
Il giurista: «Sulle sospensioni dei lavoratori, la Consulta non si è espressa. I ricorsi possono essere ancora portati in tribunale».Luci e ombre. Carlo Iannello, costituzionalista dell’Università Vanvitelli della Campania, propone una lettura acuta delle sentenze con le quali la Consulta ha «assolto» l’obbligo vaccinale per i sanitari. Professore, partiamo dal ricorso giudicato inammissibile. Era stato presentato da una psicologa non vaccinata, alla quale era stato impedito di lavorare in smart working.«Quella sentenza lascia aperta la questione della costituzionalità. E rinviando la decisione al giudice ordinario, dà la possibilità di portare la vicenda in tribunale per altri dieci anni».Quella della psicologa era la situazione più assurda.«Se la Consulta fosse entrata nel merito, sarebbe stata difficilmente difendibile la razionalità della legge. La poverina operava in smart working da prima della pandemia: le è stato tolto un lavoro che già svolgeva, privo di relazioni interpersonali e quindi a zero rischio contagio».Le sentenze controverse sono quelle di Filippo Patroni Griffi e Stefano Petitti.«In quella con estensore Petitti troviamo due principi giusti ma anche una contraddizione».Ovvero?«Primo, che chi non si vaccina esercita un suo diritto fondamentale. Secondo, che la sospensione dal lavoro non si può quindi connotare come una sanzione».Perdere lo stipendio cos’è?«Per chi vive di stipendio, era ben altro che una sanzione… C’è indubbiamente un elemento di contraddittorietà: se la sospensione non è una sanzione, come si giustificano l’assenza totale di retribuzione e il mancato repechage?».Se proteggere i medici dal contagio serviva a garantire la funzionalità della sanità, che senso ha avuto allontanare dai reparti i renitenti?«Esatto. Avvalersi di una prestazione lavorativa, magari non a stretto contratto con i pazienti più a rischio, avrebbe migliorato la funzionalità del sistema. Ma nelle tre sentenze ci sono luci e ombre. Finora le ho detto le ombre».Guardiamo le luci. «Io ravviso, in quella con estensore Patroni Griffi, anche una lettura coerente con la giurisprudenza sull’articolo 32 della Costituzione».Ci spiega meglio?«Quella sentenza si pronuncia sull’ordinanza di remissione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Da un lato, l’ordinanza rilevava che i vaccini erano poco sicuri; dall’altro, osservava che il beneficio per la collettività, requisito necessario per giustificare l’obbligo, era raggiunto in virtù della diminuzione dei ricoveri». Questa interpretazione che conseguenze avrebbe avuto?«Avrebbe compromesso il principio della libertà di autodeterminazione dell’individuo. Il fatto è che questa non era soltanto un’interpretazione singolare e inusuale del giudice siciliano».Cos’era?«Coincideva con il contenuto di un documento, di poco successivo, dell’Oms».Ovvero?«Il documento, risalente al 30 maggio 2022 e dedicato alle “Considerazioni etiche sulla vaccinazione obbligatoria”, al paragrafo 1 sosteneva proprio questo: “La vaccinazione obbligatoria dovrebbe essere considerata solo se necessaria e proporzionata al compimento di uno o più importanti obiettivi sociali o istituzionali, tipicamente, ma non esclusivamente, di salute pubblica, ma anche obiettivi di carattere economico e sociale, come prevenire la crisi del sistema sanitario”». Il problema dove starebbe?«La tesi del giudice siciliano, letta nella chiave dell’Oms, avrebbe determinato quella che, nel mio libro, ho chiamato un’interpretazione abrogatrice dell’articolo 32 della Costituzione: se lo scopo è “salvare” il sistema di cura, possiamo imporre qualsiasi trattamento sanitario».La sentenza di Patroni Griffi ha disinnescato il pericolo?«Sì. Mentre le considerazioni del Cga siciliano, ovviamente, compaiono nel “Considerato in fatto”, esse spariscono nel “Considerato in diritto”. Si parla solo dell’obiettivo di bloccare il contagio che, con i dati disponibili quando è stato varato il decreto, viene giudicato ragionevole».Ammettiamolo pure. La Consulta, però, riconosce che ogni misura «può e deve mutare in base all’evoluzione» della pandemia. Solo che l’obbligo vaccinale è stato prorogato e basta. Non è un’altra contraddizione?«La sua osservazione è giusta. Quando parla del periodo in cui è entrata in vigore la norma, il giudice costituzionale dettaglia in maniera puntuale. Ma quando parla di Omicron, propone una ricostruzione molto sintetica. Spiega che si deve andare “al di là […] della maggiore capacità” di quella variante “di eludere l’immunità”, ribadendo che la protezione del vaccino rimaneva elevata contro la malattia grave e che, comunque, nessun vaccino è efficace al 100%».La Consulta glissa proprio sul punto che avrebbe incrinato il ragionamento? «Esatto. E poi, la sentenza con estensore Patroni Griffi sottolinea che “la durata dell’obbligo è stata più volte modificata, sempre in base all’andamento dei contagi e all’evoluzione della pandemia, […] per poi essere infine anticipata” al primo novembre 2022».Quindi?«L’anticipazione del reintegro dei sanitari diventa così parte della motivazione che giustifica la ragionevolezza della norma. Cosa sarebbe successo se il governo non avesse anticipato la fine dell’obbligo vaccinale?».Sta dicendo che, paradossalmente, il governo Meloni e il ministro Orazio Schillaci hanno servito un assist alla Consulta per salvare il decreto di Mario Draghi?«Era qui che volevo arrivare. Il giudice costituzionale ha potuto fare una valutazione ex ante, cioè mettendosi nella prospettiva del legislatore ad aprile 2021, proprio perché l’obbligo, a fine novembre 2022, non era più attuale. Altrimenti, la valutazione ex ante sarebbe stata impossibile: la Consulta non avrebbe potuto glissare sullo scenario Omicron».È impossibile pensare che sia stato fatto apposta, no?«Non lo posso affermare».Sarà stata una conseguenza non intenzionale di una buona azione? Lei è napoletano e conosce Giambattista Vico…«Ecco: è stato un tipico caso di eterogenesi dei fini…».
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