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2022-08-16
Lo sport in Italia vale 24 miliardi, ma è sempre più aggredito come brand dai cinesi
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Da uno studio presentato dall'Istituto per il credito sportivo «Il Pil dello sport. La dimensione economica dello sport in Italia» è emersa, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l'importanza dello sport nell'ambito dello sviluppo e della crescita economica dell'Italia. Secondo il rapporto elaborato dalla banca sociale per lo sviluppo sostenibile dell'Italia attraverso lo sport e la cultura, infatti, lo sport nel 2019 ha dato un contributo al Prodotto interno lordo italiano di circa 24,5 miliardi di euro. Un numero che corrisponde all'1,37% del totale del Pil del nostro Paese. Ma non solo. L'industria sport si rivela essere molto importante anche per quanto riguarda il settore dell'occupazione, con 420.000 posti di lavoro garantiti, con un moltiplicatore delle attività sportive pari a 2,19.
Studiando i numeri del report in maniera più approfondita, si nota come 4,4 miliardi del valore aggiunto complessivo pari ai 24,5 miliardi sono stati generati dalle attività sportive; quasi 11 miliardi dall'indotto, e quindi da tutte quelle attività strettamente collegate allo sport, come per esempio i prodotti e i servizi utili e necessari per praticare una determinata disciplina; e oltre 9 miliardi da una serie di attività che vanno dalle trasmissioni televisive ai prodotti editoriali collegati allo sport, dai servizi turistici e medici di cui usufruiscono gli sportivi, fino al settore delle scommesse. Rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, se si guardano i dati pubblicati nel 2018 l'Italia si trova al quarto posto per incidenza del settore sport sul Pil in valore assoluto, ma la posizione del nostro Paese scivola in maniera perentoria con il tredicesimo posto nella classifica del Pil dello sport pro-capite pari a 356 euro e, addirittura, fuori dalla top ten con il quattordicesimo posto nella classifica del contributo percentuale al Prodotto interno lordo nazionale.
In sede di presentazione dello studio «Il Pil dello sport. La dimensione economica dello sport in Italia» presso il Circolo del Tennis del Parco Sportivo del Foro Italico è intervenuto il presidente dell'Istituto per il credito sportivo Andrea Abodi, il quale ha commentato così i risultati: «Lo Sport, in tutte le sue declinazioni ed espressioni, è una delle principali “difese immunitarie sociali”, un fattore strategico per il perseguimento dell’obiettivo del miglioramento della qualità della vita, che ci impone una sempre maggiore e profonda conoscenza della dimensione sociale ed economica del settore, per orientare le scelte, affinare e coordinare le politiche, configurare nuovi strumenti e armonizzare e migliorare quelli esistenti». Il numero uno dell'Ics ha poi aggiunto: «Noi intendiamo mettere a disposizione dei portatori d'interesse un primo contributo di dati, raccolti ed elaborati, che consentono di indicare il contributo dello sport al Prodotto interno lordo italiano, ricomprendendo nel perimetro osservato anche i settori collegati e connessi a quello sportivo. Lo strumento che stiamo mettendo a disposizione potrà essere estremamente utile anche nell’ottica di una più puntuale identificazione e determinazione della catena del valore dello sport italiano attraverso la quale, grazie alla riforma del 2019, viene anche calcolato il contributo pubblico, annualmente pari al 32% della fiscalità generata dal settore, con un minimo garantito di 410 milioni di euro. Sarà importante mettere in relazione tutti questi dati con la valutazione del suo impatto sociale, che per il Credito Sportivo sta diventando prassi operativa di ogni singola operazione di finanziamento».
La Cina mette le mani sulla Champions: Oppo nuovo sponsor per le prossime due stagioni
Dopo aver dovuto rescindere il contratto di sponsorizzazione con il colosso russo Gazprom nel vivo della competizione, la Uefa ha scelto, a cominciare da questa stagione, come nuovo partner per la Champions League il marchio cinese di smartphone Oppo.
L'azienda cinese sponsorizzerà oltre alla più grande e prestigiosa competizione internazionale per club, anche le finali della Futsal Champions League e della Youth League, ossia la Champions del calcio a 5 e quella delle squadre Primavera. Inoltre, Oppo, ha visto già esordire il proprio marchio in occasione della Supercoppa Uefa andata in scena allo stadio Olimpico di Helsinki lo scorso 10 agosto, con la vittoria per 2-0 del Real Madrid sull'Eintracht Francoforte.
Si tratta di una prima volta assoluta, visto che finora nella storia della Champions League un marchio cinese non aveva mai sponsorizzato la competizione e che si va ad aggiungere agli altri marchi storici della coppa dalle grandi orecchie, come Heineken, Mastercard, PlayStation, FedEx, Just Eat e PepsiCo. «Siamo lieti di dare il benvenuto a Oppo nella famiglia degli sponsor Uefa con la più grande competizione per club del mondo: la Uefa Champions League». Con queste parole il direttore marketing della Uefa Guy-Laurent Epstein aveva accolto il brand cinese nei scorsi giorni. «Oppo è un leader globale nella tecnologia mobile e, insieme, non vediamo l'ora di portare avanti i nostri sforzi per connettere e ispirare i tifosi di calcio di tutto il mondo». Parole raccolte con entusiasmo dall'azienda con sede a Dongguan: «Siamo entusiasti di collaborare con la Uefa e di lavorare con loro per ispirare i tifosi di calcio durante le competizioni Uefa. In Oppo crediamo nel potere dell'innovazione per aiutarci a superare le sfide della vita e questa sinergia con il desiderio della Uefa di combattere di fronte alle avversità, rende questa partnership perfetta» ha commentato il presidente del global marketing di Oppo William Liu.
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L'Istituto per il credito sportivo ha presentato lo studio «Il Pil dello sport. La dimensione economica dello sport in Italia» da cui è emerso che lo sport in Italia dà un contributo al Pil di circa 24,5 miliardi di euro, pari all'1,37% del totale e dà lavoro a 420.000 occupati.La Cina mette le mani sulla Champions. Per questa e la prossima stagione Oppo sarà infatti il primo marchio cinese a sponsorizzare la competizione Uefa.Lo speciale contiene due articoli.Da uno studio presentato dall'Istituto per il credito sportivo «Il Pil dello sport. La dimensione economica dello sport in Italia» è emersa, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l'importanza dello sport nell'ambito dello sviluppo e della crescita economica dell'Italia. Secondo il rapporto elaborato dalla banca sociale per lo sviluppo sostenibile dell'Italia attraverso lo sport e la cultura, infatti, lo sport nel 2019 ha dato un contributo al Prodotto interno lordo italiano di circa 24,5 miliardi di euro. Un numero che corrisponde all'1,37% del totale del Pil del nostro Paese. Ma non solo. L'industria sport si rivela essere molto importante anche per quanto riguarda il settore dell'occupazione, con 420.000 posti di lavoro garantiti, con un moltiplicatore delle attività sportive pari a 2,19.Studiando i numeri del report in maniera più approfondita, si nota come 4,4 miliardi del valore aggiunto complessivo pari ai 24,5 miliardi sono stati generati dalle attività sportive; quasi 11 miliardi dall'indotto, e quindi da tutte quelle attività strettamente collegate allo sport, come per esempio i prodotti e i servizi utili e necessari per praticare una determinata disciplina; e oltre 9 miliardi da una serie di attività che vanno dalle trasmissioni televisive ai prodotti editoriali collegati allo sport, dai servizi turistici e medici di cui usufruiscono gli sportivi, fino al settore delle scommesse. Rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, se si guardano i dati pubblicati nel 2018 l'Italia si trova al quarto posto per incidenza del settore sport sul Pil in valore assoluto, ma la posizione del nostro Paese scivola in maniera perentoria con il tredicesimo posto nella classifica del Pil dello sport pro-capite pari a 356 euro e, addirittura, fuori dalla top ten con il quattordicesimo posto nella classifica del contributo percentuale al Prodotto interno lordo nazionale.In sede di presentazione dello studio «Il Pil dello sport. La dimensione economica dello sport in Italia» presso il Circolo del Tennis del Parco Sportivo del Foro Italico è intervenuto il presidente dell'Istituto per il credito sportivo Andrea Abodi, il quale ha commentato così i risultati: «Lo Sport, in tutte le sue declinazioni ed espressioni, è una delle principali “difese immunitarie sociali”, un fattore strategico per il perseguimento dell’obiettivo del miglioramento della qualità della vita, che ci impone una sempre maggiore e profonda conoscenza della dimensione sociale ed economica del settore, per orientare le scelte, affinare e coordinare le politiche, configurare nuovi strumenti e armonizzare e migliorare quelli esistenti». Il numero uno dell'Ics ha poi aggiunto: «Noi intendiamo mettere a disposizione dei portatori d'interesse un primo contributo di dati, raccolti ed elaborati, che consentono di indicare il contributo dello sport al Prodotto interno lordo italiano, ricomprendendo nel perimetro osservato anche i settori collegati e connessi a quello sportivo. Lo strumento che stiamo mettendo a disposizione potrà essere estremamente utile anche nell’ottica di una più puntuale identificazione e determinazione della catena del valore dello sport italiano attraverso la quale, grazie alla riforma del 2019, viene anche calcolato il contributo pubblico, annualmente pari al 32% della fiscalità generata dal settore, con un minimo garantito di 410 milioni di euro. 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Inoltre, Oppo, ha visto già esordire il proprio marchio in occasione della Supercoppa Uefa andata in scena allo stadio Olimpico di Helsinki lo scorso 10 agosto, con la vittoria per 2-0 del Real Madrid sull'Eintracht Francoforte.Si tratta di una prima volta assoluta, visto che finora nella storia della Champions League un marchio cinese non aveva mai sponsorizzato la competizione e che si va ad aggiungere agli altri marchi storici della coppa dalle grandi orecchie, come Heineken, Mastercard, PlayStation, FedEx, Just Eat e PepsiCo. «Siamo lieti di dare il benvenuto a Oppo nella famiglia degli sponsor Uefa con la più grande competizione per club del mondo: la Uefa Champions League». Con queste parole il direttore marketing della Uefa Guy-Laurent Epstein aveva accolto il brand cinese nei scorsi giorni. «Oppo è un leader globale nella tecnologia mobile e, insieme, non vediamo l'ora di portare avanti i nostri sforzi per connettere e ispirare i tifosi di calcio di tutto il mondo». Parole raccolte con entusiasmo dall'azienda con sede a Dongguan: «Siamo entusiasti di collaborare con la Uefa e di lavorare con loro per ispirare i tifosi di calcio durante le competizioni Uefa. In Oppo crediamo nel potere dell'innovazione per aiutarci a superare le sfide della vita e questa sinergia con il desiderio della Uefa di combattere di fronte alle avversità, rende questa partnership perfetta» ha commentato il presidente del global marketing di Oppo William Liu.
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Sempre la storia dimostra che questo tipo di progresso tecnologico è spesso seguito dallo sviluppo di contromisure, non a caso stiamo assistendo alla comparsa di armi anti-drone, queste sia di tipo convenzionale, con un proiettile che viene sparato contro di essi, ma anche del tipo a energia concentrata, ovvero laser. L’evidenza però è che l'uso dei droni abbia cambiato la natura della guerra, con la zona in cui le forze di terra sono vulnerabili ad attacchi letali da parte di mezzi a pilotaggio remoto che si estende tra dieci e sedici chilometri dietro la linea del fronte. Ciò ha reso trincee, posizioni fortificate e veicoli blindati molto più vulnerabili di quanto non lo fossero in precedenza, costringendo l’industria a sviluppare nuovi tipi di protezioni da installare a bordo. Così se inizialmente i droni hanno dimostrato il loro valore nelle operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, poi in quello di effettori d’attacco, ora costituiscono anche una forza di difesa restando comunque utili per la raccolta di informazioni in tempo reale e per fornire consapevolezza della situazione del campo di battaglia, come anche a supporto della pianificazione e del comando, nel controllo e nella comunicazione come nell'avvistamento dell'artiglieria.
Un colpo deve costare meno di un proiettile
Uno dei problemi da risolvere per praticare un vero contrasto ai droni sono i costi: un sistema laser, oltre che costoso è anche difficilmente trasportabile e resta comunque vulnerabile a eventuali attacchi, dunque in Ucraina vengono usate le infinitamente più economiche reti che riducono l'efficacia dei droni imbrigliandone le eliche. La Marina britannica ha recentemente annunciato che impiegherà un'arma a energia diretta denominata DragonFire, sistema che come detto, sebbene presenti delle limitazioni, come il costo iniziale, le dimensioni, la necessità di alimentazione elettrica e il fatto di dover avere il bersaglio in vista per colpirlo, a ogni colpo costa soltanto l’equivalente di 12 euro. L’alternativa è usare la radiofrequenza, ovvero un’onda radio, che però in quanto a limitazioni si discosta di poco dall’altro: presenta l’indubbio vantaggio di poter colpire più bersagli contemporaneamente, ma non può distinguere tra i bersagli che ingaggia quali sono amici e quali nemici. Tradotto: nessun mezzo amico può volare quando viene usato tale sistema. Non si risolve il problema neppure con effettori come piccoli missili, che costerebbero più di altri droni: esistono, sia chiaro, ma se per neutralizzare un oggetto del valore di qualche migliaio di dollari se ne impiega uno che costa qualche milione, come è avvenuto nel Mar Rosso durante i primi attacchi dei ribelli Houthi alle navi commerciali, le contromisure si rivelano insostenibili.
Un nuovo problema, costruirli in fretta
A parte l’Ucraina, l’Iran e la Cina, nessuna altra nazione è in grado di produrre droni in modo sufficientemente rapido e puntuale per usarli in modo massiccio. Inoltre, l’evoluzione dei droni stessi è tanto rapida che nessuna forza armata può permettersi di tenere in magazzino un arsenale di unità che invecchierebbero in pochi mesi. Ciò ha creato una vulnerabilità critica nelle catene di approvvigionamento delle componenti dei droni, in particolare la dipendenza dell'Occidente da parti e materiali di origine cinese che presentano ovvi rischi per continuità di fornitura, possibili intrusioni software e quindi pericolo per conflitti futuri.
Un rebus tra materiali, costi e normative green
Per risolvere la situazione occorre una nuova corsa alla produzione protetta basandola sulla cooperazione internazionale, costruendo solide alleanze per la produzione di droni tra i membri della Nato concentrandosi sulla produzione coordinata e sempre sull'innovazione. Il tutto per realizzare catene di approvvigionamento sovrane: investire nella produzione nazionale di componenti critici, inclusi semiconduttori e sensori, per ridurre la dipendenza da materiali di origine asiatica. Ciò perché oltre Pechino, si è anche persa la certezza della continuità di produzione proveniente da Taiwan. Un altro metodo è standardizzare la produzione di droni concentrandosi sulla produzione scalabile. La chiamano resilienza ma si tratta di sicurezza della catena di approvvigionamento, partendo dal disporre di una riserva di terre rare e di materiali definiti critici. Questa strategia è però resa ancor più difficile dall’applicazione di severe direttive ecologiche da parte dell’Unione europea e degli Usa, dove già talune produzioni non possono essere più fatte con taluni materiali, con il risultato che un numero significativo di componenti risulta oggi non rispondente alle caratteristiche di quelli precedenti. Lo sa bene chi progetta, sempre più in lotta con dichiarazioni per le normative Reach, che comprende migliaia di sostanze chimiche in vari prodotti inclusi abbigliamento, mobili, ed elettronica), e RoHs, la specifica per i dispositivi elettrici ed elettronici che limita le sostanze pericolose come piombo, mercurio, cadmio e altre per proteggere l’ambiente. E si sa che la guerra non è certo ecologica.
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Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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