
Donald Trump stoppa le esenzioni concesse a otto Paesi, compresa l'Italia, per l'importazione di greggio. Washington: «L'Arabia ne fornirà abbastanza». Rincari immediati. La potenza sciita: «Chiudiamo lo stretto di Hormuz».Stop da parte della Casa Bianca alle esenzioni che permettevano a otto Paesi, tra cui l'Italia, di importare limitate quantità di petrolio dall'Iran senza incorrere in alcun tipo di sanzione. L'annuncio è stato dato ieri dal Segretario di Stato, Mike Pompeo, il quale parlando per conto del presidente Donald Trump ha messo nero su bianco l'obiettivo di «portare a zero le esportazioni di petrolio dell'Iran, privando così il regime della principale fonte di sostentamento economico». Oltre al nostro, gli altri sette Paesi interessati dalla deroga erano Cina, Corea del Sud, Giappone, Grecia, India, Taiwan e Turchia. L'esenzione, accordata da Washington lo scorso novembre in occasione della partenza delle sanzioni contro l'Iran emesse a seguito della cancellazione dell'accordo nucleare stipulato nel 2015, prevedeva una durata di 6 mesi e mirava a tutelare quelle realtà considerate particolarmente esposte nei confronti di Teheran. La mossa di ieri, tuttavia, ha colto di sorpresa il mercato che si aspettava una proroga dell'esenzione in scadenza per il 2 maggio. Secondo le stime degli analisti, la decisione di non rinnovare la speciale dispensa impatterà in termini di produzione per circa 1 milione di barili al giorno. Subito dopo l'annuncio, i futures del petrolio sono schizzati immediatamente all'insù: a fine serata il Brent era a 74,35 dollari (+3,31%), mentre il greggio veniva scambiato a 65,80 dollari (+2,7%). La presa di posizione di Trump non farà altro che amplificare la contrazione dell'offerta che ha portato a un deciso aumento del prezzo del petrolio, toccando ieri i massimi da 6 mesi a questa parte. Solo a Natale, infatti, la quotazione del greggio era a 42,5 dollari mentre il Brent si trovava in zona 50 dollari. L'obiettivo politico, naturalmente, è quello di mettere l'Iran con le spalle al muro tramite una strategia che viene definita di «massima pressione». «Oggi abbiamo dimostrato la serietà della nostra posizione», ha aggiunto Pompeo, «stiamo arrivando ad azzerare tutto, e quanto tempo rimarremo a zero dipenderà dalle intenzioni dei leader iraniani. Le nostre richieste nei confronti dell'ayatollah e dei suoi compari sono molto chiare». L'amministrazione statunitense favorisce indirettamente Arabia Saudita e Emirati arabi uniti, rivali storici dell'Iran, i quali da par loro hanno garantito un adeguato approvvigionamento della fornitura di petrolio a seguito della sospensione delle esenzioni. «Nelle prossime settimane», ha dichiarato ieri il ministro dell'energia saudita Khalid Al-Falid, «ci coordineremo con le altre nazioni produttrici per garantire la stabilità e l'equilibrio del mercato petrolifero, per il bene dei produttori e dei consumatori e dell'intera economia mondiale». Su Twitter, il presidente Donald Trump ha assicurato che i due Paesi «colmeranno abbondantemente il divario nei flussi a seguito della piena entrata in vigore delle sanzioni sull'Iran». L'impatto previsto per il nostro Paese dovrebbe essere molto limitato, dal momento che insieme a Grecia e Taiwan le importazioni di petrolio dall'Iran erano già state azzerate. Diversa la posizione degli altri Stati colpiti dalla chiusura della deroga. Sul piede di guerra la Cina: nel corso di una conferenza stampa svoltasi ieri, Geng Shuang, portavoce del ministro degli Esteri, ha dichiarato che Pechino «si oppone alle sanzioni unilaterali e alla cosiddetta “long-arm jurisdiction" (ovvero la possibilità di esercitare il proprio potere anche all'estero, ndr) da parte degli Stati Uniti. La nostra collaborazione con l'Iran è aperta, trasparente, legale e del tutto legittima, e come tale deve essere rispettata. Il nostro governo è impegnato nella difesa dei legittimi interessi e diritti delle aziende cinesi e giocherà un ruolo positivo e costruttivo per la stabilità del mercato globale dell'energia». Critico nei confronti della posizione di Washington anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavasoglu, il quale si è detto convinto che le sanzioni «non saranno utili per la pace e la stabilità della regione iraniana». E nella serata è arrivata la reazione di Teheran. Voci vicine al ministro del petrolio iraniano sostengono che l'Iran è «preparato alla fine delle esenzioni». L'ammiraglio Alireza Tangsiri, comandante della Guarda Costiera iraniana, ha invece annunciato la possibile chiusura dello stretto di Hormuz, un fazzoletto di mare che divide la penisola arabica dalle coste dell'Iran nel quale transita circa un terzo di tutto il petrolio trasportato via mare. «Se si tratta di proteggere i diritti dell'Iran», ha tuonato Tangsiri, «non esiteremo a difendere il nostro onore e prendere adeguate contromisure». L'ennesima mossa di una partita a scacchi della quale ancora non si riesce a intuire l'esito finale.
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