La nuova pubblicità della Chicco spiega che «se le culle sono vuote la nazione muore» e invita gli spettatori a fare più figli per il bene del Paese. Ma su Internet si scatena la polemica: «È un messaggio fascista. Discrimina le coppie omosessuali».
La nuova pubblicità della Chicco spiega che «se le culle sono vuote la nazione muore» e invita gli spettatori a fare più figli per il bene del Paese. Ma su Internet si scatena la polemica: «È un messaggio fascista. Discrimina le coppie omosessuali».Ieri si celebrava la Giornata mondiale della popolazione, una curiosa ricorrenza organizzata dalle Nazioni unite, secondo le quali gli abitanti del mondo, nel 2100, saranno ben 11,2 miliardi. Di questi però - a meno che non muti il trend demografico - gli italiani saranno pochissimi, per non dire quasi nessuno. I dati dell'Istat li conosciamo: nell'arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite nel nostro Paese sono diminuite di oltre 100.000 unità e i primi figli sono calati del 20%. Un quadro desolante. Non è un caso che uno dei più celebri marchi italiani, Chicco, nella nuova campagna pubblicitaria abbia leggermente modificato il suo slogan. Da «Chicco dove c'è un bambino» è passato a «Chicco dove ci sarà un bambino». Come a dire: non resta che investire sulla speranza di una inversione di tendenza. E infatti l'azienda, a modo suo, ha deciso di contribuire alla causa. Sta mandando in onda uno spot - apparso sugli schermi anche durante le partite dei mondiali - che tifa per un nuovo baby boom. È una pubblicità attraversata da una vena stupidina - silly, come si usa dire - ma estremamente divertente, quasi candida nel suo entusiasmo. Tutto inizia con l'esclusione dell'Italia dai mondiali: una «tragedia», dice la voce fuori campo, impostata alla bisogna. Lo speaker spiega che, nel passato, dopo ogni mondiale vinto si assisteva a un aumento delle nascite. Poi, sempre sul filo dell'ironia, lo annuncia: «Oggi però la realtà è diversa e la soluzione… Ovvia: facciamo un altro baby boom! Abbiamo bisogno di migliaia, milioni, trilioni di bambini che ci aiuteranno a crescere portando l'Italia dove è giusto che sia». Da lì è tutto un crescendo. Scorrono immagini di coppie che si baciano e che si avvinghiano, la musica sale d'intensità e le parole corrono di conseguenza: «Facciamolo per l'Italia, facciamolo tutti, l'uno con l'altro, sommiamoci e moltiplichiamoci all'infinito […] Facciamolo per amore o semplicemente per voglia di farlo. Facciamolo dovunque, ovunque, e comunque sia. Facciamolo per l'Italia perché in questo Mondiale, i gol li segniamo noi». Chiaro: il messaggio di Chicco è piuttosto interessato. Il marchio è di proprietà di Artsana, azienda nata nel 1946 sulle rive del Lago di Como per volontà del cavalier Pietro Catelli. Sforna prodotti per l'infanzia, dunque è abbastanza ovvio che, se la natalità aumentasse, avrebbe qualcosa da guadagnare. Il fatto, però, al di là del tornaconto personale, è che lo spot in questione è totalmente diverso da qualunque altra pubblicità circoli in televisione. Oggi si pubblicizza di tutto, dal preservativo al lubrificante passando per il test di gravidanza super preciso che permette di scongiurare ogni imprevisto. Per la prima volta, appare un inno alla natalità. Il quale ricorda, per altro, che i bambini si realizzano solitamente tramite l'accoppiamento, particolare che oggi - tra fecondazioni eterologhe e uteri a noleggio - tendiamo a dimenticare. Con il suo piglio scherzoso, lo spot si rivela alla fine estremamente serio e pieno di contenuti. E infatti è stato sommerso di critiche sui social network. Per lo più, la pubblicità viene accusata di fascismo. Sulla Rete c'è chi va a ripescare la propaganda pro natalità del regime mussoliniano, c'è chi s'indigna e chi s'infuria. «Davvero degna del miglior Benito dei tempi d'oro», scrive uno. «Ma cos'è, il Ventennio? Fatelo per la patria?», dice un altro. La massa commenta più o meno utilizzando gli stessi toni. Poi, immancabile, c'è il versante Lgbt della polemica. C'è l'attivista che si lamenta perché la pubblicità «non è inclusiva nei confronti delle famiglie rainbow senza diritti e private di dignità». C'è quell'altro che si lamenta perché i benpensanti non si scandalizzano di fronte a «gente che si spoglia e limona potente», cosa che invece avviene con i gay. In realtà, le immagini dello spot sono tutt'altro che scandalose. Semmai sono gioiose, e hanno ben poco di erotico. Soprattutto, però, è curiosa la notazione rabbiosa sull'esclusione delle coppie omosessuali. Che cosa avrebbe dovuto mostrare la pubblicità? Forse due maschi che volano in Ucraina per pagare una madre surrogata? O due donne che compensano un donatore di seme? Il messaggio di Chicco è semplice: non disperatevi per il mondiale, accoppiatevi e fate bambini. Gli omosessuali possono accoppiarsi, ma non fare figli: non è una offesa o una discriminazione, è la realtà. Eppure, basta un invito a far aumentare le nascite per suscitare accuse di omofobia e fascismo. Già, il fascismo. È davvero stupefacente che si evochi il regime di fronte a una pubblicità che invita a riprodursi di più. Tutto ciò dimostra che il crollo demografico non è soltanto una questione economica. Su Twitter, molti hanno criticato lo spot sostenendo che sarebbe da incoscienti mettere al mondo dei bambini in un Paese come questo, economicamente provato. C'è una parte di verità, in questa argomentazione: fino ad oggi le famiglie, specie quelle di recente formazione, non sono state adeguatamente sostenute dai governi. E di sicuro il clima generale della nazione non favorisce l'ottimismo. Tuttavia, il problema è più profondo, più radicato. Non è soltanto una faccenda di soldi: se non ci riproduciamo più è perché abbiamo cambiato totalmente mentalità. Non abbiamo il coraggio di affrontare il mistero e l'imprevisto della nascita, non abbiamo sufficiente disponibilità al sacrificio e alla fatica. La pubblicità Chicco mette - forse involontariamente forse no - il dito dentro questa piaga. Ricorda che, in fondo, far aumentare le nascite è semplice, basta volerlo. Oggi, però, è più facile e più di moda suggerire altre soluzioni. Per esempio quelle proposte dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, che invita a far entrare più immigrati onde compensare il calo demografico. Ecco il segno dei tempi: se un Boeri o una Emma Bonino spiegano che dobbiamo sfruttare il «giardino di infanzia» africano per colmare il vuoto demografico, la massa non fiata, anzi sembra approvare. Se un marchio di prodotti per l'infanzia, sorridendo, tifa per la riproduzione naturale (per altro con immagini che più politicamente corrette non si potrebbe), mezzo Web gronda di sdegno. Addirittura troviamo quotidiani online come Il Post, che si sono peritati di smentire i dati forniti dallo spot sui baby boom dopo i passati mondiali: roba degna del peggior psicodramma. Non è il mondo alla rovescia, è qualcosa di peggio. È come se una parte degli italiani (o degli europei più in generale) considerasse la maternità e la paternità residui del passato. Capi d'abbigliamento fuori moda che non conviene indossare, perché non fa figo. Dopo tutto, solo quei babbioni dei cattolici e quegli schifosi dei fascisti si ostinano a difendere la natalità. Gli altri sono passati oltre: le femministe celebrano l'esistenza «child free», i profeti dell'accoglienza preferiscono le iniezioni di migranti. Solo alle coppie arcobaleno è consentito battagliare per i nuovi nati, specialmente se fabbricati in laboratorio. Chissà, magari finirà che boicotteranno la Chicco come fecero con la Barilla. Speriamo non succeda, ma non si sa mai: purtroppo, da queste parti i bimbi scarseggiano, ma i cretini abbondano.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.