2025-10-14
Garlasco, la Squadretta di Venditti spaccata negli interrogatori del pm
Mario Venditti. Nel riquadro, Silvio Sapone in una foto agli atti dell’inchiesta di Brescia (Ansa)
Gli ex carabinieri della Procura Spoto e Sapone si contraddicono su ordini ricevuti e attività di indagine nell’inchiesta su Sempio del 2017. I due erano alle dipendenze dell’ex magistrato indagato per corruzione. Le prime crepe nella «Squadretta» dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, indagato a Brescia per diversi episodi, tra cui un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari legata all’archiviazione della posizione di Andrea Sempio nel 2017, emergono dai verbali di sommarie informazioni testimoniali firmati lo scorso 26 settembre, a distanza di poche ore, dal luogotenente Silvio Sapone e dal suo sottoposto, il maresciallo Giuseppe Spoto. Entrambi appartenevano alla stessa aliquota di polizia giudiziaria e, come hanno riferito alcuni colleghi sentiti nell’inchiesta «Clean 2», avevano avuto la possibilità di frequentare il cosiddetto «stanzone» della Procura, ovvero un grande open space usato «per l’ascolto delle intercettazioni» che era considerato l’olimpo degli ufficiali di pg. Un luogo al quale potevano accedere solo pochi eletti, ovvero gli investigatori appartenenti alla «Squadretta» di Venditti. Un gruppo affiatato, le cui dinamiche sono state ricostruite dalla Verità. Che ora, però, davanti alla nuova attività investigativa bresciana, sembra procedere in ordine sparso. Le parole di Sapone e di Spoto, messe una accanto all’altra, mostrano delle falle: contraddizioni su chi impartiva gli ordini e su chi parlò con Andrea Sempio.Sapone, che da testimone non si può permettere il lusso di mentire, a verbale sostiene con fermezza: «Io non ho mai parlato con Sempio. Non conosco nessuno della famiglia Sempio. E neppure conosco i nomi dei loro avvocati». Agli inquirenti bresciani, però, risulta che quando Spoto avvisò Sempio della sua «visita» per la notifica dell’invito a comparire in Procura per rendere interrogatorio, l’8 febbraio 2017 (un’attività durante la quale fu installata una microspia nell’auto dell’indagato), disse: «So che hai già parlato con Sapone». E ora, davanti agli investigatori delegati dalla Procura di Brescia, Spoto conferma: «Se a Sempio ho detto così è perché Sapone mi aveva detto di averci parlato». Gli investigatori lo incalzano: «Sa perché Sapone aveva parlato con Sempio?». Risposta: «Sapone non mi ha mai detto nulla. Onestamente non ricordo la circostanza, ma se a Sempio ho detto questo, sicuramente me lo aveva detto Sapone». Anche sulle attività svolte otto anni fa hanno versioni divergenti, seppure operassero gomito a gomito. Sapone conferma che «Spoto lavorava come maresciallo dei carabinieri» con lui «in Procura». Nel 2017, infatti, Sapone era ancora il comandante dell’aliquota (dall’inchiesta Clean 2 emerge che anche quando andò in pensione fu trovato un modo per trattenerlo in servizio e rivestì il ruolo di vice procuratore onorario). Il luogotenente Sapone, però, in relazione al fascicolo su Sempio, ora ricorda solo «vagamente» che «furono fatte delle intercettazioni, forse anche dei pedinamenti». Di cui, però, non c’è traccia nel fascicolo. Spoto sembra avere migliore memoria e, rispondendo alla domanda su chi gli avesse dato l’ordine di effettuare la notifica, afferma: «Me lo disse il dottor Venditti o il luogotenente Sapone». Un’altra domanda li mette in difficoltà, questa: «Dall'invito che le viene mostrato nota che siano indicati elementi di prova a carico dell’indagato?». Sapone è sicuro: «No, non ci sono». Ma dalle intercettazioni ambientali registrate a bordo dell’auto di Sempio il 9 febbraio 2017 emerge un’anomalia rilevante: Andrea, mentre parla con il padre e la madre, mostra di conoscere particolari contenuti nell’esposto dei Poggi che aveva dato origine al fascicolo d’indagine e che non dovevano essergli noti. Sul punto, Sapone risponde con un «non so». Spoto, invece, che sostiene di «non» aver «mai letto l’esposto», sceglie lo scaricabarile sui suoi superiori: «Forse lo ha letto Sapone e sicuramente i pm (oltre a Venditti il procedimento era delegato a Giulia Pezzino, che di recente si è dimessa dall’ordine giudiziario, ndr). Io sapevo grosso modo che avevano trovato il Dna e che bisognava fare indagini». Le divergenze, però, non sono finite. I tempi di quella notifica risultano particolarmente lunghi: 1 ora e 10 minuti, dalle 16.35 alle 17.45. Per Sapone ci sarebbero voluti «dieci minuti più o meno». Spoto ha la spiegazione pronta e dice di avere dovuto «far perdere tempo a Sempio, perché dovevamo fare l’installazione sulla vettura (di una microspia, ndr) e siccome […] il tecnico della ditta aveva sbagliato strada […] mi sono dovuto trattenere con Sempio per evitare che si accorgesse dell’intervento». L’attività captativa, però, era partita molto prima, e precisamente all’1,35 di notte, con un messaggio di «prova». Ma Spoto ribadisce: «La microspia venne installata all’orario della notifica» e giura che a provarlo ci sia un «verbale di operazioni tecniche». Ed è a questo punto che salta fuori il nome di un altro carabiniere della «Squadretta»: «Ero con il maresciallo Scoppetta (condannato a 4 anni e 6 mesi per stalking e corruzione, ndr)», ricorda Spoto, «che, però, è rimasto fuori ad aspettare il tecnico per l’installazione». Il suo comandante, però, sembra non conoscere i dettagli di quella notifica e dà una versione molto più abborracciata: «Magari con Sempio», dice Sapone, «si sono visti dopo o magari (Spoto, ndr) è andato a fare la spesa e poi è tornato per la notifica. Non mi disse nulla». L’ultimo aspetto da chiarire riguarda le intercettazioni, quelle che venivano ascoltate nello «stanzone». Spoto, emerge dall’indagine Clean 2, aveva un livello di accesso alla strumentazione di captazione «illimitato». Nel corso di un’ambientale del 9 febbraio 2017, Sempio, appena uscito dallo studio del suo avvocato, dice alla madre: «Praticamente ’sti investigatori qua sono andati a ripescare telefonate di nove mesi fa, che io chiamavo verso l’una di notte». Per gli inquirenti bresciani la domanda è inevitabile: come poteva sapere quei particolari prima ancora di essere interrogato? In questo caso, però, i due carabinieri sembrano allineati: «Non saprei spiegarmelo» replica Spoto. Mentre Sapone risponde con un altro «non so». E le intercettazioni trascritte solo parzialmente? Qui il discorso si fa ancora più interessante. «Ricordo», sostiene Spoto, «che mi venne chiesto in tutta fretta di trascriverle, tanto è vero che le feci in uno o due giorni, perché il dottor Venditti disse che gli servivano subito per fare l’archiviazione». Probabilmente senza neppure conoscerne il contenuto. Difficile spiegare oggi una simile fretta, in considerazione della delicatezza dell’argomento.Gli investigatori leggono al testimone una delle sue trascrizioni: «Nel tratto in cui i Sempio fanno riferimento ai soldi lei trascrive “parlano del modo in cui pagare gli avvocati (definiti «quei signori lì», ndr)”». Si capisce che i Sempio si confrontavano su come prelevare senza lasciare traccia. Negli uffici della Guardia di finanza vanno dritti al punto: «Ritiene che dovessero pagare i legali?». La risposta di Spoto è questa: «Per come la leggo io sì». E sottolinea la premura che gli era stata messa in Procura: «Poi onestamente vi dico una cosa, il dottor Venditti mi chiese le trascrizioni in fretta, quindi è possibile che sia stata qualche inesattezza». Una versione che non deve aver convinto del tutto chi indaga, visto che i conti corrente di Spoto sono stati controllati. Dall’analisi è emerso che nel 2017 la moglie inviò un bonifico con causale «regalo per Giuseppe» dall’importo di 1.000 euro e che lui stesso ne depositò altri 1.000, operazioni che ora il maresciallo sostiene essere state effettuate «per affrontare delle spese legali».
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)