2023-07-13
Solito strillo della sinistra: «Censura in Rai»
La richiesta del direttore del canale all news Paolo Petrecca di separare le notizie su Filippo Facci e sul presunto stupro commesso da La Russa jr scatena l’opposizione: «Informazione imbavagliata». Come se i progressisti non avessero occupato militarmente l’azienda.Eiar Eiar alalà. Siccome pare che ci siano i fascisti a Palazzo Chigi, ecco che in Rai (la vecchia Eiar) spunta improvvisamente l’allarme censura. Da alcuni giorni, sulla stampa laica, democratica e antifascista, si segnala un presunto fenomeno di scomparsa delle notizie in Viale Mazzini, da collegare ovviamente al fatto che alla guida del governo c’è Giorgia Meloni. Il caso eclatante sarebbe quello accaduto a Rainews.it, dove domenica è sparito da un pezzo sul figlio di Ignazio La Russa e il presunto stupro di Milano un passaggio dedicato al giornalista Filippo Facci. Alcuni redattori e il sindacato interno hanno protestato, ma il direttore Paolo Petrecca ha spiegato che aveva solo chiesto di separare le notizie. Sia come sia, ormai si parla di censura. Con tutto il rispetto per la cosiddetta «prima azienda culturale del Paese», non sarebbe proprio una gran novità che dalle parti della tv di Stato si pratichi la censura. Il fattaccio di Rainews ha procurato qualche titolaccio. Solo ieri, il Corriere riportava: «RaiNews.it, il cdr contro Petrecca. «Pezzi tagliati e omissioni»». Va detto che il cdr, ovvero il comitato di redazione, è quell’entità sindacale che agli editori piace solo quando attacca gli altri editori. Diversamente, non fa assolutamente notizia. Repubblica è stata più pesante: «Clima da caserma, la redazione si ribella. “Siamo diventati il Tg4”». Nel lungo articolo si racconta che nel servizio del mattino c’era un passaggio su Facci e la sua infelice frase su Libero, dedicata alla presunta vittima dello stupro. Un gioco di parole di cattivo gusto, sul quale si è scatenata una vasta polemica per il fatto che Facci dovrebbe avere un suo programma su Rai2 a settembre. Sempre secondo il giornale diretto da Maurizio Molinari, nel pomeriggio il riferimento a Facci è sparito perché sarebbe arrivata ai caporedattori una telefonata in tal senso del direttore Petrecca. Un graduato avrebbe spiegato che per il direttore «Facci non è una notizia». La giornalista ha eseguito, ma ha tolto la firma dal servizio. Se fosse vera, quella storia che «Facci non è una notizia», sarebbe da esserne contenti. In un paese normale, i giornalisti non dovrebbero fare notizia, ma trovarle.In ogni caso, lunedì sera Petrecca ha fornito la sua versione: «Io non ho tagliato niente. Ho chiesto di separare la polemica su Facci dalla notizia sul figlio dell’onorevole La Russa. Evidentemente è passata un’informazione sbagliata da parte della line a cui io l’ho comunicata. Possono non aver capito quello che ho detto». A parte la parola di Petrecca, chi lavora nelle redazioni sa che equivoci del genere sono abbastanza comuni, come anche i cazziatoni che ne seguono. Tuttavia, colpisce la sede in cui il giornalista ha dovuto difendersi: la commissione di Vigilanza Rai, ovvero la mamma di tutte le censure. Petrecca ha anche attaccato, definendo «pennivendoli» alcuni giornalisti che lo hanno criticato in questo anno e mezzo, dopo la nomina in quota Fratelli d’Italia quando al governo c’era Mario Draghi. A scanso di querele, ha tenuto a sottolineare che il termine viene da Giovanni Papini. Visti i tempi, forse citare Papini è un’aggravante, ma è giusto non censurarsi.Infortunio o censura, va anche detto che la seconda non sarebbe la peggior cosa che passa (anzi, non passa) nell’informazione televisiva. Pastoni indigeribili per mettere dentro tutti i politici da tener buoni, il famoso «panino» (dichiarazione governo, vocina dell’opposizione, chiusa del governo), interviste con domande anticipate e autorizzate dall’intervistato, rigida esclusione di personaggi «inaffidabili» da qualunque talk show e interviste microfono in mano ai passanti sul tema del giorno. Verrebbe quasi da dire che almeno, a censurare una notizia, ci vuole un minimo di coraggio e ci si prende anche dei rischi, perché tanto le notizie prima o poi escono e si fanno delle pessime figure. Invece manipolare ed edulcorare i fatti, magari rendendoli incomprensibili anche quando sarebbero chiarissimi, richiede una certa perfidia. Covid e Ucraina insegnano. Sulla censura in Rai, comunque, si potrebbero scrivere dei trattati. Senza andare indietro ai tempi della Dc, di Dario Fo e delle gemelle Kessler, la scorsa settimana Bianca Berlinguer ha raccontato al Fatto Quotidiano: «Quando ero direttore del Tg3, Matteo Renzi richiedeva due servizi al giorno, uno contro i 5 stelle ed un altro contro Bersani». Immediata la querela dell’ex premier, che ha smentito tutto. Però, Renzi a parte, non è che in Rai pretese del genere suonino completamente incredibili. Oltre mezzo secolo di lottizzazione partitica ha regalato ceste di frutti avvelenati e quando in Viale Mazzini comandava il centrosinistra si gridava ben poco alla censura. Neppure in testate tutto sommato non proprio popolarissime come Rainews.it.
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