
Pil in picchiata, famiglie e imprese alla canna del gas. Ma i soldi Ue arriveranno nel 2023.Brutto e impossibile. Se va bene sarà inutile; se va male sarà invece ancor più inutile. È il destino del Recovery fund, oggetto di discussione nel prossimo Consiglio europeo del 17 luglio. La cronaca intanto ci dice che il Pil dell'Italia nel 2020, secondo le previsioni di Eurostat, crollerà dell'11,2% contro un calo medio dell'8,3% per l'intera Ue. Peggio di noi nessuno. Risairà del 6,1% nel 2021. Praticamente nulla, perché per recuperare il reddito perduto dovremmo crescere di poco sotto il 13%. Poi arriva Banca d'Italia a rendere noti i risultati di una sua indagine straordinaria sulle famiglie, dalla quale emerge che quattro italiani su dieci non sono in grado di rimborsare il mutuo e uno su tre ha risparmi che consentono di tirare avanti meno di tre mesi. Poi arriva l'Istat a certificare che il 38% delle imprese italiane è a rischio chiusura. Mentre l'Ocse chiarisce che nel 2020 l'Italia rischia di perdere posti di lavoro pari a 1,5 milioni. In una situazione così disastrata servono tanti soldi e servono subito. E l'unico modo per farli arrivare è quello di fare più deficit, vale a dire uno scostamento di bilancio che metta nell'economia quei soldi che servono e che stanno in un posto solo. La stanza magica dove questi vengono creati dal nulla; vale a dire la Bce. Che però condividiamo con altri 18 coinquilini, il più prepotente dei quali, vale a dire la Germania, il prossimo 16 luglio nel consiglio direttivo della Bce farà la voce grossa per bocca del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann. Il programma di creazione di denaro finalizzato all'acquisto di titoli (Pepp) non può essere sbilanciato in favore dell'Italia. Se la Bce deve acquistare Btp, lo faccia in proporzione al capitale (meno del 17%), non in base alla «flessibilità» che Christine Lagarde si è concessa, grosso modo il 22% del totale. Su un programma di 1.350 miliardi sono bei soldi. Ballano quasi 60 miliardi di Btp in più o in meno. Il Recovery fund di cui si discuterà la prossima settimana a Bruxelles diventa quindi uno strumento assolutamente inutile. Il programma, se tutto va bene, potrà vedere la luce sul finire del 2021. Ma secondo gli analisti di Politico.eu questo significa veder scorrere i soldi dentro la nostra economia non prima del 2023. Un po' come soccorrere un moribondo dissanguato prenotando una prima visita ematologica a sei mesi cui seguirà l'effettiva trasfusione di sangue dopo un anno. Il paziente nel frattempo muore. Sembrano essersi accorti della gravità della situazione pure il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, e Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue. Il loro apporto sembra però essere, tornando alla similitudine del moribondo, quella di fornire il numero diretto per prendere l'appuntamento con l'ematologo. Si insiste nel caldeggiare l'intesa sul Recovery fund che però, vista la resistenza dell'Olanda e degli altri Paesi del Nord, sarà di importo complessivamente inferiore, con una maggiore incidenza dei prestiti e una minore quota di stanziamenti a fondo perduto riservata all'Italia. Ma il compromesso non potrà che essere al ribasso, essendosi Giuseppi Conte e Roberto Gualtieri già ampiamente dichiarati soddisfatti in merito alla proposta iniziale di Ursula von der Leyen. Un rilancio è impossibile. «Astuti come cervi» per dirla alla Mario Monicelli in Amici miei. Ma tutti sanno che il Recovery fund è come il segreto di Pulcinella: «Visto che arriverà, intanto prendiamoci il Mes». E qui si cominciano a fare i conti con il pallottoliere al Senato. I bene informati giurano che dentro al M5s il fronte del no al Mes è compatto. Sulla carta pentastellati, Lega e Fratelli d'Italia contano su almeno 175-178 voti. Una maggioranza ampia che potrebbe reggere anche a un voto contrario nel resto dell'Aula, con l'aggiunta di una quindicina di traditori nel Movimento. In questo caso a cadere sarebbe Giuseppi. Visto il disastro sarebbe il minimo sindacale.
(IStock)
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