorava con Venditti. Poi è toccato all’ex procuratore aggiunto. Ha preso la parola, brevemente ma con toni drammatici: «Ho la vita rovinata, non ho mai preso un euro al di fuori dello stipendio». L’ex magistrato ha definito le accuse «frutto di illazioni e suggestioni». Ai cronisti ha aggiunto: «Rifarei tutto quello che ho fatto. Tutto quello di cui sono accusato è frutto di illazioni, niente di concreto e di certo. Questa è la tragedia che mi sta colpendo». Sui dispositivi informatici sequestrati e sulle password non consegnate agli inquirenti, ha precisato: «Sono responsabilità del mio difensore. Ci dicano che cosa cercano e non ci sono problemi». Venditti infatti sarebbe stato pronto a consegnarle agli investigatori, ma leggendo il decreto di perquisizione e sequestro il suo difensore l’avrebbe stoppato. Per poi spiegare che si trattava di una investigazione troppo generica e che i pm avrebbero dovuto dettagliarla. Venditti ha anche negato di aver esercitato pressioni durante la sua carriera in Procura: «Io non ho mai esercitato pressioni, chiedevo soltanto, nel mio stile professionale, di avere le cose prima di subito (il riferimento, probabilmente, è alle affermazioni del carabiniere Giuseppe Spoto, che ha verbalizzato di aver dovuto consegnare le trascrizioni delle intercettazioni perché Venditti aveva fretta di scrivere la richiesta di archiviazione, ndr). I tempi della giustizia dovevano essere brevi, a me le lungaggini non piacevano e non piacciono». Venditti ha respinto anche le ipotesi di peculato (per l’automobile, un’Audi Q5, presa in leasing dalla Procura, che poi ha acquistato): «Il reato non mi è ancora stato contestato. Aspetto pure che mi si contesti il “Sistema Pavia”. Sistema significa associazione a delinquere, sono curioso che qualcuno mi accusi di essere stato a capo o partecipe di un’associazione finalizzata a che cosa? Dicono a pranzi, cene. E questa sarebbe un’associazione a delinquere?». Infine ha tirato fuori il piglio da magistrato, contestando alcuni passaggi a chi lo accusa: «Dicono che sono un corrotto ma non mi dicono chi è il corruttore, quando mi ha corrotto, come mi ha corrotto». Il collegio del Riesame si è riservato la decisione, che è attesa entro sabato. Ma nel frattempo si è aperto un altro fronte: quello della competenza territoriale. Tutto il fascicolo sull’omicidio di Chiara Poggi, su richiesta dell’avvocato Aiello, dovrebbe essere trasferito a Brescia. Il legale di Venditti ha presentato un’istanza alla gip pavese Daniela Garlaschelli, alle due Procure coinvolte e alle Procure generali dei distretti di Milano e di Brescia, ritenendo che ci sia una «connessione» tra i due fascicoli e che la magistratura competente a indagare sia quella titolata a farlo sui magistrati, quindi quella di Brescia. Ma sarà la Procura generale della Cassazione a decidere.
La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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(Imagoeconomica)
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
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Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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