2024-04-26
Stellantis e la storia del prestito Sace restituito prima per aver mani libere
John Elkann (Getty images)
I 6,3 miliardi incassati dagli Elkann nel 2020 li impegnavano a investire qui, ma il loro obiettivo era potenziarsi in Francia. Mossa di Paolo Berlusconi: si accorda con la cinese Dongfeng, che sta puntando al nostro mercato.Da mesi le cronache economiche si occupano di Stellantis e del disimpegno progressivo sull’Italia. Le cronache giudiziarie invece si sono concentrate sull’eredità Agnelli e sulla faida interna alla famiglia che ha portato John Elkann a finire indagato (assieme ai fratelli Lapo e Ginevra) per dichiarazioni fraudolente e truffa ai danni dello Stato. L’ultima puntata della telenovela riguarda le dichiarazioni fatte trapelare dal gruppo via agenzie stampa. La sostanza è stata: senza incentivi non si vendono le auto elettriche. E dunque se non arriveranno altri incentivi, la prospettiva è quella di chiudere Mirafiori. Premessa, per capire che si tratta di una mossa esclusivamente politica basta analizzare i numeri. Lo scorso anno solo 2.000 Fiat 500 uscite da Mirafiori sono state acquistate con incentivi. Le altre non avevano le caratteristiche di base per godere dei bonus. Nessuna Maserati è stata invece acquistata con sussidi. Giusto così, visto che si tratta di auto di lusso e suonerebbe un po’ strano l’aiuto da parte dello Stato. Anche ieri abbiamo affrontato il tema, il direttore Maurizio Belpietro ha aggiunto un commento dal titolo esaustivo. «Ricatto Agnelli: niente soldi? E noi chiudiamo la fabbrica». Abbiamo ricevuto alcune mail di lettori di parere un po’ diverso, ma contenenti alcuni spunti molto interessanti sul problema della deindustrializzazione del Paese. I lettori ci hanno ricordato che nel 2020 Sace, la finanziaria di Stato, ha concesso un prestito Covid da 6,3 miliardi tramite Intesa e che quel fido correttamente restituito è comunque servito a sostenere sia la filiera che gli azionisti che rappresentano non solo la famiglia Elkann/Agnelli ma anche il mercato. «L’industria italiana non esiste più», proseguono le lettere e quindi si rende necessario avviare un programma strategico di sussidi per evitare la totale deindustrializzazione e che Stellantis scappi dall’Italia definitivamente. Ci corre l’obbligo di fare una precisazione. Il prestito da 6,3 miliardi è stato concesso a maggio del 2020 e restituito a gennaio del 2022 con oltre un anno di anticipo rispetto alla scadenza. L’erogazione del fido rese necessario un apposito decreto perché l’allora governo Conte bis aveva posto a condizione dell’80% di garanzia Sace l’impegno a investire in Italia e far crescere le linee produttive. Da qui senza paura di essere smentiti la decisione di rimborsare le quote mancanti dopo due anni. L’obiettivo è stato quello di tenersi le mani libere e concentrare gli investimenti in altri Paesi. Soprattutto in Francia. Nessuna meraviglia, visto che la storia di Fiat, Fca e ora Stellantis sul tema aiuti pubblici mantiene una costante. I 220 miliardi di euro in finanziamenti che la Fiat, secondo un’analisi di Federcontribuenti, avrebbe ricevuto dall’Italia dal 1975 a oggi - tra casse integrazioni, prepensionamenti e contributi vari - sarebbero in realtà molti di più. A scriverlo a febbraio scorso sul Sole 24 Ore è stato Paolo Bricco, giornalista esperto di storia industriale, facendo notare come le cifre esatte del sostegno pubblico alla casa automobilistica fondata da Giovanni Agnelli probabilmente non si conosceranno mai. Per via dei cambi societari e delle numerose riorganizzazioni. Prima nel 2004 con Sergio Marchionne, poi con i passaggi ad Amsterdam e i fallimenti dei piani Fabbrica Italia e Polo del lusso. Nel 2018 «la Fca vende Magneti Marelli, l’ultima struttura tecnologica buona che aveva in pancia in Italia, ai giapponesi di Calsonic», scrive sempre il Sole 24 Ore, «per la cifra di 6,2 miliardi di euro». Subito dopo, nel 2019, gli azionisti si attribuiscono un dividendo da 2 miliardi. Legittimo? Sì e no. Visto che li si sarebbe potuti investire in Italia. Nessuno ha fatto adeguata moral suasion al tempo. E ormai la frittata è fatta. Almeno dovremmo però ora imparare la lezione. E alzare lo sguardo su un tema più ampio, ciò che i lettori evidenziano quando sottolineano il pericolo deindustrializzazione. Purtroppo siamo finiti in un cul de sac. Stellantis sa che non può essere cacciata come fatto con Arcelor Mittal e sa bene che l’Italia non ha alternative. Non solo perché è difficile trovare altre case disposte a investire, fatto salvo quelle cinesi che però rischiano di avviare un loop negativo. L’arrivo di case disposte a sviluppare auto elettriche da un lato forza, come abbiamo visto e pure ha ammesso Stellantis, il mercato verso un prodotto che il consumatore italiano non desidera. Le vendite delle elettriche non solo non decollano, ma calano rispetto al 2023. Inoltre, le vetture cinesi rischiano di spaccare ulteriormente l’industria europea che non può contrastare quel tipo di concorrenza e di prezzi (troppo bassi per qualunque produttore del Vecchio Continente). È con tale lente che va letta la notizia di Dongfeng. Il colosso cinese ha avviato le trattative con il governo per aprire una fabbrica da 100.000 vetture l’anno. Il comitato del golden power si è espresso con parere positivo, senza porre alcuna prescrizione. Ieri è entrato nella partita Paolo Berlusconi che ha investito nel 10% di DF Italia, il rivenditore ufficiale dei suv elettrici di lusso del gruppo. A oggi peraltro i motori cinesi già vivono nelle auto che vengono assemblate in Italia: la stessa Dongfeng insieme a Cmc con sede a Milano; Eumc, Eurasia Motor company, che a Palazzolo sull’Oglio (Brescia) monta i motori della cinese Geely sui suoi crossover; Ia, più nota Dr Automobiles, fondata a Isernia nel 2006 che costruisce e vende, in Italia, i suv e importa dalla Cina i componenti (ha accordi con Chery, Baic e la stessa Dongfeng). Insomma, qualcosa si muove, ma il terreno è molto scivoloso. Da un lato c’è l’investimento nel breve termine e dall’altro la necessità di mantenere vivo quell’indotto che ha fatto grande l’Italia.
Mario Venditti. Nel riquadro, Silvio Sapone in una foto agli atti dell’inchiesta di Brescia (Ansa)
(Totaleu)
Lo ha affermato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Pietro Fiocchi in un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles, in occasione dell'evento «Regolamentazione, sicurezza e competitività: il ruolo dell’Echa (Agenzia Europea per le sostanze chimiche) nell’industria e nell’ambiente europei».
Il ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Ansa)