2020-02-21
Straniero vade retro. L’accoglienza va bene solo se a incassare sono gli amici del Pd
Debora Serracchiani(Ansa)
In Friuli una multinazionale vince l'appalto per la gestione della struttura per migranti. E Deborah Serracchiani fa protezionismo.«Il Viminale chiarisca!». È una Debora Serracchiani particolarmente irritata quella che sibila la richiesta da dito indice puntato e da spalle al muro per l'interlocutore. Il Viminale chiarisca perché hanno vinto degli stranieri, perché quel bando lo ha permesso, perché la gestione dei migranti in Friuli Venezia Giulia non è più affidata ai tre amigos, perché il Pd che domina il governo ha subìto una simile disfatta. Non sarà facile rispondere per il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, che avrebbe preferito trascorrere un paio d'anni dentro il suo ufficio al ministero (con la luce accesa per mostrare la presenza h24 in chiave anti-Salvini) e invece è pressata da una spiacevole variabile dell'esistenza che si chiama realtà.La parlamentare del Pd ed ex presidente regionale non molla la presa, l'interrogazione a risposta scritta arriva a supporto di un'analoga iniziativa di Erasmo Palazzotto di Liberi e uguali: «Il Viminale verifichi le condizioni di aggiudicazione e di affidamento dell'appalto». Il fuoco di sbarramento è sorprendente e la scoperta piddina è imbarazzante: se si partecipa a un bando si può anche perdere. Chi l'avrebbe mai detto? È accaduto alla Casa Malala di Trieste, aperta nel 2016 e punto di riferimento-cardine per l'accoglienza (accoglienza non emergenza, non è fair) dei richiedenti asilo. Il centro era gestito dal Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e dalla Caritas diocesana, concentrati sull'aumentato flusso di arrivo dei disperati e sicuri che l'appalto sarebbe stato rinnovato a loro nella casa di Fernetti (95 posti), a due passi dal confine, terminal italiano della rotta balcanica. E invece no.Al bando per la gestione della struttura hanno partecipato, secondo i principi cari al globalismo di Bruxelles, altre tre società, tre «visitors» come li ha battezzati Il Piccolo, storico quotidiano locale del gruppo Gedi: la Cooperativa Stella con sede a Vercelli, il raggruppamento temporaneo d'impresa Versoprobo (anch'esso piemontese) e la Ors Italia con sede a Roma, costola della svizzera Ors che gestisce decine di strutture in Svizzera, Germania e Austria. Una vera e propria multinazionale dell'accoglienza, controllata dalla finanziaria londinese Equistone Partners, che fa business sui migranti senza doverlo nascondere dietro nuvole d'incenso e frasi fatte da catechismo. Ebbene, ha vinto. Ha proposto un ribasso d'asta del 14% e si è aggiudicata l'appalto. Per la prefettura di Trieste «il controllo della documentazione amministrativa si è concluso positivamente con l'ammissione di tutti gli offerenti». Il problema è che ha vinto quello sbagliato.Operate le verifiche tecniche sul dossier di presentazione e sulle reali possibilità di mantenere servizi standard pure a costi inferiori, tutto dovrebbe procedere secondo la legge. Chi vince lavora, e anche se a molte onlus italiane del settore viene la pelle d'oca: business is business. Invece no. Serracchiani non ci sta, il colpo per Ics e Caritas è paragonabile a uno schiaffo. E parte la reazione politica, supportata da dubbi, insinuazioni, distinguo. «Il ribasso del 14% che ha permesso l'aggiudicazione appare anomalo dal punto di vista tecnico ed economico», tuona la parlamentare in difesa dei calpestati interessi glocal. Che aggiunge: «La mancanza di esperienza triennale di questa società, nonché il carattere esplicitamente commerciale dell'impresa sollevano dubbi sulla qualità dei servizi assicurati». Una posizione singolare. Così turboeuropeista da auspicare fin dal 2011 (quando era europarlamentare) l'ingresso di operatori ferroviari sul mercato per «realizzare uno spazio unico europeo», la Serracchiani diventa improvvisamente a chilometro zero sulle onlus.Le interrogazioni al ministro Lamorgese somigliano a una seduta di autocoscienza collettiva, laddove si parla di «assalto delle holding straniere e business dell'accoglienza» e si paventano sbarchi, questa volta perniciosi, di società o onlus estere «consentendo che sul futuro di tali centri possano mettere le mani delle realtà discutibili interessate solo al profitto, a discapito di migranti e contribuenti». Traduzione: è business solo quando lo fanno gli altri. E per impedirglielo non abbiamo alcun problema - noi del Pd - a tifare per gli italiani, quindi a diventare stupendamente sovranisti. Anzi localisti, identitari, ma in senso buono. La Ors, contro la quale si erano scagliate tempo fa alcune associazioni cattoliche forse perché concorrenziale, ha strategicamente scelto l'Italia dopo essere stata al centro di polemiche in Austria; a Traiskirchen era stata accusata dopo un'inchiesta di Usa Today di avere stipato con 4.600 persone un hub progettato per 1800. Di conseguenza tutte le verifiche sono necessarie, sempre dentro i parametri della correttezza formale per non incorrere nel rischio di turbativa d'asta.La vicenda è illuminante, la dice lunga sulle curve psicanalitiche, sugli opportunismi e sul frainteso spirito di servizio di molte onlus, soprattutto alla luce della ribellione avvenuta tempo fa tra le cooperative sociali dell'Emilia Romagna. Quando, di fronte al taglio dei famosi 35 euro voluto da Matteo Salvini, alcuni operatori minacciarono di non più partecipare ai bandi «perché non ci stiamo dentro», con linguaggio da salsamenteria più che da afflato sociale per il bene comune. «Il Viminale chiarisca!». Per noi è già tutto molto chiaro.
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L’AIE cambia idea, niente picco di domanda. Tassonomia Ue, gas e nucleare restano. Stagione atlantica avara di uragani. La Germania chiede più quote di emissione. Cina in ritardo sul Net Zero. Maxi-diga in Etiopia.