2021-08-13
Speranza scopre altre due priorità: fine vita e scomparsa del Parlamento
Secondo il ministro le Asl devono garantire il suicidio assistito in base a una legge che però non esiste. Così apre un nuovo fronte ideologico e tenta una spallata favorita dalla consueta «manina» giudiziaria.Senza Speranza. Ce l'ha scritta nel cognome, non nell'anima; ci voleva il ministro più discutibile del governo di Mario Draghi per distruggere una delle parole cardine del cristianesimo, pietra angolare del messaggio manzoniano. «Finché c'è vita c'è speranza» non vale più, come non sembra contare più nulla il Parlamento. La frase dell'ultimo respiro e del «mistero dell'oltre» finisce nel tritacarne di Ferragosto, gettata in pasto alla polemica dallo stesso politico che porta quel nome. E che, strumentalizzando la risposta alla lettera di un uomo disperato, apre un altro fronte ideologico, un altro braccio di ferro etico, dentro un esecutivo che proprio non ne avvertirebbe il bisogno.Due giorni fa Mario, 43 anni, tetraplegico immobile in un letto da dieci anni dopo un incidente stradale, scrive al quotidiano La Stampa per chiedere che l'Asl applichi la sentenza Cappato e gli dia il farmaco letale. «Voglio morire con dignità, vi prego lasciatemi andare», chiede allo Stato italiano nonostante tenga a sottolineare: «Vivo nella mia stanza assistito, curato e amato» dai familiari. Roberto Speranza prende carta e penna e, più che da ministro, risponde da segretario di Articolo Uno, una costola di Leu che rappresenta appunto l'uno per cento scarso dei votanti. «Caro Mario, desidero anzitutto esprimerle il mio profondo rispetto per la dignità con la quale sta affrontando la sua dolorosa condizione e sta cercando di ottenere una risposta dal sistema sanitario pubblico». Risposta che in teoria non esiste perché non c'è ancora una legge che regoli compiutamente la materia e men che meno esistono i decreti attuativi della stessa. Però Speranza ritiene di bypassare il Parlamento, di azzerarlo, rifacendosi alla sentenza numero 242 del 2019 della Corte costituzionale e aggiunge: «In assenza di una regolazione legislativa più generale della materia, la Consulta ha stabilito che una persona, qualora ricorrano i quattro requisiti sopra riportati (paziente affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche reputate da lui intollerabili, pienamente capace di decisioni libere e consapevoli, tenuto in vita da trattamenti di sostegno, ndr) e che il comitato etico competente deve verificare, ha diritto di chiedere a una struttura pubblica del servizio sanitario l'assistenza al suicidio medicalmente assistito». Un invito alle Asl - da parte del ministro - a garantire, a mettere in atto, a togliere speranza. E a farlo esplicitamente senza tenere conto del Parlamento. Una risposta istituzionale (peraltro legittima) a un uomo che vuole morire e il nulla cosmico ai milioni di italiani che vorrebbero continuare a vivere dignitosamente. Il segnale è palese e preoccupante. Ormai abituato a saltare ogni dibattito in aula nella lunga e ambigua stagione del Covid permanente, il ministro del virus cinese ormai passato alla storia come autore di un libro trionfalistico mai uscito per pietà nelle librerie, ritiene che ogni decisione possa essere presa fuori dall'emiciclo. Senza maggioranze e senza voti. E giustifica l'imposizione sottintesa alle Asl rifacendosi a una sentenza che di fatto depenalizza il suicidio assistito, ma per il resto si limita a invitare Camera e Senato a riempire il vulnus, a legiferare per dare un orizzonte preciso al delicato tema del fine vita.Viziato dall'uso comodo e spropositato dei Dpcm durante la pandemia, il ministro più rosso dimentica che in democrazia la guardia non è mai stanca. E che l'inerzia politica può essere superata da un'accelerazione, da una volontà collettiva, dall'impulso di un leader, non da una spallata extraparlamentare favorita dalla consueta «manina» giudiziaria (sono già due le sentenze applicative del suicidio assistito). Anche se quasi onnipotenti, i 15 giudici non possono ancora sostituirsi per diritto Costituzionale a deputati e senatori eletti dai cittadini. L'uscita di Speranza è un effetto collaterale della dittatura sanitaria che lentamente ma inesorabilmente entra nei gangli della cosa pubblica, sostituendosi ai rappresentanti del popolo. Scrivo una lettera, decido e ordino che si faccia. Ceralacca, penna d'oca e carta intestata: Granducato di Topolinia. Non funziona così.È curioso che dopo essersi sbilanciato, il ministro colga lo stridore del suo stesso ragionamento e scriva: «Il fine vita è uno di quegli argomenti su cui si confronta un pluralismo insuperabile di punti di vista etici, culturali, teorici, religiosi, che in un ordinamento democratico come il nostro non può che trovare espressione politica nel Parlamento». Notare che un attimo prima aveva chiesto espressamente ai medici dell'Asl di applicare una sentenza-quadro. Tutto questo è surreale. Sul fine vita ci sono tre proposte di legge di vario colore che avanzano lentamente, soffocate dalle psico-emergenze piddine come ius soli e ddl Zan. La commissione Giustizia ha approvato un testo unificato dal titolo «Morte volontaria medicalmente assistita». Le sensibilità sono trasversali, l'eutanasia ha sempre creato divisioni, il Vaticano l'ha definita «un crimine contro la vita umana». È bene che il ministro dei disastri lo sappia. L'Italia è uno Stato laico ma certi passaggi vanno condivisi anche a Ferragosto.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)